L'anniversario

I dieci anni del pontificato di Francesco, il primo Papa gesuita che ha cambiato la Chiesa

Jorge Mario Bergoglio veniva eletto il 13 marzo 2013. Un decennio di riforme, scelte di governo, viaggi, incontri. Amato e osteggiato, ha sempre agito col suo stile "latino" all'insegna di grandi temi: cura del Creato, Misericordia, fratellanza

I dieci anni del pontificato di Francesco, il primo Papa gesuita che ha cambiato la Chiesa
(Ansa)
Papa Francesco è il 266esimo Pontefice

Dieci giorni fa è apparsa la classifica mondiale dei leader più “potenti” sul web, stilata dall’Osservatorio digitale (partner di Fondazione Italia Digitale). Papa Francesco occupa saldamente il dodicesimo posto, con un seguito su Twitter di oltre 14 milioni di followers. Si può partire da questo dato, che non è marginale, per misurare l’importanza della figura di Jorge Mario Bergoglio nel decimo anniversario della sua elezione.

Una figura, la sua, di vero leader mondiale e non solo di autorità religiosa e spirituale. Si può dire che il suo riconosciuto prestigio, unito ad una indubbia autorevolezza, siano rimasti intatti (e, anzi, si siano accresciuti) negli ultimi dieci anni. Da quando, cioè, la sera del 13 marzo 2013, il cardinale argentino, arcivescovo di Buenos Aires, si affacciò sulla loggia centrale della facciata della Basilica di San Pietro e rivolse ai fedeli di tutto il mondo, in diretta televisiva, il suo candido “Buonasera”.

Mai così amato, mai così mal sopportato

Un saluto che non era soltanto un saluto ma un’esplicita dichiarazione d’intenti. Di come il Papa neoeletto avrebbe immaginato e impostato la sua Chiesa. Oggi, a distanza di dieci anni, si può affermare con sicurezza che mai un Papa, dai tempi dello Scisma d'Occidente, è stato così amato e, allo stesso tempo, così mal sopportato. Dalle folle in delirio in tutto il mondo, soprattutto in Africa e America Latina, ai circoli conservatori statunitensi e tedeschi, che non si sono trattenuti nel definirlo perfino “Antipapa”. A dispetto della vulgata - che per semplificazione o per strumentalizzarlo l’ha dipinto di volta in volta come marxista, rivoluzionario, vicino ai teologi della Liberazione -, la sua non è mai stata una dottrina opposta e di rottura rispetto a quella dei predecessori. Pur avendo sempre predicato una “Teologia delle tre T” (tierra, techo, trabajo), Bergoglio non è mai stato marxista, non è mai stato rivoluzionario, ha combattuto la Teologia della Liberazione nel suo Sudamerica.

 

Nel nome, l’omaggio al Santo dei poveri

Già la scelta del nome, Francesco, aveva dato un’indicazione in più: una decisione inedita, storica, un omaggio al frate di Assisi, al poverello che parlava con gli animali e si era spogliato di tutto per donarsi (e darsi) ai poveri. Tanto che, come egli stesso ebbe modo di spiegare in Aula Paolo VI già tre giorni dopo la fumata bianca, quando il nome di Bergoglio aveva toccato i due terzi dei voti e la Chiesa di Roma aveva appena scelto il suo nuovo vescovo, quel nome, Francesco, era sbocciato nel suo cuore da un suggerimento indiretto: il cardinale di San Paolo, Claudio Hummes, lo aveva esortato a “non dimenticarti dei poveri!”. E così, con quel pensiero fisso in testa, mano a mano che lo scrutinio si completava, il cardinale argentino di origine piemontese sentiva crescere dentro di sé la sicurezza che quello fosse il nome giusto. Perché San Francesco d’Assisi “è per me l'uomo della povertà, l'uomo della pace, l'uomo che ama e custodisce il creato”. Da qui, il suo profondo desiderio di “una Chiesa povera, e per i poveri”.

