L'intervista

Mons. Christian Carlassare: “Papa Francesco portatore di pace e unità in Sud Sudan”

Il missionario comboniano, due mesi dopo la sua nomina come vescovo della giovanissima diocesi di Rumbek, è stato aggredito da due uomini che gli hanno sparato alle gambe

Mons. Christian Carlassare: “Papa Francesco portatore di pace e unità in Sud Sudan”
Roberto Montoya
Mons. Christian Carlassare e Papa Francesco

Dopo tre giorni intensi nella Repubblica Democratica del Congo, Papa Francesco è nella terra del Sud Sudan, viene come pellegrino di pace e unità. Nel 2013 il paese è piombato in una guerra civile tra le più sanguinose, provocando 400.000 morti e 4 milioni di sfollati, di cui 2,5 milioni di rifugiati finiti nei paesi confinanti. Un viaggio ecumenico di pace che porta un forte messaggio al popolo africano, per mettere da parte le divisioni in un contesto devastato e frantumato da decenni di guerre.

Abbiamo incontrato Mons. Christian Carlassare vescovo della giovanissima diocesi di Rumbek in Sud Sudan. Il missionario comboniano, a quasi due mesi dalla sua nomina, è stato aggredito da due uomini che gli hanno sparato alle gambe.

Eccellenza, ci può raccontare il pellegrinaggio che avete fatto verso il Sud Sudan?
Il pellegrinaggio è un’iniziativa della diocesi di Rumbek dentro il quadro della pastorale giovanile, che ha voluto unire giovani di diverse parrocchie, studenti e anche giovani che fanno parte dei comitati di giustizia e pace. Sono stati 60 i giovani che hanno partecipato a questo pellegrinaggio, per riprendere l'esperienza dei grandi pellegrinaggi in Europa o in altri paesi dove le persone percorrono chilometri in preghiera per raggiungere luoghi sacri o anche in memoria delle grandi marce per la pace e i diritti civili, che sono avvenuti in diversi continenti ed epoche.

…quanto è durato?
Nove giorni di cammino. Siamo passati per nove parrocchie e si sono aggiunti a supporto altri 24 'viandanti'. Abbiamo percorso in totale 400 km, non tutti a piedi; nove giorni come i giorni della novena, camminando 20-25 km al giorno. Il pomeriggio, lungo il tragitto, incontravamo le comunità del posto, dove ci fermavamo per una sosta. È bello camminare insieme, ma è bello anche incontrare le comunità, animarle per pregare insieme e i giovani che hanno proposto un teatro della Pace sullo stile del teatro degli oppressi, che diventa scuola di cambiamento sociale, trasformazione, partendo dal basso.

Quali sono le aspettative per l’arrivo di Papa Francesco in Sud Sudan?
L'aspettativa è di grande speranza, perché certamente il Papa viene in un momento delicato, dove tutti abbiamo bisogno di un grande incoraggiamento nel vivere con l’impegno per la pace, una pace mai del tutto raggiunta, ma che va scelta giorno dopo giorno. Il sentimento comune a tutti è che il Papa porterà una grande benedizione, un grande bene per tutti. Papa Francesco, a maggior ragione, come figura di riferimento della chiesa, viene certamente visto come una persona profetica e Santa, portatore di pace e unità. Questa fiducia e speranza può davvero far cambiare tanto il paese. Prima di tutto, le istituzioni devono essere impegnate per portare avanti gli accordi e processi di pace, mantenere vivo l'ascolto di tutti quei gruppi che sono marginalizzati. L'impegno è sicuramente anche dei cittadini, ma le istituzioni devono imparare a servire i cittadini e il bene comune. Non è possibile disarmare un paese in termini fattuali e togliere le tante armi presenti, a meno che non ci sia davvero un cambiamento del cuore nel trattare le difficoltà, non più con la violenza, ma con il dialogo. Quindi c'è bisogno di disarmare il cuore e accogliere quella pace di cui tanto si parla.

Quale è il ruolo della Chiesa in Sud Sudan?
Prima di tutto bisogna passare da una Chiesa umanitaria, radicata e incarnata in questo paese reale e impegnata nella fede e non è una chiesa vista come agenzia umanitaria che gioca un ruolo per sostenere il Sud Sudan. Neanche una chiesa che dall'esterno deve sempre portare qualcosa in questo interno che siano valori o la fede stessa. Certamente la chiesa ha come priorità l'evangelizzazione, nel senso che è solo la parola del Vangelo che ci può umanizzare e farci riconoscere fratelli e sorelle. il Vangelo è una fonte di trasformazione molto importante nel cuore della fede, della visione della vita della cultura in tutte le dimensioni della vita anche di quelle sociali.

