Iride Peis, le mie donne in miniera escono dall'oblio

"Un lavoro massacrante che ha aperto la strada all'emancipazione"

Iride Peis, le mie donne in miniera escono dall'oblio
Ansa
La miniera di Montevecchio a Guspini

Ha usato estro e poesia per riportare alla luce le storie delle donne di miniera. Con la sua scrittura Iride Peis Concas, 83 anni, di Guspini, ha fatto immaginare quel percorso di diversi chilometri alle prime luci dell'alba intrapreso da mamme e figlie che a piedi nudi raggiungevano il luogo di lavoro. Storie drammatiche di sfruttamento, lavoro massacrante, rischioso, paghe da fame, diritti negati, ma anche di solidarietà, coraggio e forza per lottare per migliori condizioni di lavoro. Una memoria restituita alla collettività attraverso le sue preziose pagine. Dieci anni dopo, il premio "Donna sarda dell'anno" istituito dal Lions club Lioness presieduto da Eralda Roscia, ritorna a Guspini. Dopo l'innovatrice green Daniela Ducato, quest'anno il riconoscimento è stato assegnato a Iride Peis Concas . Il 4 maggio 1871 nella miniera di Montevecchio a Guspini, dove venivano estratti minerali di piombo, zinco e argento, morirono undici tra donne e bambine. Oltre cento anni dopo, Iride Peis ha dato un nome e un volto a quelle morti bianche e restituito la memoria a una pagina tragica e dimenticata. Una storia di miniera sepolta negli archivi di Stato che l'allora sovrintendente Roberto Porrà ha portato alla luce e la scrittrice ha fatto rivivere in uno dei suoi saggi del 1992, "Donne e bambine nella miniera di Montevecchio", per impedire a questa e altre vicende legate a quell'epopea di diventare "polvere sospesa che la storia forse avrebbe dimenticato". Ex maestra elementare, scrittrice, attiva nell'impegno solidale e nella valorizzazione del territorio, una vita trascorsa a Montevecchio con il marito, medico della miniera, Iride ha raccolto tante voci di donne. "Lavoravano all'aperto, esposte alle intemperie, le cernitrici. Separavano il minerale utile da quello di scarto, spingevano pesantissimi vagoni dalla bocca della miniera ai piazzali - racconta  - Ammalarsi non era loro concesso e un giorno dopo il parto erano già al lavoro, per non perderlo. Negli archivi di Guspini ho trovato in un documento del 1985 un lungo elenco di lavoratrici anche di 10, 12, 13 anni". Ma ci sono altre storie nella penna della scrittice, storie di vita quotidiana, di madri, mogli, lavoratrici, alleanze, solidarietà, intrecci di saperi tra donne di altre regioni d'Italia. "In situazioni di duro lavoro hanno lottato per rivendicare i propri diritti, hanno sfidato regole, infranto tabù, al lavoro e in famiglia, superando i pregiudizi di una società patriarcale - chiarisce - Attraverso il loro esempio, hanno spianato la strada verso l'indipendenza ad altre donne. La loro tenacia assieme al coraggio di alzare la voce contro soprusi e discriminazioni si è fatta memoria del luogo. Come se quel loro faticoso percorso a piedi nudi avesse lasciato una traccia, un segno di continuità tra passato, presente e futuro. Ma anche una capacità di guardare al nuovo, di cercare in questa terra dalle vene d'argento, nuovi filoni di innovazione".