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Dopo Parigi

Veglia per le vittime della strage del 13 novembre

Gli attacchi del 14 novembre a Parigi e le minacce lanciate a Roma, Londra e Washington sono la dimostrazione di quanto lo stato islamico sia oggi, come lo definisce il dipartimento di stato usa, la più grande minaccia terroristica del nostro tempo. La capacità di colpire a grande distanza, di far leva sul fanatismo religioso, di interpretare il disagio di grandi masse di religione musulmana ne fanno un pericolod i prima grandezza, soprattutto per il continente europeo.
A dispetto di quanto gli eventi delle ultime ore possano far pensare, però, l'obiettivo primo del movimento guidato da Abu Bakr al-Baghdadi non è tanto colpire il cosiddetto "nemico lontano" (Stati Uniti e alleati occidentali in primis), ma ricostituire quel califfato che fu abolito da Mustafa Kemal nel 1924 e, soprattutto, dar vita a uno stato "realmente" islamico. Uno stato chiamato a riunire sotto il suo controllo l'intero dar al-Islam e a imporre il rispetto di un'interpretazione radicale del messaggio profetico rigettata dalla stragrande maggioranza della comunità musulmana. Come si evince dall'analisi dell'ISPI, nostro partner nella realizzazione di questo documento web.

Nel corso dell'ultimo anno e mezzo molti gruppi hanno dichiarato la propria fedeltà al nuovo "califfo" e nuove province sono state formate in Nord Africa, nella Penisola Arabica e in Asia Centrale e Meridionale. Sebbene la loro rilevanza vari considerevolmente, nessuna è però assimilabile per importanza alle regioni siro-irachene controllate da al-Baghdadi. Quelle aree, definite sempre più spesso col nome di "Syraq", che hanno visto la nascita di al-Qa¢ida in Iraq (AQI - 2004), la sua evoluzione nello Stato Islamico dell'Iraq (ISI - 2007) e nello Stato Islamico dell'Iraq e della Grande Siria (ISIS - 2013) e, infine, la sua definitiva trasformazione nello Stato Islamico (2014). è proprio qui che IS combatte la sua battaglia principale. Uno scontro che lo vede contrapposto a una miriade di attori locali e internazionali che, nonostante le risorse impiegate, non sono ancora riusciti ad aver ragione di una formazione considerata solo nel 2010 prossima alla definitiva sconfitta.

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Lo Stato Islamico non è quel che dice di essere

Convoglio di jihadisti dell'Isis, 2014 - Ansa

Il nostro web-doc si intitola "ENIGMA ISIS" perché lo Stato Islamico non è quello che sembra e tanto meno quel che vuol sembrare. Le rivendicazioni, le esecuzioni di ostaggi, i proclami, i video ad effetto che rimbalzano sulla rete più che spiegare complicano la comprensione, aiutano la propaganda, confondono le piste e servono a scopi strategici e politici di volta in volta differenti. E' proprio la strategia di comunicazione sofisticata adottata dall'Isis a renderlo diverso dalla galassia terrorista di al-Qaida, quasi una riedizione in chiave islamista della vecchia disinformatia di scuola sovietica.

Noi siamo andati con pazienza e il sostegno scientifico dell'Ispi a rileggere i fatti, a metterli in fila per ricostruire la genesi del movimento, le sue caratteristiche, le operazioni effettivamente compiute sul terreno per accendere un faro sulla vera natura di questo movimento e sui suoi scopi. Notiamo che gran parte delle operazioni si svolgono lungo il corso del Tigri e dell'Eufrate, questo ci porta a pensare che l'obiettivo dell'Isis sia quello di serrare in una morsa Baghdad e affermare il controllo sulle zone sunnite dell'Iraq che il movimento intende sottrarre al governo di al-Abadi. In questo quadro le operazioni al confine del Kurdistan e nella Siria orientale servirebbero a proteggere le retrovie e a stabilire basi sicure. Eppure nella propaganda religiosa dell'ISIS gli obiettivi affermati sono altri, dalla ricostituzione del califfato alla conquista di Roma.

Scopriamo, come scritto dal settimanale tedesco Der Spiegel, che molti ex ufficiali del laicissimo partito Baath hanno trovato posto tra le fila di questo movimento che appare tanto ispirato dal fanatismo religioso, molti di loro erano nel gruppo fondatore, e sono tra i dirigenti. La narrazione che vede l'Isis pronto ad una crociata contro l'Occidente è basata su dati concreti o è solo propaganda per ottenere consensi e coprire altre operazioni? E poi, fino a che punto l'Isis è coinvolto nella partita per il controllo del Medio Oriente che si gioca tra Iran e Arabia Saudita e che spacca in due la umma musulmana tra sciiti e sunniti?

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Nascita ed evoluzione dello Stato Islamico

di Giuseppe Dentice, Matteo Colombo (Ispi)

Abu Bakr al-Baghdadi - Ansa

Il gruppo affonda le proprie radici nell'insurrezione che sconvolge l'Iraq post-2003. Dal 2004 è chiamato semplicemente al-Qaida in Iraq (AQI), visto che l'ex leader del gruppo, Abu Musab al- Zarqawi, giura fedeltà a Osama bin Laden.

