L'ordinanza del Tribunale

Violenze in carcere a Biella, 23 agenti sospesi per "tortura di Stato"

Secondo il Gip c'era all'interno della casa circondariale vi era un clima punitivo e di sopraffazione tra botte e violenze

Botte. Violenze fisiche e psicologiche, uso di nastro adesivo per contenere i detenuti nonostante non fosse previsto dalle norme, per un clima, all'interno del carcere di Biella, di sopraffazione. La Procura ha sospeso 23 agenti della Polizia penitenziaria per il reato di tortura di Stato, commesso all'interno della casa circondariale di Biella. La durata delle sospensioni è stata decisa considerato il coinvolgimento di ciascuno degli agenti coinvolti.  Gli indagati erano 28.

Ad eseguire la misura il Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Biella

Parole dure e chiare, quelle scelte dalla Procura, che in un comunicato ha ripercorso il cammino che ha portato alla decisione. Tutto è iniziato il 3 agosto 2022: il Vice-Comandante pro tempore aveva redatto una “comunicazione di notiza di reato” nei confronti di un detenuto deferito in stato di libertà "per aver posto in essere atti di violenza e minaccia nei suoi confronti, nonché per oltraggio a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato”. 

Nella stessa notizia di reato, si dava atto, minimizzando la circostanza, della “necessità” di impiegare del nastro adesivo per contenere per un tempo minimo, pari a qualche minuto, il detenuto, nonostante lo stesso fosse già ammanettato, e ciò in esplicito contrasto con il divieto previsto dall’art. 41 della Legge sull’Ordinamento Penitenziario. 

La Procura ha quindi avviato indagini che hanno dimostrato come il fatto in questione sarebbe l'ultimo di una serie di atti di violenza fisica ai danni del detenuto. Gli investigatori hanno scoperto che il Vice-Comandante e gli altri agenti sottoposti ad indagine avrebbero avuto la stessa condotta in almento altre due occasioni a danno di altrettanti detenuti. 

Delle tre vittime soltanto uno aveva deciso subito di procedere penalmente nei confronti del Commissario mentre gli altri, sfiduciati e spaventati da possibili conseguenze nonostante il trasferimento in altre carceri, in un primo tempo hanno scelto di non agire. I tre casi presentavano forti analogie, come la presenza di pregresse denunce, talora concomitanti alle violenze subite, per reati di resistenza, oltraggio e minaccia a Pubblico ufficiale. 

I Pm titolari delle indagini hanno quindi interrogato i detenuti in qualità di persone offese. Questi hanno rilasciato dichiarazioni accusatorie nei confronti degli agenti. Parole che sarebbero state confermate dai filmati delle telecamere e da quanto scritto nei referti medici. Per questo la Procura ha deciso per l'emissione di misure cautelari custodiali e interdittive nei confronti di 28 appartenenti alla Polizia penitenziaria di Biella.

La posizione di uno dei tre, accusato di minaccia e di oltraggio a pubblico ufficiale è stata archiviata. Inoltre, continua la Procura, le condotte dei detenuti non potevano essere punite a causa degli atti arbitrati che i pubblici ufficiali avrebbero condotto nei loro confronti. 

La Procura, quindi, ha ipotizzato la sussistenza del reato di falso ideologico con riferimento a quanto scritto nella notizia di reato dal Vice-comandante, nonché il reato di abuso di autorità ex art. 608 del codice penale da parte di tutti i pubblici ufficiali coinvolti nell'applicazione del nastro adesivo. 

Oltre a tale reato, sono emerse condotte qualificabili come lesioni personali, in quanto i detenuti erano stati colpiti con calci pugni e schiaffi mentre erano ammanettati e denudati, nonché, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e tortura c.d. di stato, ai sensi dell’art. 613 bis del codice penale, apparendo indubbio che contenere su tutti gli arti un detenuto, denudarlo, aggredirlo, insultarlo e minacciarlo configuri un trattamento inumano e degradante.

Scrive la Procura: "L’integrale ipotesi accusatoria, secondo cui esiste all’interno del Carcere di Biella un metodo punitivo ed un clima di generale sopraffazione creato e coltivato dal Vice-Commissario, con la complicità o la connivenza di altri agenti della polizia penitenziaria, secondo l’ordinanza del GIP, “trova precisi elementi di sostegno”, potendosi, tali metodi, essere definiti crudeli, determinando nei detenuti una serie di sofferenze fisiche e di umiliazioni non necessarie e che eccedono la normalità causale”. 

Gli agenti sono stati sospesi anche perché, sostiene la Procura, gli ordini del Vice Comandante “non potevano essere considerati legittimi, presentando plurimi contrasti con l’ordinamento penitenziario e con le circolari DAP”. Tali ordini, continua la Procura, “per quanto provenienti da un superiore gerarchico, non presentavano il carattere dell’insindacabilità, trattandosi di ordini che comportavano l’integrazione di singole fattispecie di reato diverse dalla tortura”.