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La riforma della giustizia in Israele: perché il governo vuole ridimensionare la Corte suprema

Per gli oppositori la proposta di legge di Netanyahu imprimerebbe una svolta autoritaria, per coloni e ultraortodossi sono i giudici a essere antidemocratici

La riforma della giustizia in Israele: perché il governo vuole ridimensionare la Corte suprema
Harel Ben Nun/Anadolu Agency via Getty Images
Proteste a Tel Aviv, 27 marzo 2023

La proposta di riforma del governo israeliano, che da tre mesi scatena proteste di intensità crescente, frenerebbe il potere della Corte suprema e consegnerebbe all'esecutivo il potere di sceglierne i componenti

Nella maggioranza che sostiene il governo di Benjamin Netanyahu hanno un importante peso specifico gli interessi dei coloni, il 5% della popolazione che abita insediamenti al di fuori dei confini stabiliti dall'armistizio del 1949, nel territorio che gli arabi chiamano West Bank o Cisgiordania per essere a ovest del fiume Giordano, mentre in Israele si preferiscono spesso i nomi biblici di Giudea e Samaria

Molti coloni e loro rappresentanti, soprattutto tra quelli che si vedono come pionieri che riscattano la terra promessa da Dio, considerano l'attuale Corte suprema ostile, antidemocratica, schierata a sinistra per avere revocato decisioni del Parlamento riguardo lo status degli insediamenti. Nel 2020, per esempio, la Corte Suprema ha annullato una legge che aveva legalizzato retroattivamente le costruzioni edificate dai coloni su terreni di proprietà di palestinesi. Sentenze del genere diventerebbero quasi impossibili se la riforma fosse approvata perché il potere dei giudici di intervenire sulle leggi sarebbe limitato dal parlamento. Pesa poi il ricordo del mancato stop della Corte suprema al ritiro della Striscia di Gaza del 2005, quando Israele  ritirò i propri militari da questo territorio costiero lungo 50 chilometri e largo meno di 10 e demolì gli insediamenti.

I pallini rossi indicano i principali insediamenti israeliani in Cisgiordania Orrling / Wikimedia Commons
I pallini rossi indicano i principali insediamenti israeliani in Cisgiordania

Oltre che tra i coloni, la riforma riscuote sostegno nella comunità ultraortodossa (il 13% della popolazione): la Corte ha infatti revocato alcune leggi che favorivano i religiosi, soprattutto in relazione all'esenzione dal servizio militare, giustificata dalla necessità di dedicare il tempo agli studi teologici. Le forze laiche e pluraliste, inoltre, sono preoccupate dal rischio che una volta ridotta la supervisione giudiziaria gli ultraortodossi tentino di rendere lo Stato più religioso, per esempio limitando le attività consentite di sabato, ossia durate il Sabbath ebraico

Israele ha un parlamento unicamerale, generalmente controllato dalla coalizione che esprime il Primo ministro, e nessuna costituzione scritta: l'indebolimento della Corte suprema rimuoverebbe il principale contrappeso al potere del governo. Il presidente della Corte, Esther Hayut, ha affermato a gennaio che i cambiamenti avrebbero compresso il sistema giudiziario, assestato un colpo fatale alla democrazia e danneggiato la difesa dei diritti umani e delle libertà civili. I manifestanti che contestano la riforma parlano esplicitamente di una deriva verso l'autoritarismo

Colonie e laicità non sono gli unici temi di cui gli israeliani stanno discutendo. I detrattori di Netanyahu affermano che la riforma darebbe al premier  una via di fuga dal processo per corruzione che lo riguarda. Potrebbe beneficiare della riforma anche Aryeh Deri, leader di Sham, uno dei partiti di maggioranza, che ha patteggiato nel 2022 una condanna per reati fiscali.