Già a quei tempi questa formazione si contraddistingue per le proprie elevate capacità operative, per un consistente numero di guerriglieri stranieri, nonché per una forte interazione con le comunità arabo-sunnite locali. Nonostante il riconoscimento ufficiale della leadership di al-Qaida (AQ-Osama Bin Laden e Ayman al-Zawahiri), ben presto AQI inizia però a discostarsi dal tradizionale orientamento strategico di AQ, concentrandosi sull'obiettivo di innescare uno scontro settario tra sciiti e sunniti piuttosto che impegnarsi nel confronto con le forze stranieri presenti in Iraq.

La morte del leader carismatico al-Zarqawi (2006) e la perdita di consenso di AQI nell'Iraq centro-occidentale (a maggioranza sunnita) portano a un progressivo declino del gruppo. Sempre nel 2006, AQI cambia natura e nome, proclamando la nascita dello Stato Islamico in Iraq (ISI). Parallelamente il gruppo dirigente si trova a doversi confrontare con lo sforzo congiunto delle unità tribali sunnite e delle forze americane sul campo. Ne esce sempre sconfitto, tanto che nel periodo 2007-2009 il gruppo è fortemente indebolito. Riesce però a sopravvivere e a riorganizzarsi dando avvio a una fase di rinascita.

Intervista esclusiva a Bashar al-Assad di Monica Maggioni per RaiNews24

Il 2010 e il 2011 sono anni cruciali. Il ritiro degli Stati Uniti dall'Iraq, il prosieguo delle politiche settarie del governo al-Maliki nonostante i ripetuti appelli della comunità internazionale a bilanciare il patto sociale tra sunniti e sciiti, e infine l'incapacità dell'esercito iracheno nel controllare in maniera efficace il territorio sono tutti fattori che giocano a favore della rinascita di questo gruppo. Nello stesso anno muore Osama bin Laden. e al-Qaida è costretta a riorganizzarsi, allentando per qualche mese il controllo sui gruppi islamisti che operano nella regione, incluso ISI. Nel frattempo scoppia la rivolta in Siria contro Bashar al-Assad, che consente al gruppo iracheno di presentarsi come attore essenziale di una lotta regionale contro quelli che i jihadisti definiscono tâghoût (letteralmente "trasgressore" o "colui che supera i limiti" ovvero l'apostata interpretato anche come "tiranno apostata").

La denominazione Stato Islamico di Iraq e al-Sham (ISIS) viene assunta nel gennaio-febbraio 2013. In questo periodo il gruppo stava ricercando la fusione con Jabhat al-Nusra in Siria, fedele ad al-Qaida, ricevendo però un rifiuto da parte del leader qaidista Ayman al-Zawahiri. Dal febbraio 2014, AQ rompe qualsiasi legame con ISIS, che proclama il califfato il 29 giugno 2014, modificando il suo nome in Stato islamico (IS). Questo avviene dopo la conquista di Mosul (14 giugno 2014), la seconda città irachena, e dopo una serie di vittorie militari che conduce il gruppo alle porte di Baghdad.

Esclusiva RaiNews24 - L'inviata Lucia Goracci a Mosul nell'aprile 2015

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Timeline: l'avanzata dell'Isis in 24 tappe

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La "crociata islamica" secondo la profezia

Miniatura su un manoscritto medievale - Corbis

Una «letteratura del terrore», diffusa in rete in lingua araba, spiega in che modo l'Is sia determinato a provocare la reazione dell'Occidente. Quest'ultimo è definito categoricamente con il termine Rūm, letteralmente romano-bizantini che poi assume il significato ampio di «cristiani». L'Is non conosce sfumature né apprezza le differenze: l'Occidente è tutto cristiano e nemico dell'islam. Con un linguaggio volutamente arcaico - che incute timore nel pubblico meno colto e che suggerisce quindi un'idea subliminale di autorevolezza - questo gruppo di fanatici radicali spiega le motivazioni della loro provocazione continua: servirebbe a realizzare il futuro preannunciato in un hadíth, cioè in uno dei detti attribuiti al profeta Maometto.

La distruzione di Palmira - Olycom

Non solo: la visione escatologica e millenarista, che è parte fondamentale dell'ideologia dell'Is e di tutti i movimenti radicali dell'islam, è utilizzata per alimentare il reclutamento di combattenti che vengono convinti di essere «cuspidi della storia». I jihadisti lasciano i Paesi rum per raggiungere lo «Stato islamico» e consolidano così, secondo loro, la validità del presagio. Di fatto i combattenti dell'Is non fanno altro che cercare di ricalcare la profezia.

Nell'agosto dello scorso anno, ad esempio, hanno conquistato Dabiq - che, non a caso, è anche il nome della loro rivista «ufficiale» - a nord di Aleppo in Siria. Perché è un dettaglio importante? Perché secondo una tradizione musulmana è proprio in questa località che avrà luogo l'ultima battaglia tra l'esercito dei «crociati» - affiancati dai «falsi musulmani» - e quello dei «veri musulmani». Non c'è nemmeno bisogno di dirlo: l'esercito dei «veri musulmani» sarebbe quello dell'Is e lo scontro finirà con una loro vittoria, definitiva e senza appello.

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I documenti segreti e la riconquista di Baghdad

Oltre alla teoria della "crociata islamica", alcuni analisti internazionali parlano dell'Isis come un'organizzazione che ha ben poco in comune con al-Qaida, nessuna ispirazione religiosa in origine e una struttura basata sul modello dei servizi segreti iracheni su impulso di un gruppo di ex ufficiali di Saddam, laici se non atei, che avrebbero sfruttato in maniera fredda e opportunistica le parole d'ordine dell'integralismo religioso.