Si era definito nel primo discorso ai fedeli – cui aveva chiesto una benedizione prima di impartirla a sua volta – “nuovo vescovo di Roma”: era quello il dovere dei signori cardinali in Conclave, dare un nuovo vescovo a Roma, quella “tanta bella città” di cui era diventato guida e pastore. E gli eminentissimi porporati erano andati a prenderlo “quasi alla fine del mondo”, da una Buenos Aires dove era convinto di tornare (aveva già prenotato il biglietto di ritorno).

 

Alle periferie del mondo

Del resto, uno dei focus dell’azione pastorale di Papa Francesco è stato quello di andare alle periferie del mondo, nei luoghi più remoti della Terra, là dove i cattolici o anche le altre minoranze religiose non hanno voce, sono perseguitate e private dei più elementari diritti. Come nel caso dei Rohingya, popolo molto caro a Bergoglio, incontrato nel corso del suo viaggio apostolico in Birmania e Bangladesh (2017) e a cui ha sempre rivolto un pensiero e una preghiera.

Come del resto è accaduto lo scorso anno, in occasione del viaggio in Canada, incontrando le popolazioni dei nativi americani, perseguitate e vittime di violenze atroci: il Papa si è recato a pregare nei loro luoghi sacri per “risanare le ferite del cuore, terribile effetto della colonizzazione”.

O come quando, nel recente viaggio in Congo dello scorso gennaio, ha speso parole di vicinanza e perdono per le popolazioni dell’est del Paese, mutilate, offese, violentate, sfruttate.

 

I viaggi

Quelle dei viaggi (finora ne ha compiuti 40) sono state, in questi dieci anni, scelte oculate per Francesco, mete individuate di proposito, sempre rispecchiando quel preciso disegno ecumenico che lo ha portato ad accendere una luce nei luoghi più bui e dimenticati, a mettere in risalto culture e aspetti sociali di cui si parla troppo poco ma che sono lì, vivi e presenti. Dall’Albania (2014) al Madagascar (2019), dall’Uganda (2015) all’Iraq (prima volta per un Papa, nel 2021; una tappa sognata fin da Giovanni Paolo II), i viaggi apostolici di Francesco hanno disegnato una personalissima “mappa ecumenica”, che – senza dimenticare le tradizionali Giornate mondiali della Gioventù (in Brasile nel 2013, a Cracovia nel 2016 e a Panama nel 2019) – resta coerente ancora oggi al suo modo di intendere il Papato, di guida dei cattolici di tutto il mondo. Lo si è visto in occasione del recente viaggio in Sud Sudan, organizzato “a tre” con l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields.

Secondo la stessa, parallela impostazione, Papa Francesco ha da sempre denunciato, all’opposto, la tanto richiamata “cultura dello scarto”, il considerare comunità, persone, interi popoli come individui da escludere, da respingere, da dimenticare. Da qui l’attenzione speciale al tema delle migrazioni, l’accento posto sull’accoglienza dei profughi economici e politici (il suo primo, simbolico viaggio fu compiuto a Lampedusa, terra d’approdo e di naufragio). Una questione da affrontare a livello europeo, ha sempre ricordato Bergoglio. Lo si è visto anche nel caso della recente tragedia di Cutro: il Papa ha richiamato l’attenzione sull’urgenza di bloccare i trafficanti d’uomini, gli scafisti che mettono a repentaglio la vita di migliaia di disperati, parole fatte sue anche dalla premier Meloni.

Su questo tema si innesta il suo dialogo con l’Islam, uno dei successi di questo Papato: non è solo questione di accogliere i migranti, che trasformano il Mediterraneo nel “più grande cimitero del Pianeta”. Non è nemmeno questione di ricordare che siamo tutti fratelli. È, semmai, la necessità di far maturare quel rapporto con gli altri credi avviato con il Concilio Vaticano II. In questo senso, si spiegano la visita all'Università al-Azhar del Cairo, centro propulsivo dell'Islam moderato; la firma della Dichiarazione sulla Fratellanza di Dubai; l’incontro in Iraq con l'imam al-Sistani.