…ma anche nella formazione?
La Chiesa ha un ruolo importante nel campo dell’istruzione. La scuola è strumento importante per liberare le persone da contesti culturali che alienano la loro identità, privilegiando invece un'ottica di formazione integrale dei ragazzi. L'istruzione intesa non solo come agenzia che ha il compito di dare conoscenza. Formando le persone dal punto di vista umano, già si vede una grande trasformazione, sia nei singoli che nelle famiglie e nelle comunità. Un viaggio ecumenico con un forte messaggio.

A che punto è il cammino di pace, fraternità e riconciliazione nel paese?
Il cammino della pace è sempre un cammino molto lungo che non ha una meta vicina. Abbiamo un accordo di pace firmato nel 2019 che sembra reggere e un governo di unità nazionale che sembra continuare il proprio lavoro, nonostante ci siano ancora molte opposizioni all'interno del paese. Bisogna continuare il dialogo, facilitato anche dalla Comunità di Sant'Egidio e c'è bisogno soprattutto di una istituzione Samaritana che aiuti la popolazione, dove il bene comune è il bene di ogni singola persona, di ogni singolo gruppo, senza dimenticare nessuno, senza privilegiare un gruppo alle spese di un altro. In tutte le nostre parrocchie abbiamo dei comitati di giustizia e pace che aiutano la pastorale a non essere una pura proclamazione di alcune verità, ma che aiutano ad incarnare queste verità anche con azioni concrete. Quindi una chiesa che sia davvero al servizio della giustizia, della pace e della riconciliazione, come è stato sottolineato anche negli ultimi sinodi africani. La chiesa è vicina agli ultimi, alle persone più vulnerabili, agli sfollati a causa dei cambiamenti climatici.

In un paese distrutto dalla guerra civile quanto è importante il lavoro ecumenico nel paese?
Le chiese locali, attraverso il consiglio delle chiese del Sud Sudan, hanno lavorato all'unisono per la riconciliazione e la pace, quindi penso che questa visita ecumenica sia particolarmente significativa e va a mostrare quanto i fedeli o la chiesa nel mondo, quando guardano Gesù, si trovino tutti sullo stesso cammino come fratelli e sorelle. Quindi non è sufficiente rimanere in un ecumenismo legato alla cattedra, ma c'è bisogno di un ecumenismo fattuale, che è quello della missione. Predicando il Cristo ci si scopre anche fratelli e sorelle.

Cosa c'è di bello nel paese che noi nell’Occidente non riusciamo a vedere?
È una domanda molto complessa e difficile. Penso che di bello ci sia la vita, la fiducia nella vita e la speranza, che è viva; soprattutto è presente un’apertura a quel Dio che può dare giustizia e risposte alla natura umana. Una natura umana che non può risolvere tutto da sola. Quindi, il valore della fede, in questo affidarsi a Dio, è insito anche nel valore della comunità, della solidarietà e di una grande resilienza, grazie alla quale la popolazione riesce a vivere, con poco, una vita dignitosa. Riescono a essere in solidarietà gli uni con gli altri e in comunione con il principio di vita. Qui c'è un principio più comunitario che individualistico, a differenza dell’Occidente.

Eccellenza Lei ha vissuto in prima persona la situazione difficile che vive il paese ed è stato oggetto di un attentato. Cosa le ha insegnato questa esperienza?
L'attentato mi ha insegnato a vivere la vita giorno dopo giorno, come se fosse l'ultimo e a vivere con intensità il dono, perché ciò che conta è vivere l'essenza del tempo che ci è dato, vivere la vocazione che ci è data, quella di essere vicini alle persone che ci sono accanto, donando la nostra vita senza misure, senza mantenere o conservare qualcosa per sé stessi.

In che maniera si può spezzare la spirale della violenza in Sud Sudan?
Ci vuole del tempo per rompere la spirale della violenza. Prima di tutto con il disarmo, non solo fattuale delle armi, ma anche quello del cuore di cui c'è tanto bisogno. Poi con la sicurezza. Pensiamo ai tanti sfollati e rifugiati che dopo otto anni di guerra ancora non sono tornati nelle loro case o nei loro territori. Hanno perso tutto e non si fidano di investire nel futuro. Infine è necessaria una ripresa economica, dove il lavoro sia riconosciuto e pagato, dove ci sia possibilità di imprenditoria, di vivere del lavoro come una ricchezza importante, non solo della singola persona che lavora ma del Paese stesso.

È ottimista sul futuro del Sud Sudan?
Penso che un sano realismo sia sempre più utile di un ottimismo cieco. Il pessimismo non aiuta a camminare verso una meta. Direi che è bene essere ottimisti, perché ci sono segni di cambiamento importanti nell'ottimismo, si può analizzare la realtà e dare una visione, una direzione all'impegno della nazione, all'impegno delle istituzioni e anche della chiesa stessa, una chiesa samaritana vicina alla gente, che sappia arrivare a tutti.