Il settimanale tedesco Der Spiegel è venuto in possesso di documenti top secret (i cui contenuti sono stati pubblicati nell'aprile del 2015), che gettano una luce sorprendente sull'organizzazione e la storia del sedicente Stato islamico in Iraq e Siria.
Le 31 pagine scritte a mano con elenchi, organigrammi e catene di comando, provengono dalla casa di Samir Abd Muhammad al Khlifawi, meglio conosciuto come Haji Bakr, ex colonnello dell'intelligence irachena sotto Saddam Hussein, considerato il vero architetto dell'Isis.

Secondo quanto emerge dai documenti, l'assunzione del controllo del nord della Siria sarebbe il frutto di un piano meticoloso coordinato da Haji Bakr, sfruttando le tecniche usate dal mukhabarat (i servizi segreti) di Saddam. Il territorio siriano rappresenterebbe, secondo i documenti, solo una base di partenza, una retrovia nella guerra che ha come obiettivo la riconquista di Baghdad da parte dei sunniti e la cacciata dal potere dei partiti filo sciiti.


Verso Baghdad
L'immagine che segue mostra l'avanzata dell'Isis verso Baghdad dal giugno 2014 al settembre 2015. Trascinando il cursore verso destra si può notare l'espansione dei territori controllati dallo Stato Islamico nella provincia di al-Anbar (zone grigie), mentre le forze irachene guadagnano terreno a nord di Baghdad (zone rosse). Le cittadine lungo il fiume Eufrate cadono in rapida successione sotto il controllo dell'Isis (pallini neri) mentre l'area in giallo è controllata dai curdi.
[map credits: pietervanostaeyen]


Gli ex funzionari di Saddam
Lo Spiegel racconta che dal maggio del 2003, a seguito dello smantellamento delle forze armate regolari irachene imposto dagli Stati Uniti, migliaia di ufficiali sunniti si sarebbero ritrovati improvvisamente senza lavoro e privati del loro sostentamento. Per riconquistare il potere, molti di loro avrebbero iniziato a combattere gli americani e il nuovo governo sciita di Baghdad, altri si sarebbero uniti all'Isis. Tra questi il "geniale stratega" Haji Bakr con il suo importante bagaglio di conoscenze acquisite durante il servizio nell'esercito di Saddam.

A sostegno di quanto rivela lo Spiegel, sempre nell'aprile del 2015 il quotidiano americano Washington Post pubblica un articolo dal titolo "La mano segreta che muove lo Stato Islamico? Gli ex ufficiali di Saddam Hussein".

L'articolo fa riferimento alla storia di Abu Hamza, ex ribelle siriano, che unitosi all'Isis per sostenere l'utopia islamista si sarebbe invece ritrovato a prendere ordini da misteriosi capi quasi tutti iracheni ex funzionari dell'esercito di Saddam, che avevano portato nel gruppo terroristico grandi capacità militari e la conoscenza dei canali di traffico illegale del petrolio per l'autofinanziamento.

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Isis vs. al-Qaida - Identikit di multinazionali del terrore a confronto

di Andrea Plebani (Ispi) e Università Cattolica

Militante di Al-Nusra Front ad Aleppo nel gennaio 2014 - Getty Images

Seppur unite da un retroterra culturale comune e dall'appartenenza alla galassia jihadista, al-Qaida (AQ) e l'auto-proclamato Stato Islamico (IS) presentano caratteristiche distinte a livello dottrinale, strutturale e operativo.

Piano dottrinale

Sia AQ sia IS considerano la restaurazione del califfato come il fine ultimo della loro azione. Se per al-Qaida, però, questo rimane un obiettivo di lungo periodo, per il sedicente Stato Islamico esso è realizzabile "qui e ora". È in questo contesto che va letta la scelta di proclamare la rinascita del califfato nel 2014, così come l'invito lanciato ai fedeli a compiere una nuova egira verso lo "Stato islamico". Posizioni, queste, totalmente osteggiate da al-Qaida, che ha contestato apertamente tanto la legittimità della proclamazione, quanto il profilo del "nuovo califfo".

Piano strutturale

Laddove al-Qaida si è posta come uno dei centri nevralgici della galassia jihadista senza pretendere di avere una leadership assoluta sulla stessa, il sedicente Stato Islamico non ha fatto mistero della sua volontà di dominarla. Anzi, proprio la proclamazione del 2014 contiene un esplicito riferimento alla superiorità di IS su tutte le altre forme di autorità all'interno del Dār al-Islām. Dal punto di vista organizzativo, inoltre, mentre AQ ricorre a un'impostazione strutturale fortemente decentralizzata e improntata alla forte autonomia delle sue componenti, IS si è configurata come un'organizzazione fortemente strutturata, con una chiara catena di comando e controllo.

Piano Operativo

Sembra paradossale visto il triste record di AQ, ma le atrocità commesse dal gruppo paiono quasi impallidire di fronte alla strategia del terrore totale applicata da IS. Un modus operandi che non ha esitato a colpire obiettivi considerati illegittimi dal diritto islamico e che ha presentato un grado di efferatezza tale da portare a molteplici condanne da parte di esponenti di punta della galassia jihadista

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Strategie e obiettivi della comunicazione

di Matteo Colombo (Ispi)

Jihadisti dell'Isis - Rita Katz/Site/Ansa

Il sedicente Stato Islamico (Is) è il primo gruppo terrorista ad avere ideato una strategia di comunicazione che ha l'ambizione di contrapporsi sia ai media internazionali sia di imporsi nel dibattito globale. Gli obiettivi sono almeno tre: influenzare l'opinione pubblica nei paesi nemici, convincere i musulmani a unirsi al jihad e creare consenso nei territori che controlla.