 

Il Covid e la storica preghiera in Piazza San Pietro

Tra i momenti topici di questi ultimi dieci anni, una delle immagini che non dimenticheremo mai è quella del Pontefice, spettralmente solo in una Piazza San Pietro buia, bagnata di pioggia e di paura, in occasione della supplica alla Madonna Salus Populi Romani per chiedere la fine della pandemia di Covid appena scoppiata. Era il 27 marzo 2020, pieno lockdown, con l’Italia e il mondo chiusi in casa per contenere il contagio.

La cerimonia religiosa fu scandita prima dalla liturgia della Parola, cui seguì l’intensa meditazione del Papa, che parlò di “fitte tenebre addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti”. Seguì la preghiera dinanzi al Crocifisso di San Marcello al Corso, che nel 1522 salvò Roma dalla peste. A distanza di tre anni, con il giusto distacco da quei tempi di sofferenza e incertezza, non ci sono dubbi sul fatto che Bergoglio ci abbia regalato un’istantanea storica tra le più forti del suo Pontificato.

Papa Francesco solo in Piazza San Pietro: è il 27 marzo 2020 Grzegorz Galazka/Archivio Grzegorz Galazka/Mondadori Portfolio via Getty Images
Papa Francesco solo in Piazza San Pietro: è il 27 marzo 2020

Gli appelli per l’Ucraina e la “Terza Guerra Mondiale a pezzetti”

In questi dieci anni, l’attenzione del Papa al perseguimento della pace tra i popoli e della cessazione di conflitti e violenze è sempre stata al centro del suo magistero. E da un anno, da quando in Ucraina è deflagrato il conflitto tra Mosca e Kiev, non c’è occasione in cui il Pontefice non spenda qualche parola per il “martoriato popolo ucraino”, per le sofferenze a cui sono posti i civili, i profughi, i rifugiati, soprattutto i più deboli, come donne e bambini. Tanto che, quando la diplomazia guarda alle personalità che più di altre potrebbero svolgere un ruolo di mediazione tra le parti in causa per agevolare la fine delle ostilità, Papa Francesco è uno dei riferimenti principali (a proposito di quello che si diceva all’inizio, uno dei leader mondiali più citati per esercitare un’azione concreta, una moral suasion proficua).

Anche a costo di recarsi personalmente in Ucraina e in Russia, per incontrare i rispettivi presidenti e chiedere a una voce, a entrambi, di far cessare le armi e far suonare le sirene della pace. Il suo desiderio di recarsi a Kiev (ma anche a Mosca) finora si è scontrato con la difficile situazione sul campo e sull’assenza di condizioni effettive e ottimali per svolgere le due “missioni”. Ma la tenacia e la determinazione di Bergoglio sono due dei suoi tratti più caratteristici, si può essere certi del fatto che continuerà a insistere su questo punto.

E, a riprova di quanto il tema sia al centro della sua azione, in occasione dell’ultima festa dell’Immacolata Concezione, l’abbiamo visto piangere ai piedi della Colonna mariana in Piazza di Spagna, pregando per la fine della guerra. Una guerra, tuttavia, che il Papa non circoscrive mai al solo Donbass, all’Est Europa, estendendola a tutto il mondo, a decine di regioni e di popoli: non è recente l’espressione, citata più volte, di una “Terza Guerra Mondiale a pezzetti”, un conflitto generalizzato a cui manca solo l’ufficialità di un’attribuzione storiografica ma che per il gran numero di nazioni e popoli coinvolti è, di fatto, già mondiale.

