Giorgio Fruscione, i gravi incidenti in Kosovo contro le forze Nato sono un bruttissimo segno di una situazione logorata assai. Perché è così instabile, a 24 anni dalla fine del conflitto, l'equilibrio tra serbi e albanesi? Cosa non funziona?
La situazione rimane instabile poiché non c'è un accordo giuridicamente vincolante tra le due parti e per anni è prevalso piuttosto l'approccio che tutela lo status quo invece di un compromesso. Questo significa che anche una questione apparentemente limitata nello spazio, come l'amministrazione dei quattro piccoli comuni del nord del Kosovo, e apparentemente limitata nella sua portata di potere, poiché si tratta della carica di sindaco, può generare alta instabilità politica a livello non solo dei due Paesi ma anche di tutta la regione
Qual è stato il ruolo dell'UE e degli Usa in questi anni? Ci sono state sottovalutazioni?
Ci sono state sicuramente sottovalutazioni e anche la comunità internazionale ha preferito preservare lo status quo. E questo ha favorito l'esplosione di tensioni che dalla scorsa estate si fanno sempre più frequenti e sempre più violente. L'UE ha mediato il dialogo sin dal 2011, arrivando agli accordi del 2013, anche se poi questi sono rimasti lettera morta e hanno reso necessario un nuovo accordo quadro, finalmente raggiunto, ma non siglato, lo scorso febbraio. Quanto agli USA, dopo i bombardamenti NATO si sono gradualmente disimpegnati dai Balcani, concentrandosi su altri contesti internazionali, per poi riprendere interesse per la regione solo negli ultimi anni, facendo da sponda diplomatica a Bruxelles in virtù della leva che può esercitare su Pristina in quanto principale sponsor della sua indipendenza.
La Russia di Putin ha tutto l'interesse a destabilizzare L'area balcanica per rendere difficile la vita alla UE e alla NATO. Che utilità trae la Serbia dal seguire la Russia? Stiamo parlando di un Paese che aspira, dal 2009, ad entrare nella UE.
La Serbia conta sull'alleanza politica con la Russia che non riconosce il Kosovo e che gode del potere di veto al Consiglio di Sicurezza. Un'alleanza quindi indispensabile per frenare, a livello internazionale, il processo di affermazione di Pristina. Belgrado mantiene un orientamento ambiguo della politica estera: oltre il 60% dell'economia dipende dall'UE, da cui riceve anche gli indispensabili fondi di preadesione, ma al contempo ha preservato le partnership con altri attori, che - ciascuno a modo suo - hanno parzialmente colmato il vuoto delle promesse di integrazione europea. L'influenza russa in Serbia e nei Balcani è quindi inversamente proporzionale al processo di adesione UE.
L'Albania che ruolo sta giocando?
L'Albania, in questa vicenda, non ha alcun ruolo. Anche se, in quanto Paese della regione e Paese candidato all'adesione UE, risente indirettamente delle tensioni, poiché queste allontanano tutti i Balcani dal comune obiettivo europeo.
Pensa che la situazione possa precipitare?
Non nella direzione di una guerra "tradizionale". E con questo non intendo minimizzare gli incidenti a livello locale, di cui risentono innanzitutto i cittadini. La guerra sarebbe un suicidio economico oltre che militare, poiché qui c'è la più grande base NATO al mondo, ma soprattutto non conviene politicamente alle due parti, che preferiscono impiegare la minaccia del conflitto come strumento politico, piuttosto che aprire un vero e proprio fronte di guerra.
Cosa può fare l'Occidente per evitare il peggio?
Accelerare il processo di allargamento UE, dando orizzonti temporali realistici, ma vincolandolo al rispetto degli standard UE e non tollerando più gli autoritarismi. L'allargamento UE è in grado di pacificare - col tempo - i territori contesi, offrendo una casa comune e un tenore di vita che non sia ostaggio di manipolazioni politiche e geopolitiche.
Nella ex Jugosĺavia vi sono altri possibili focolai di crisi?
Temo di sì poiché la questione identitaria viene sempre strumentalizzata all'occorrenza, soprattutto da leader politici autoritari. Oltre alla Bosnia Erzegovina, che vive una condizione di precarietà istituzionale sin dalla fine della guerra, va tenuto sotto osservazione il Montenegro: tra pochi giorni si vota e il partito dell'ex presidente Djukanovic potrebbe definitivamente perdere rappresentanza anche in parlamento. Questo potrebbe essere un passaggio non del tutto semplice e nella nuova maggioranza parlamentare potrebbero accrescere la propria rappresentanza partiti nazionalisti e filorussi.