I media tradizionali

A livello locale la comunicazione dell'Is si basa soprattutto su strumenti tradizionali. Tra questi c'è Radio al-Bayan, che diffonde la voce del califfo anche nei villaggi più remoti. Non mancano inoltre i cartelloni propagandistici che invitano le donne al rispetto di precisi codici di abbigliamento o celebrano la supremazia della shari'a sulle norme statali. Il messaggio è che IS, in quanto stato, controlla il territorio, stabilisce le leggi e fornisce servizi.

Dabiq

La rivista ufficiale del sedicente califfato ha una grafica simile a quella dei grandi magazine internazionali. Gli articoli hanno l'obiettivo di presentare le azioni dell'Is come conformi alla giurisprudenza e alla tradizione musulmana e di diffondere il messaggio politico ufficiale dello Stato Islamico. Non mancano le invettive contro i gruppi jihadisti rivali, come Jabhat al-Nusra (al-Qaida), accusati di essersi alleati con le milizie "infedeli" che lottano per la democrazia.

I video

I filmati che precedono o seguono le decapitazioni di ostaggi sono solo una piccola parte di ciò che viene realizzato da IS. Diversi video mostrano il funzionamento di ospedali, scuole e mense, per attestare la capacità di IS di gestire il territorio. Inoltre non mancano le interviste ai combattenti che invitano i giovani musulmani a unirsi al jihad e le rappresentazioni di vita quotidiana nelle città del califfato, che mirano a crearne un'immagine di normalità.

I Social Media

La diffusione dei contenuti attraverso i social media è alla base della strategia di comunicazione di IS. Tra gli strumenti creati dal califfato ci sono i mujatweets: brevi video che raccontano alcuni episodi di vita quotidiana all'interno dei territori controllati. I combattenti riportano poi la loro vita attraverso gli account personali, diffondendo immagini che descrivono i mujahedeen come eroi che combattono per una giusta causa.

Da Osama bin Laden a Is, l'evoluzione mediatica della strategia del terrore

Il 7 ottobre 2001 l'emittente tv al Jazeera trasmette il primo videomessaggio di Osama bin Laden che aveva compreso l'importanza della comunicazione e dei media per l'attuazione della sua strategia del terrore. Inizialmente i filmati sono prodotti amatoriali, girati frettolosamente in bassa qualità: bin Laden, barba incolta e tuta mimetica addosso, minaccia l'America e l'Occidente parlando in arabo. Successivamente, si affida alla casa di produzione Al Sahab: i messaggi, girati con tecniche più avanzate, sono spesso sottotitolati e, soprattutto, non sono più diretti solo alle televisioni ma iniziano a circolare su Internet.


I video dell'Isis puntano dritto ai social media e al loro pubblico abituato a precisi canoni estetici. Le immagini in alta definizione sono patinate e montate alla perfezione, c'è una sceneggiatura e c'è una sapiente regia. Le inquadrature non sono più fisse e la telecamera si sposta su set curati nei minimi dettagli, che si tratti del deserto, del mare o della folla. Si sofferma sui volti mascherati dei boia e su quelli delle vittime immobili e sottomesse. In post produzione si aggiungono effetti speciali e musiche di sottofondo e la lingua usata è spesso l'inglese, perfetta per il popolo di Youtube.

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Dal petrolio al racket delle estorsioni, ecco come si finanzia

di Giuseppe Dentice (Ispi)

Vecchie banconote con l'effige di Saddam Hussein al mercato di Erbil - Getty Images

Secondo un report del febbraio 2015 stilato dal Financial Action Task Force (FATF) – ONG internazionale specializzata in studi sul riciclaggio di denaro e sui metodi di finanziamento terroristici – IS ha sviluppato importanti ed eterogenei canali di finanziamento delle proprie attività eversive. Le principali fonti di denaro derivano dai profitti illeciti sul territorio: controllo di giacimenti e impianti di raffinazione del greggio (11 pozzi petroliferi controllati sui territori di Iraq e Siria); rapine operate sugli asset economici dei territori occupati; tassazioni illecite di beni di qualsiasi tipo che transitano sui territori occupati.

Soldati siriani di guardia al giacimento petrolifero di Jazel, vicino Palmira- Getty Images

A questi si aggiungono rapimenti a scopo di estorsione, traffico di denaro, donazioni – effettuate anche da o attraverso charities – e, infine, il supporto materiale offerto dai foreign fighters. Allo stato attuale non esistono prove accertate di collegamenti tra IS e immigrazione illegale, così come non esistono dirette connessioni tra IS e il finanziamento illecito derivante dal traffico di esseri umani e beni artistici. È molto probabile, però, che esistano diversi soggetti che fungono da intermediari, altri che agiscono in collusione con IS, altri ancora che operano in totale indipendenza dall'organizzazione di al-Baghdadi. Ciononostante i vari soggetti sono tenuti a pagare una sorta di "pizzo" per fare da agevolatori nel passaggio dal luogo originario di partenza fino a quello di destinazione finale. Secondo quanto reso noto da fonti anonime dell'intelligence statunitense, IS riuscirebbe a guadagnare più di 3 milioni di dollari al giorno, disponendo di un capitale complessivo intorno ai 2 miliardi di dollari.