Gli incontri

Da infaticabile globetrotter e inguaribile ed eclettico estroverso (la sua anima latina), in questi dieci anni Papa Francesco ha incontrato le più grandi personalità del mondo della politica, della scienza, della cultura, dello sport e dell’arte. In incontri ufficiali o in visite private, il Pontefice argentino è stato di volta in volta immortalato con capi di Stato e presidenti (da Obama a Putin, da Trump ad Angela Merkel), con presidenti e premier italiani (Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi, Meloni, oltre a Sergio Mattarella), con autorità religiose di altre fedi e confessioni (dal rabbino capo della comunità romana, Riccardo Di Segni, all’ayatollah Al-Sistani, in Iraq). Sino ai momenti più intimi, privati, a volte anche in contesti istituzionali, con attori, attivisti, musicisti, uomini di cultura: da Greta Thunberg a Bono Vox, da Roberto Benigni a Diego Armando Maradona.

La salute: i dolori al ginocchio e la questione “dimissioni”

Un’attività frenetica e instancabile, insomma, che però negli ultimi tempi ha dovuto subire un rallentamento. La causa principale è il dolore al ginocchio provocato da una pregressa gonalgia che, con l’avanzare dell’età, si è andata accentuando. Nell’ultimo anno e mezzo lo si è visto spesso muoversi in sedia a rotelle o camminare con l’aiuto di un bastone. Del resto, Bergoglio è pur sempre un uomo di 86 anni, reduce da non pochi problemi di salute: quando era ragazzo, intorno ai 20 anni, soffrì di una seria forma di polmonite, che rese necessario asportargli la parte superiore del polmone destro. Poi, nel tempo, una forma di artrosi dell’anca ha rallentato il suo passo: nel 1994 subì un intervento per l’applicazione di una protesi, che secondo il parere di alcuni ortopedici sarebbe all’origine dei problemi attuali al ginocchio. Infine, l’operazione eseguita nel luglio di due anni fa al Policlinico Gemelli per una stenosi diverticolare del sigma (intestino), che ha comportato una rimozione di una parte del colon.

Uno stato di salute compatibile, in sostanza, con una persona della sua età. Tanto che ormai non c’è intervista o colloquio che faccia in cui non venga toccato il tema delle dimissioni, la rinuncia all’incarico sulla scia del suo predecessore, Joseph Ratzinger, che con un gesto eclatante aprì la strada alla sua ascesa al Soglio di Pietro. “Si governa con la testa, non con il ginocchio” ha sempre ribattuto Francesco, mettendo in chiaro che fin quando le forze glielo consentiranno, lui andrà avanti, senza eccessi e senza strappi, commisurando il tutto alle sue forze. Un fatto è certo, tuttavia: “Ho già firmato le mie dimissioni, in caso di impedimento medico” ha ribadito in una recente intervista dello scorso dicembre, facendo risalire già alla sua elezione l’eventualità di una rinuncia al ministero petrino, confermando lo sdoganamento della questione dopo il “gran rifiuto” di Benedetto XVI.

 

Il rapporto con Ratzinger

Terminata il 31 dicembre 2022, l’insolita coabitazione tra i due Papi è proseguita nel segno della reciproca stima e della grande considerazione di Bergoglio per Ratzinger, indicato sempre come maestro di fede ed esempio di santità da seguire. Il tutto a dispetto delle voci malevole, dei semi di zizzania sparsi dentro e fuori il Vaticano da una supposta fazione “ratzingeriana” (reazionaria) contro una altrettanto fantomatica fazione “bergogliana” (progressista).

Il Papa emerito Benedetto XVI e Papa Francesco nel 2013 Ansa
Il Papa emerito Benedetto XVI e Papa Francesco nel 2013

Niente di più falso: “La morte di Benedetto XVI è stata strumentalizzata”, ha detto chiaro e tondo Papa Francesco, ribadendo il suo sincero dispiacere per le dicerie circolate nelle ore immediatamente successive alla scomparsa del Papa Emerito. Ratzinger per anni è stato messo da una parte della Chiesa a fargli da contraltare. Bergoglio ha saputo gestire il passaggio evitando sia di farne subito un santo, sia di passare come il suo “liquidatore”.

