Mille persone messe a morte in sette anni

Arabia Saudita e diritti umani: esecuzioni raddoppiate. Il rapporto di una ONG inglese

Il ricorso alla tortura è "endemico" nelle carceri saudite, anche per i minori

Arabia Saudita e diritti umani: esecuzioni raddoppiate. Il rapporto di una ONG inglese
Ansa
Mohammed bin Salman

Mille esecuzioni capitali in 7 anni, uso estensivo della tortura anche contro i minori, nessuna trasparenza nei processi, gravi violazioni nei confronti di donne e stranieri: è quantomai fosco il quadro dei diritti umani in Arabia Saudita, stretto alleato dei Paesi occidentali.

Dall'ascesa al potere del principe ereditario, oggi anche primo ministro, Mohammed bin Salman (Mbs), Riad ha "quasi raddoppiato" le esecuzioni. E' quanto emerge dal rapporto pubblicato in questi giorni dal gruppo attivista Reprieve, una ONG inglese che si occupa di diritti umani, che critica anche gli alleati dell'Arabia Saudita perché "incapaci" di limitare il ricorso al boia e la pratica delle esecuzioni di massa. Dal 2015 l'uso della pena capitale è duplicata, con oltre 1.000 persone messe a morte in sette anni e la conferma di un trend emerso dall'ascesa del numero due del regno dopo re Salman. 

Secondo i dati registrati da Reprieve e da Esohr (European Saudi Organisation for Human Rights), dal 2010 al 2014 si sono registrate in media 70,8 esecuzioni all'anno in Arabia Saudita. Dal 2015 - anno in cui il principe ereditario è diventato il sovrano de facto del regno - fino al 2022, vi è stata una media di 129,5 esecuzioni all'anno, con un aumento dell'82% rispetto al periodo precedente. Gli autori dello studio denunciano al contempo il grado di profonda segretezza mantenuto dal regno attorno ai processi e all'uso della pena di morte, citando il caso delle 81 persone messe a morte nel corso di una esecuzione di massa lo scorso 12 marzo 2022. 

Da un lato, spiegano i gruppi attivisti, si è trattato del terzo caso di omicidi di gruppo perpetrati sotto bin Salman e, dall'altro, solo 12 condanne, su 81 delle persone giustiziate, erano documentabili dagli atti dei dibattimenti in aula. "I restanti 69 uomini - afferma Esohr - sono stati processati, condannati e giustiziati in totale segretezza" e il numero complessivo di esecuzioni potrebbe essere "di gran lunga sottostimato".

Reprieve ed Esohr aggiungono che dal 2013 sono stati messi a morte almeno 15 minori al momento dell'imputazione del reato. Di questi, 11 dopo l'ascesa al potere di Mohammed bin Salman. Il rapporto documenta anche come Riad abbia utilizzato in modo diffuso e "sproporzionato" la pena di morte contro i non sauditi e le donne: difatti circa il 75% delle donne uccise dallo Stato saudita fra il 2010 e il 2021 erano straniere (in gran parte keniote ed etiopi) e di queste circa il 56% erano lavoratrici domestiche impiegate nelle case di facoltosi sauditi. Infine, dallo studio dei dati emerge che la pena di morte è utilizzata in modo abituale per mettere a tacere dissidenti e manifestanti, in violazione del diritto internazionale: secondo cui il ricorso alla pena di morte è ammissibile - benché esecrabile - solo per i crimini più gravi. Nelle carceri, la pratica del ricorso alla tortura al loro interno risulta essere "endemico" anche per gli imputati minori di età.