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Il viaggio di un barile di petrolio: dal pozzo al mercato
L'inchiesta del Financial Times

Giacimento petrolifero vicino Sheikhan, Mosul, Iraq - Getty Images

L'Isis controlla la maggior parte dei giacimenti di petrolio della Siria e il greggio è la sua più remunerativa fonte di reddito. Si parla di oltre 500 milioni di dollari incassati negli ultimi 12 mesi, come racconta un'inchiesta del Financial Times. Il quotidiano londinese ripercorre il viaggio di un barile di greggio dalla sua estrazione alla sua ultima destinazione, avvalendosi non solo delle analisi di specialisti del settore, ma anche delle testimonianze di persone coinvolte in prima persona nel contrabbando di petrolio tra la Siria e l'Iraq.

La principale regione produttrice di petrolio è la provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Lì vengono prodotti da 34.000 a 40.000 barili al giorno. Uno dei giacimenti principali è quello di Al Omar dove staziona perennemente una fila lunga 6 km di camion pronti a rifornirsi di greggio. Lungo il percorso, un suk improvvisato offre generi di conforto perché i tempi di attesa possono andare avanti fino a un mese. Arrivati al cospetto degli ufficiali dell'Isis, ai commercianti viene consegnato un foglio con l'appuntamento per ritirare il carico. Il greggio, acquistato a cifre che variano, in questa zona, da 25-30$ al barile, viene rivenduto a minimo il doppio o alle raffinerie della zona o direttamente sul mercato o a piccoli intermediari che lo faranno arrivare nel territorio dei ribelli e verso l'Iraq. La maggior parte degli operatori sceglie di liberarsi il prima possibile del greggio e tornare in coda. Non si tratta di una filiera improvvisata. Chi svela il meccanismo racconta di una struttura organizzata, di una “compagnia petrolifera” reale gestita fin nei dettagli da tecnici, ingegneri e manager molto esperti e reclutati anche all’estero, persino via whatsapp.

A differenza di al-Qaida, l'Isis trae la maggior parte dei suoi ricavi dal monopolio nel commercio del petrolio all'interno dei suoi confini e non dipende da raccolte occulte di fondi dall'estero. Il dilemma che la coalizione è chiamata ad affrontare è come colpire la principale fonte di finanziamento dei jihadisti senza creare problemi ai circa 10 milioni di civili che vivono nelle zone sotto il loro controllo in Siria e Iraq. Senza contare, poi, che il combustibile prodotto dall'Isis non viene consumato solo nel loro territorio, ma anche nelle aree contro cui è tecnicamente in guerra, come il Nord della Siria, in mano ai ribelli. "È una situazione che fa ridere e piangere", ha raccontato al Financial Times un comandante di ribelli di Aleppo, che acquistano gasolio dalle zone controllate dall'Isis, pur combattendo sul terreno i jihadisti. "Non abbiamo altra scelta, c'è forse qualcun'altro che ci offre carburante?".

Il giacimento petrolifero di Khubbaz, 25 km a ovest di Kirkuk, Iraq - Getty Images

Di fatto la principale minaccia posta alla produzione petrolifera dell'Isis, precisa il Financial Times, è l'esaurimento dei pozzi ormai vecchi della Siria, non disponendo della tecnologia necessaria per far fronte a un calo della produzione. E gli stessi bisogni di carburante dei jihadisti per le loro operazioni militari comportano anche meno disponibilità di petrolio da mettere sul mercato. Ma per il momento, nel territorio in mano all'Isis, i jihadisti continuano a gestire le forniture e non c'è carenza di carburante. "Tutti qui ne hanno bisogno: per l'acqua, per l'agricoltura, per gli ospedali, per gli uffici. Se viene tagliato, non c'è vita - dice un imprenditore che lavora nei pressi di Aleppo - l'Isis sa che il petrolio è una carta vincente".

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I personaggi: cariche e ruoli nello Stato Islamico

di Marco Arnaboldi (Ispi)

Il successo di IS è in parte dovuto alla capacità organizzativa e alla coesione strutturale che il gruppo ha saputo mantenere nel corso degli anni. Per questo, è utile comprendere le idee e gli uomini sui quali poggia la sofisticata architettura dello Stato Islamico. Proponiamo i profili di alcuni fra i più rilevanti esponenti del suo organico, che hanno ricoperto, in momenti diversi e su piani separati di comando, cariche di natura politica, militare, gestionale, economica e propagandistica.

I foreign fighters

Abilità e saperi contestuali sono giunti a IS anche grazie all'afflusso dei combattenti stranieri: secondo dati diffusi dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti nel maggio 2015, sono circa 30.000 i foreign fighters che si sarebbero uniti al gruppo. Il fenomeno di migrazione a scopo bellico, lungi dall'essere recente, ha comunque conosciuto una variazione quantitativamente significativa con il jihad siraqeno e qualitativamente innovativa, amplificando il range d'estrazione sociale e motivazionale dei combattenti. Presentiamo quindi due migranti occidentali che, seppur espressione di generazioni e milieu distanti, sono riusciti a raggiungere ruoli di prim'ordine nello spettro operativo di IS.