Da parte sua, Bergoglio ha sempre manifestato un rispetto filiale per il predecessore, nonché vicinanza, con frequenti chiamate o visite. “È come avere il nonno saggio in casa” ha detto più volte, per riconoscere il coraggio e il sostegno che gli dava poter avere vicino a sé la saggezza, l'esperienza, l’umiltà e la sterminata cultura teologica del Papa emerito. “Ho sentito – raccontò Francesco di Benedetto – che alcuni sono andati lì a lamentarsi da lui perché ‘Questo nuovo Papa...’. Lui li ha cacciati via. Con il migliore stile bavarese, educato, ma li ha cacciati via. ‘C’è un solo Papa’, gli ha risposto”.

 

Le riforme

La vicinanza di Ratzinger, fin dal 2013, ha consentito a Bergoglio di proseguire lungo la via che era già stata tracciata da Benedetto XVI verso una completa riforma della Curia e della struttura di governo della Chiesa cattolica, riforme in parte suggerite, ispirate e avviate dal predecessore dopo lo scandalo Vatileaks, la fuga di notizie e il furto di documenti dalla scrivania del Pontefice. E così, Papa Francesco si è mosso verso una completa riorganizzazione della Congregazione per la dottrina della fede, anche in funzione della lotta ai casi di pedofilia all’interno del clero, per rendere questa battaglia più incisiva. Qui si è sentita tutta la sua modernità: diverse Chiese nazionali – la polacca, la cilena, la francese e l'italiana, persino la statunitense – sono state costrette al mea culpa e, in alcuni casi, rivoltate come calzini. Vescovi rei di insabbiamento cacciati, cardinali colpevoli di abusi sessuali ridotti allo stato laicale. Efficienti gesuiti – proprio come lui – messi a capo di alcune commissioni per contrastare il fenomeno. Il Codice è stato cambiato: la pedofilia non viene più vista come mancanza contro la Chiesa ma come reato contro la persona. Tra i frenatori, il cardinale Marx, che ha chiesto di non fare nulla. Francesco gli ha ricordato che è di Pilato il lavarsene le mani.

Ma Bergoglio, seppur al termine di ripensamenti e discussioni, ha approvato e varato anche la riforma della Curia, aprendo ai laici alcune cariche che prima era appannaggio esclusivo dei religiosi. Entrata in vigore, al momento è un libro aperto: si deve ancora vedere se arriverà a pieno regime e con quali risultati.

La riforma dello Ior, l’accorpamento di alcuni dicasteri, il progressivo riconoscimento del ruolo delle donne in posizioni chiave della struttura ecclesiastica: insomma, Francesco immagina, desidera e cerca di attuare sempre di più una Chiesa che abbia al suo centro Cristo e non le logiche del potere umano. Una Chiesa, quindi, improntata alla vera sinodalità. Un cammino, quest’ultimo, più che irto di ostacoli e di insidiose sabbie mobili. Il Papa ha dovuto allungarne i tempi, di fronte a sorde resistenze ma anche a fughe in avanti, come quelle della Chiesa tedesca. Resta aperto il grande tema del celibato per i sacerdoti, su cui appena ieri ha pronunciato parole dirompenti.

Le encicliche, i documenti, i concistori

Se si guarda, poi, ai documenti che ha promulgato, si ritrova una fedele e corrispondente rappresentazione di quella che è la “firma” del suo Pontificato, caratterizzato da una spiccata attenzione alle questioni ricorrenti dell’ecologia, della cura del Creato, della Misericordia, della fratellanza: dalla Lumen Fidei (2013) alla Laudato sì (2015) sino alla Fratelli tutti (2020), le Encicliche di Francesco scandiscono i suoi dieci anni da Pontefice all’insegna di precisi “fili conduttori”. Una delle idee più audaci e originali è quella di legare l'ecumenismo all'ambientalismo, proiettando la Chiesa in una nuova dimensione, una nuova missione, un nuovo ruolo guida per il mondo contemporaneo. Lo si è visto anche negli altri documenti pubblicati, oltre alle Encicliche: dalle Esortazioni apostoliche ai Motu Proprio. Su tutte, l’Evangelii Gaudium, sulla gioia di annunciare il Vangelo. Facendolo non come realtà distaccata e dottrinaria, che impartisce lezioni dall’alto della sua autorità. Ma come fatto umanissimo, come comunità che resta coinvolta, si mescola tra la gente, si sporca: la Chiesa “ospedale da campo dopo una battaglia”, immagine più volte evocata da Francesco.

