Da venerdì 19 a domenica 21 aprile

Massimo Ghini e Paolo Ruffini sono "quasi amici" all'Alfieri di Torino

Rispetto alla versione cinematografica, nell'adattamento teatrale il ruolo di Philippe, l’uomo sulla sedia, è riequilibrato, perché nella versione cinematografica è molto sbilanciato il racconto a favore di Driss

Massimo Ghini e Paolo Ruffini sono "quasi amici" all'Alfieri di Torino
Tgr
Massimo Ghini e Paolo Ruffini in Quasi amici

"Quasi Amici ” di Eric Toledano e Olivier Nakache è una storia importante, di quelle storie che meritano di essere condivise e raccontate. Anche con il linguaggio delle emozioni più̀ profonde: quello teatrale. Quello proposto all'Alfieri di Torino con Massimo Ghini e Paolo Ruffini è un adattamento per il teatro che permette di dilatare, in drammaturgia teatrale, quelle emozioni che nascono per il cinema con un altro linguaggio, non solo visivo, ma anche filmico. 

Due uomini talmente diversi da costituire una teorizzazione dell’antimateria. Un uomo molto agiato, ricco, intelligente, affascinante; un uomo che vive di cultura e con la cultura vive, che si muove e conquista e soddisfa il proprio ego narcisistico con il cervello più̀ che con il corpo.

Un uomo a cui il destino ha voluto, per contrappasso, relegare a solo cervello, facendolo precipitare con il parapendio e fratturandogli la quarta vertebra cervicale e riprendendosi il corpo. Quel corpo, che era solo un bagaglio della mente, ora nell’assenza, diventa il fantasma di un’identità̀ da inseguire e recuperare. 

E un altro uomo che entra ed esce di galera, sin da ragazzino, svelto, con una sua intelligenza vivace e una cultura fatta sulla strada e nei film di serie b, che ha visto. Ma decisamente smart. Un uomo che preferisce porre il suo corpo avanti a tutto e lasciare il cervello quieto nelle retrovie. Un corpo che, da subito, ha cercato di farsi strada nelle periferie degradate, in cui un’incertezza diventa come in natura, essenziale per determinare il proprio posto nella catena alimentare. Un predatore che in realtà̀ è una preda delle proprie debolezze.


Un uomo che si è privato della carica del cervello che avrebbe potuto essere per lui determinante. 

Questi due uomini si incontrano per un caso e questo caso farà̀ sì che diventino uno per l’altro indissolubili, l’uno indispensabile alla vita dell’altro e lenitivo alla ferità fatale che ognuno ha dentro di sé. Non lo sanno ma loro possiedono un dono che ognuno può̀ donare all’altro: la leggerezza. 

Nell’adattamento teatrale il ruolo di Philippe, l’uomo sulla sedia, dovrà̀ essere riequilibrato, perché nella versione cinematografica è molto sbilanciato il racconto a favore di Driss, l’uomo che arriva ad aiutarlo. 

Nella versione teatrale i due ruoli saranno equiparati per poter scavare molto di più̀ nel loro rapporto e nella loro ricerca di questa leggerezza calviniana che ci faccia emozionare, godere e ridere fino alle lacrime se necessario e alle lacrime anche arrivare nelle emozioni profonde, sulle loro riflessioni, sulla loro vita e sulle loro backstory.