Turchia-Siria

Il sisma lungo "il confine maledetto" che ha visto 12 anni di guerra

Taglia in due le popolazioni curde, è stato punto di ingresso in terra siriana delle milizie dell'Isis e poi delle truppe di Ankara. Strategico anche perché vi passano due oleodotti

Il sisma lungo "il confine maledetto" che ha visto 12 anni di guerra
Wikimedia Commons
Siria: in rosso le aree controllate dal governo di Damasco, in verde chiaro quelle controllate da milizie sunnite alleate con il governo turco, in bianco l'area di Idlib controllata da milizie qaediste, in giallo e arancione l'area dell'Amministrazione autonoma della Siria del Nord (nelle zone arancioni vige un accordo che consente l'accesso ai militari di Damasco), in verde scuro il territorio dell'Esercito libero siriano, alleato degli Stati Uniti

La zona colpita dalle devastanti scosse di terremoto di queste ore corrisponde alla parte centro-occidentale del confine tra Turchia e Siria, una frontiera caldissima da quando nel 2011 scoppiò la guerra civile siriana. “Il maledetto confine”, lo chiamano spesso i curdi, da sempre divisi tra i due paesi. Gaziantep e Adana, due delle città turche che hanno subito le conseguenze peggiori, sono state per anni importanti nodi di collegamento utilizzato dai miliziani dell'Isis per fare ingresso in Siria e sono state teatro di diverse operazioni delle forze di sicurezza turche. A Gaziantep inoltre un terribile attentato del Califfato causò 56 morti ad agosto 2016. 

Sempre da Gaziantep sono entrate in territorio siriano le truppe turche che hanno sottratto la città curdo-siriana di Jarabulus all'Isis e, nel 2018-19, hanno preso il controllo di altre porzioni di territorio dove però l'Isis era stato già allontanato e che ricadevano nell'Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est, anche nota come Rojava, l'area dove nel corso della guerra si è costituito un autogoverno laico, multietnico e ispirato a principi democratici, socialisti e libertari. Nacque su spinta delle formazioni curde ma oggi vi fanno riferimento anche popolazioni di etnia araba, assira, turkmena ed ezida.

L'operazione turca "Ramoscello d'ulivo" sferrata a fine gennaio 2018 contro il cantone siriano di Afrin durò un mese e mezzo, partì dalla provincia dell'Hatay, attraversando anche il villaggio di Nurdagi, epicentro di una scossa di magnitudo 6.6. L'ultima operazione in ordine di tempo, "Sorgente di pace", risale a ottobre 2019. Durò appena 9 giorni durante i quali Ankara occupò una striscia di circa 4.000 chilometri quadrati in territorio siriano. L'esercito turco attaccò oltre confine dalla provincia di Urfa che ha tremato nella notte, ma dove si è registrato in tarda mattinata un secondo sisma di grado 7.6. La stessa provincia di Urfa era stata colpita dal primo attentato Isis in Turchia nel luglio 2015, un kamikaze causò 33 morti in un raduno a sostegno delle popolazioni curde.

L'area devastata dal sisma fu inoltre al centro delle cronache per la crisi umanitaria che ha riguardato la fuga dei siriani dalla guerra. Per anni i principali campi di accoglienza sono stati organizzati lungo il confine, tra cui Kilis e Nizip, i due campi più grandi, situati non lontano da Gaziantep e Urfa. Chiusi i campi i profughi si sono trasferiti principalmente nelle città, non a caso Gaziantep è, dopo la metropoli di Istanbul, la città con la più corposa comunità siriana, ben 463mila persone ed è seguita nella classifica dalle altre tre città principalmente colpite dal sisma: la già citata Urfa, dove vivono  371mila siriani, la provincia dell'Hatay dove sono 357mila e Adana, dove sono 252mila.

La zona è strategica anche per l'energia. Ci passa l'oleodotto Kirkuk-Yumurtalik, che collega i ricchi giacimenti di Mosul e Kirkuk, nel nord dell'Iraq e del Kurdistan iracheno, con la Turchia.Il sisma ha causato danni anche al gasdotto che da Haifa in Israele penetra il sud della Turchia attraverso la provincia dell'Hatay, estrema propaggine sud al confine con la Siria. Entrambe le condotte sono state interessate da spaccature e incendi causati dal terremoto.