Agricoltura

Cinghiali, Coldiretti: "Persi per causa loro 80mila ettari"

"Ungulati". Un documentario di Stefano Rogliatti e prodotto da Coldiretti svela cosa non ha funzionato nella campagna di contenimento. I timori per la peste suina e le amministrazioni che remano contro. Scarsi gli abbattimenti

L'emergenza cinghiali in Piemonte è scoppiata ben prima dell'epidemia di peste suina africana e non sono stati presi provvedimenti necessari a fermarla. Lo documenta la video inchiesta Ungulati, emergenza sul territorio, realizzata dal giornalista Stefano Rogliatti e presentata oggi, a Torino, dalla Coldiretti. “A causa dei cinghiali - fanno notare Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti Piemonte, e Bruno Rivarossa, delegato confederale - sono già stati persi circa 80mila ettari che, se fossero tutti coltivati a frumento tenero, corrisponderebbero a 600 milioni di kg di pane. In Piemonte, ad oggi, dopo 6 mesi dal primo caso di peste suina e a 3 dalla firma dell'ordinanza regionale che aveva dato il via libera a misure straordinarie, sono stati abbattuti solo poco più di 2000 cinghiali. Quando l'obiettivo è quello di arrivare almeno a 50 mila. Serve, quindi, necessariamente una proroga dell'ordinanza, almeno fino a fine settembre, quando si auspica sarà stato definitivamente approvato il Piano regionale di interventi urgenti e inizierà, parallelamente, la caccia programmata”. 

C'è chi rema contro

Secondo gli esponenti di Coldiretti, però, “è ancor più è necessario superare una serie di prese di posizione inaccettabili e strumentali da parte delle amministrazioni provinciali, degli ATC (Ambiti territoriali di caccia) e CA (Comprensori alpini), ovvero di quei gruppi di potere che stanno di fatto rallentando e, in alcuni casi, bloccando l'operatività”. Capitolo ristori alle imprese: "Se da un lato - concludono Moncalvo e Rivarossa - sono stati stanziati dall'assessorato all'Agricoltura della Regione Piemonte 1,8 milioni di euro come aiuti straordinari rispetto ai danni subiti, dall'altro i criteri di pagamento sono riduttivi in quanto non valorizzano le razze suine più pregiate, quelle autoctone e gli allevamenti allo stato brado o semibrado".