Di quei fili conduttori, il più importante è sicuramente la Misericordia, fin dalla scelta del proprio motto (“Miserando atque eligendo”, “[lo vide] con sentimento di amore e lo scelse”). Proseguendo con la proposta di una speciale medicina, la “Misericordina”, suggerita nel corso dell’Angelus del 17 novembre 2013. Per continuare con il Giubileo straordinario della Misericordia, indetto sette anni fa. Nome e volto di Dio, la Misericordia è per Francesco il tratto più forte della sua Chiesa, il sentimento con cui il Papa invita ogni cristiano (e ogni singolo uomo) ad agire e operare nel mondo.

Papa Francesco apre la Porta Santa in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia Getty
Papa Francesco apre la Porta Santa in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia
Benedetto XVI e Papa Francesco in occasione dell'apertura della Porta santa per il Giubileo della Misericordia (2015) Ansa
Benedetto XVI e Papa Francesco in occasione dell'apertura della Porta santa per il Giubileo della Misericordia (2015)

Una naturale predisposizione dell’animo, riscontrabile anche nelle tante, molteplici declinazioni che, per Francesco, si possono dare a questa virtù: dal bando mondiale della pena di morte all’accoglienza verso le persone omosessuali (celebre la sua frase “Se una persona è gay e cerca Dio, chi sono io per giudicarla?”).

Le scelte del Papa si sono tradotte anche nei (finora) otto Concistori per la nomina di nuovi cardinali, con i quali ha ridisegnato il Collegio cardinalizio all’insegna di una “Chiesa francescana”, a immagine e somiglianza del suo Pastore, con tante “prime volte” e scelte dirompenti: prime porpore da Haiti, Birmania, Panama, Capo Verde, Tonga, Repubblica centrafricana, Bangladesh, Papua Nuova Guinea, Mali, Svezia, Laos, El Salvador, Lussemburgo, Brunei. E poi, ancora: la prima porpora afroamericana, oltre ad un cardinale di appena 48 anni (Giorgio Marengo), creato lo scorso anno. Nel 2018 si è toccato il record di ben 88 Paesi rappresentati nel Sacro Collegio; che, ad oggi, è composto da 123 cardinali elettori e 100 non elettori (in quanto ultraottantenni).

 

Sorprese e momenti divertenti: l’umanità del Papa

Nel Papato di Francesco non sono mancate sorprese, momenti insoliti, inattesi e divertenti, in cui Bergoglio si è lasciato andare a gesti spontanei e “leggeri”, senza risparmiarsi in battute e commenti che strappano un sorriso: è il caso dell’incontro in Piazza San Pietro con alcuni pellegrini messicani, in cui fu protagonista di un vero e proprio “siparietto” all’insegna della tequila. Oppure, di quando in occasione di una visita pastorale a Napoli, in cattedrale, fu letteralmente “assaltato” da un gruppo di suore di clausura, tra i commenti molto “partenopei” del cardinale della città, Crescenzio Sepe.

O, ancora, i tanti momenti in cui i bambini hanno cercato un contatto diretto con la sua figura. E lui non si è risparmiato nell’accoglierli e nel ricordare che la Chiesa di Cristo ha il volto dell’innocenza e della purezza dei più piccoli.

 

E così, sono passati dieci anni. Un tempo lungo ma relativamente breve, durante il quale il primo Pontefice gesuita della bimillenaria storia della Chiesa ha plasmato di sé, delle sue scelte e del suo stile (tanto osteggiato quanto amato), l’intera comunità cristiana, un popolo immenso e variegato: due miliardi e mezzo di persone che dai più lontani confini della Terra guardano alla propria guida, a quel Vicario di Cristo che continua a ispirarli.