Abu Omar al-Shishani
il foreign fighter di ieri

"Il ceceno" Abu Omar, all'anagrafe Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili, è un comandante militare di IS. Ex sergente nell'esercito georgiano, al-Shishani è stato leader di Jaysh al-Muhajirin wa al-Ansar, una fazione a maggioranza caucasica impegnata nella guerra civile siriana.
Nel 2013 si unisce a IS, portando con sé grande expertise, carisma e uomini. Il suo ritiro dai riflettori ha alimentato una serie interminabile di notizie sulla sua morte, mai confermata. Si pensa sia oggi a capo di un battaglione d'élite di IS.

Abu Talha al-Almani
il foreign fighter di oggi

Il tedesco Abu Talha al-Almani si è radicalizzato in Germania e ancora prima di unirsi a IS è stato un esponente di spicco della scena salafita teutonica.
Da foreign fighter fa una breve esperienza bellica per poi decidere di dedicarsi alla sola attività propagandistica. Quindi fonda al-Hayat, ente mediatico in lingua inglese di IS, che pubblica la nota rivista Dabiq.
Almani, prima della partenza verso il califfato, aveva condotto la professione di cantante rap e prodotto con il nome di Deso Dogg tre album, pubblicati con la casa discografica Streetlife Entertainment.

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Il vero conflitto di interessi sul campo di battaglia in Siria

di Eugenio Dacrema (Ispi)

Kobane nel febbraio 2015 - LaPresse

Sul piano regionale vediamo il confronto tra i due storici rivali della regione mediorientale: l'Iran e l'Arabia Saudita. Nonostante tale rivalità sia spesso descritta come una competizione tra sciiti e sunniti, le due principali versioni della religione islamica che fondano le loro differenze negli albori della storia dell'islam, essa è prima di tutto una competizione politica per il potere e l'influenza politica e militare sulla regione.

E' proprio sfruttando fin dai suoi albori la retorica settaria sviluppatasi all'interno di questo conflitto "freddo" tra Arabia Saudita e Iran che l'Isis si è inserita con successo nel contesto siro-iracheno. Questo aspetto è emerso in tutta la sua chiarezza sin dai tempi di al-Qaida in Iraq (Aqi), quando Abu Musab al-Zarqawi aveva chiaramente indicato nella componente sciita irachena il target principale delle proprie azioni terroristiche, piuttosto che le forze militari statunitensi presenti nel paese. La distruzione della moschea di Samarra nel febbraio del 2006 e le stragi di civili inermi sono da leggersi in questa direzione. E' così che lo scontro inter-settario è entrato a far parte di una lotta tutta politica.

Peshmerga curdi combattono sul monte Zardak vicino a Mosul nel settembre 2014 - Getty Images

All'interno del teatro siriano troviamo l'Iran al fianco del suo alleato storico Bashar al-Assad. L'alleanza tra Iran e famiglia Assad risale ai primi anni seguenti la fondazione della Repubblica Islamica e non si è mai incrinata. L'Iran ha supportato il suo storico alleato con l'invio di fondi, mezzi e soprattutto combattenti. Al fianco dell'esercito di Assad troviamo infatti alcuni ufficiali e consiglieri delle Guardie della Rivoluzione, ma soprattutto miliziani provenienti dai numerosi gruppi armati che l'Iran controlla in tutta la regione, dall'Afghanistan al Libano. In particolare, la formazione politica e paramilitare sciita libanese Hezbollah ha contribuito con migliaia di uomini alle battaglie del regime siriano.

Sul fronte dei ribelli troviamo invece l'Arabia Saudita e i suoi alleati delle monarchie del Golfo come Qatar ed Emirati Arabi Uniti (EAU). Fin dall'inizio del conflitto civile i sauditi hanno sostenuto con denaro e armamenti i fronti ribelli. Hanno appoggiato in particolare le formazioni aventi una maggiore retorica religiosa sunnita e contribuendo così ad accentuare il carattere settario della rivolta. A sostenere i ribelli insieme all'Arabia Saudita troviamo la Turchia che però ha perseguito una politica maggiormente autonoma, volta a contenere l'espansione delle formazioni curde nel nord oltre che a far cadere il regime di Assad.

La distruzione a sud di Kobane nel giugno 2015 - Ansa

Nel caos e nel vuoto di potere determinati dal lungo conflitto civile si è infine inserita anche la formazione jihadista irachena Isi (Islamic State in Iraq) che ha sfruttato gli ampi spazi di manovra offerti dal caos siriano per espandersi in quel territorio – cambiando così il suo nome in Isis (Islamic State in Iraq and Syria-Stato Islamico in Iraq e Siria) – soprattutto a danno delle formazioni ribelli e dei curdi e ottenere un retroterra strategico per poter lanciare una nuova offensiva anche in Iraq, culminata nel 2014 con la conquista di Mosul. Il rapporto col regime di Assad è sempre stato ambiguo. I confronti militari diretti tra regime e Isis sono stati relativamente pochi rispetto a quelli che sia l'esercito di Assad sia lo Stato Islamico hanno ingaggiato con i ribelli, e molti osservatori internazionali hanno sottolineato come il regime abbia favorito l'espansione dell'Isis per accreditarsi come baluardo contro l'estremismo.

