Una rifugiata politica critica il sistema dell'accoglienza

Iryna Panchenko ha chiesto e ottenuto asilo: in Ucraina rischiava la vita per motivi politici. Ma in Alto Adige ha scoperto che anche una persona qualificata e autonoma come lei rischia di cadere nella povertà estrema

Iryna Panchenko è arrivata in Alto Adige nel 2018, il primo posto dove ha potuto trovare un ricovero all'estero dovendo lasciare al più presto l'Ucraina temendo per la propria vita: è un'avvocata che aveva fondato un'associazione di lotta contro la corruzione.
Ci sono voluti due anni perché le venisse concesso lo status di rifugiata politica. Che la lega indissolubilmente al nostro Paese a causa della convenzione di Dublino, che prevede che un rifugiato debba rimanere nel Paese di prima accoglienza.
Panchenko è una persona estremamente qualificata. Oltre all'ucraino e al russo parla perfettamente l'inglese, conosce numerose lingue slave, sta imparando l'italiano e il tedesco. Ma, nonostante abbia esperienza internazionale come avvocata anche all'interno di aziende multinazionali, le vengono offerti solo i lavori meno qualificati. Lamenta l'assenza di programmi che la aiutino a integrarsi, e il suo giudizio sul'assistenza ricevuta dalle strutture di accoglienza è molto negativo. Sono "infrastrutture di povertà", dice, fatte per aiutare chi si trova in condizioni di povertà estrema, ma che fanno poco o nulla per chi sarebbe in condizioni di cavarsela da solo con un minimo aiuto. E che quindi rischia di ritrovarsi ugualmente sul lastrico.
Secondo Panchenko, la struttura emergenziale dei grandi centri di accoglienza tende a mantenere le persone nello stato di bisogno, anche perché tratta tutte le persone allo stesso modo. In Alto Adige i percorsi SAI (ex SPRAR), che offrono assistenza mirata alle persone e sono finanziati con fondi europei, non sono sufficientemente utilizzati.

Nel servizio, insieme a Iryna Panchenko, è intervistato Thomas Brancaglion, che le fa da assistente legale.