Dall'Istria di Rumiz alla Kamčatka di Phillips

Il reportage dell'immediato dopoguerra balcanico dello scrittore triestino, e la violenza di genere nell'estremo est russo, negli incontri in videoconferenza di mercoledì

Allora era cronaca; oggi, forse, già storia. Vento di  terra torna in libreria, ad un quarto di secolo dalla  sua uscita. «Vivo due sentimenti contrastanti rispetto  alle frontiere» racconta Paolo Rumiz. «Da un lato,  intralcio, dall'altro, garanzia di diversità. Vorrei che  sparissero, eppure ci sono attaccato». Da qui nacque quel racconto dell'Istria e di Fiume:  1994, la guerra non era ancora finita. «Sull'Istria si concentravano le preoccupazioni e le  paure del Governo croato» spiega Rumiz. «Zagabria  guardava a questa terra - che possiamo definire senza  paura "plurale", perché vi convivevano istroveneti  (quindi, diciamo genericamente, italiani) sloveni e  croati - e temeva di lasciarsela scappare di mano. Una  terra infida».

Rumiz parla di un istinto "mimetico" capace di sfuggire  alla logica dello scontro. Allora lo scrittore indicava  l'Istria come laboratorio per l'intera Europa; oggi è  convinto che quella regione può fare da sismografo di un'Europa scossa tra coesione e sovranismo.

Si muove invece dall'altra parte del pianeta La terra che scompare, esordio della statunitense Julia Phillips,  pubblicato in 20 paesi, tra cui l'Italia, dopo il successo in patria. Siamo in Kamčatka, terra dove l'autrice ha vissuto.  Dodici capitoli, uno per ogni mese e per un diverso  personaggio femminile. In un pomeriggio di agosto,  spariscono due sorelle: una vicenda che il lettore potrà  ricostruire solo grazie ad un filo comune, e alle tante  voci del romanzo, tra giallo e thriller. 

«Sono partita dall'idea che la violenza nasca da chi  cerca di soggiogare gli altri perché egli stesso subisce  violenza» ha spiegato Phillips. «Ho raccontato una  società patriarcale e disgregata, ma le stesse dinamiche  di sopraffazione ed emarginazione possono essere trovate  anche da noi.»