Sul piano internazionale si è osservato il riformarsi di schieramenti molto simili a quelli della guerra fredda, con la Russia da una parte e Stati Uniti ed Europa dall'altra. Durante il conflitto la Russia ha sempre mantenuto una posizione di fermo sostegno al regime siriano fino alla recente escalation che ha visto l'intervento diretto delle forze armate di Mosca. La Siria è infatti l'ultimo paese del Medio Oriente a intrattenere con la Russia relazioni militari e politiche privilegiate. La base navale di Tartus è l'unica base militare russa nel Mediterraneo e buona parte degli ufficiali dell'esercito di Assad hanno ricevuto parte del loro addestramento in Russia.

Bombardamento russo in Siria, ottobre 2015 - Ministero della difesa russo/Ansa

Più altalenante invece la posizione dell'Occidente che ha da subito sostenuto i ribelli, ma mai in modo particolarmente concreto. Le diffidenze verso il carattere settario dell'opposizione hanno sempre prevalso e sia Washington sia gli stati europei hanno finora preferito lasciar fare alle potenze regionali loro vicine, a cominciare dall'Arabia Saudita. Unico momento di abbandono di questa politica blanda è stata la crisi dell'agosto-settembre 2013, in seguito all'attacco chimico del regime che nella periferia di Damasco ha portato alla morte di oltre 1400 persone. In quell'occasione sia gli Stati Uniti sia stati europei come Gran Bretagna e Francia minacciarono un intervento diretto, avvertimento rientrato però in fretta a causa della contrarietà delle opinioni pubbliche.

Dopo la conquista di ampie porzioni del territorio iracheno da parte dell'Isis, nel 2014 gli Stati Uniti hanno dato vita a una coalizione internazionale volta a contenere e respingere la minaccia dello Stato Islamico sia in Iraq sia in Siria. Tale politica ha però portato a scarsi risultati anche a causa del rifiuto degli stati occidentali di intervenire in modo più massiccio usando forze di terra.

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Mappatura dei movimenti jihadisti affiliati allo Stato Islamico

di Giuseppe Dentice (Ispi)

Fin dalla proclamazione del Califfato il 29 giugno 2014, l'Isis ha definito una propria strategia di ampliamento del fronte dei combattimenti che gradualmente si è spostata dal solo scenario siro-iracheno a più teatri di crisi, come il Nord Africa, la Nigeria, l'Af-Pak (Afghanistan-Pakistan) e, più in generale, l'Asia centrale e orientale.

La bayah (dichiarazione di fedeltà e affiliazione) al califfo e il successivo riconoscimento dello stesso sono gli strumenti tecnici che sanciscono l'unione tra Isis e i diversi gruppi operanti nei singoli contesti territoriali. Esprimendo il riconoscimento dell'autorità e dello status di guida verso cui la si pronuncia, la bayah non stabilisce nel concreto il tipo di relazione e di cooperazione, tanto che l'Isis e i singoli gruppi affiliati hanno definito piani di azione tra loro differenti, rispondenti a esigenze tattiche e strategiche legate allo specifico fronte d'azione. In particolare, a seconda della rilevanza del territorio in cui Isis ha provato a radicarsi e del peso numerico e politico della formazione ingaggiata, i gruppi hanno perseguito strategie differenti. In alcuni casi, l'Isis si è limitata a rivendicare ideologicamente le operazioni realizzate (Algeria e/o gruppi del Golfo). In altri si è osservata una più stretta integrazione del piano operativo-militare con quello ideologico (Egitto e potenzialmente in Libia). L'ascesa e l'affermazione dell'Is in questi territori e la competizione innescatasi all'interno della galassia jihadista sembrano, dunque, aver provocato dinamiche di concorrenza/coesistenza, aumentando la pressione su queste aree.

Qui di seguito una mappatura dei principali gruppi jihadisti affiliati a IS in aree ritenute ad alto interesse strategico per l'Italia.

Algeria

Jund al-Khilafah fi Ard al-Jazayer (JKJ, Soldati del Califfo in Algeria) – Nata intorno alla seconda metà del 2014 da una branca di al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM) e attiva nel nord-est algerino, JKJ annovera tra le sue fila numerosi combattenti con alle spalle importanti esperienze jihadiste in Afghanistan e nella stessa guerra civile algerina. Salita agli onori della cronaca internazionale per il rapimento e la successiva decapitazione dell'ostaggio francese Hervé Gourdel (22 settembre 2014), dal dicembre del 2014 l'organizzazione ha subito un pesante ridimensionamento a causa sia dell'uccisione del suo leader Abdelmalek Gouri ad opera delle forze di sicurezza algerine, sia per i numerosi arresti di miliziani delle cellule ad essa affiliate tra Algeria e Tunisia, dove sarebbero attivi piccoli gruppi. Il 4 novembre 2014 Il califfo Abu Bakr al-Baghdadi ha approvato il giuramento di fedeltà del gruppo allo Stato Islamico.

Tunisia

Katiba 'Uqba ibn Nafa'a (KUIN, Brigate 'Uqba ibn Nafa'a) – Nata alla fine del 2012 da una costola di al- Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM), KUIN ha gradualmente adottato un'impostazione sempre più autonoma rispetto alla base qaidista maghrebina. Secondo alcuni centri di ricerca, KUIN sarebbe entrata ufficialmente a far parte dello Stato Islamico, ma non vi è unanimità di vedute a tal proposito. Il gruppo è composto da miliziani tunisini, algerini (e forse anche libici), con alle spalle importanti esperienze jihadiste in Afghanistan, Iraq, Siria e Libia. Il gruppo è attivo nelle zone di confine con l'Algeria, nell'area dello Jebel ech-Chaambi. Secondo una versione ancora ufficiosa il gruppo sarebbe stato responsabile dell'attentato al Museo del Bardo di Tunisi (18 marzo 2015), nel quale sono morte 24 persone, tra cui 21 turisti, e 45 sono rimaste ferite.

Libia

Rispetto alle altre "province" dello Stato Islamico, la Libia rappresenta l'unico caso in cui esistono almeno due entità che controllano alcune zone e/o città (Derna e Sirte). Nell'autunno 2014 a Derna un gruppo di giovani jihadisti, il Majlis Shura Shabaab al-Islam (Consiglio della Shura dei giovani islamici), si è unito con un gruppo di reduci libici che aveva combattuto in Siria e Iraq sotto il Califfato, fondando la Wilaya Barqa (Provincia di Bengasi, in Cirenaica), riconosciuta da Al Baghdadi che ha inviato emissari e leader per definirne le strategie. In seguito anche a Sirte (Tripolitania), città natale di Gheddafi, è sorto un gruppo pro-IS. Dalla sua caduta, la tribù Qaddafa è stata emarginata dal governo di Tripoli e accusata di connivenza con il passato regime. Parte dei giovani della tribù di Gheddafi ha quindi sposato la causa dell'IS per motivazioni politiche e ideologiche.

Egitto

Wilaya Sinai (Provincia del Sinai) – Sorto nel novembre 2014 all'indomani dell'approvazione della dichiarazione di affiliazione allo Stato Islamico da parte di al-Baghdadi, il gruppo era noto precedente come Ansar Bayt al-Maqdis (ABM, Partigiani di Gerusalemme). Sebbene sia attiva fin dal gennaio 2011, l'organizzazione è nota alle autorità egiziane soltanto dal luglio 2012 quando ha inizialmente attuato una strategia basata su attacchi dinamitardi contro le infrastrutture economiche sinaitiche. Fin dalle origini, ABM si è fondato su una doppia anima: da un lato quella localista, che afferisce alla comunità beduina, dall'altra quella che si richiama alle istanze jihadiste dei gruppi egiziani e internazionali. La gran parte dei militanti del gruppo ha avuto esperienze pregresse di jihad in Afghanistan, Iraq, Libia e Bosnia Erzegovina. Sebbene si richiamasse all'ideologia qaidista, la formazione non è mai stata ufficialmente parte dell'organizzazione fondata da Osama bin Laden. Dalla destituzione di Mohammed Morsi nel luglio 2013, il gruppo ha partecipato attivamente all'escalation di violenze nel paese, coltivando rilevanti collegamenti con altre realtà jihadiste locali e transnazionali. La formazione opera principalmente nei territori del Sinai settentrionale, ma da oltre un anno ha radicato la sua presenza anche nell'Egitto continentale. Anche per effetto della bayah, il Wilaya Sinai è il gruppo più pericoloso tra quelli affiliati allo Stato Islamico e mantiene diretti collegamenti militari ed ideologici con la centrale siro-irachena, come dimostrato anche dai numerosi attentati altamente sofisticati contro le forze di sicurezza egiziane.

Arabia Saudita

Wilaya al-Haramayn/Wilaya Najd (Provincia dei due luoghi sacri/Provincia del Najd) – A differenza dei gruppi nordafricani, le organizzazioni delle due province di Arabia Saudita e Yemen – a lungo silenti e incapaci di esercitare una qualche forma di controllo sul territorio – hanno incentrato la loro strategia operativa nell'attaccare obiettivi legati alla dimensione sciita, spregiativamente definita rafida (ossia negazionista o apostata, poiché non considerati dei veri musulmani) e contro i quali lo stesso califfo aveva esortato tutti i sunniti del Golfo ad insorgere in una campagna militare. Noto precedentemente come Mujahideen of the Arabian Peninsula, il gruppo sarebbe sorto nella seconda metà del 2014. La formazione si è resa nota soprattutto per i suoi attentati letali (22 e 29 maggio 2015) contro le moschee sciite del Qatif, ad al-Qadeeh e Damman, nel quale sono morte complessivamente una trentina di persone. Solo poche settimane più tardi, il 26 giugno 2015, il gruppo avrebbe rivendicato anche l'attentato contro la moschea sciita di Kuwait City, nel quale hanno perso la vita 25 persone.

Yemen

Wilaya Yaman/Wilaya Sana'a (Provincia dello Yemen/Provincia di Sana'a) – Molto simile per tattiche, tipologie e obiettivo finale degli attacchi è anche la branca yemenita dello Stato Islamico (IS), il Wilaya Yaman/Wilaya Sana'a sarebbe sorto anch'esso nella seconda metà del 2014 e si è affiliato ufficialmente a IS nel novembre dello stesso anno. Il gruppo si è reso protagonista durante la primavera-estate 2015 di alcuni importanti e letali attentati contro alcune moschee sciite a Sana'a, entrando direttamente in competizione con al-Qaida nella Penisola Arabica (AQAP). Sebbene sia ancora lontano dalla stessa capacità operativa di AQAP, la crescita militare del gruppo pone un'ulteriore variabile nel già intricato e instabile quadro yemenita.