A Palermo con Letizia Battaglia il magistrato Calia e la giornalista Pisu

Caso Mattei, in mostra le prove: fu un attentato

Ai cantieri culturali della Zisa in esposizione le foto scattate sul luogo dove precipitò l'aereo. E poi gli effetti personali di Enrico Mattei e alcuni pezzi del velivolo sopravvissuti alla veloce "archiviazione" (furono fatti fondere poco dopo)

Caso Mattei, in mostra le prove: fu un attentato
Tgr
Nel 1994 l'allora sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia riapre le indagini sulla morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei. Sono passati 32 anni da quel 27 ottobre 1962 in cui oltre a Mattei morirono il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista del "Time" William McHale. Quella di Calia è un'inchiesta anche sul campo: viene riesumata la salma, fatti scavi a Bascapè per trovare pezzi dell'aereo scampati alla prematura fusione, voluta all'epoca dalla Snam.
 
Il servizio di Antonio Sansonetti 
La conclusione del magistrato è che si sia trattato di un attentato, e non di un incidente, realizzato collocando una carica di tritolo che esplose a pochi centimetri da Mattei quando il pilota azionò il comando dell'apertura del carrello, operazione preparatoria all'atterraggio: l'aeroporto di Linate distava solo 30 km.
 
L'intervista a Vincenzo Calia: "Così l'aereo di Mattei è stato abbattuto"
L'esito tuttavia nel 2003, a 9 anni dalla riapertura dell'inchiesta, è quello dell'archiviazione: perché se sono chiari i contorni del fatto, è impossibile - per la morte di tutti i testimoni diretti - individuare i protagonisti, i mandanti e gli esecutori materiali del delitto.

Nel 2017 la giornalista Sabrina Pisu scrive a quattro mani con Vincenzo Calia "Il Caso Mattei" (Chiarelettere), un libro in cui si ricostruisce anche il clima che precedette la morte di Mattei, nonché i depistaggi e le manipolazioni, fatte anche dalla stampa.
 
L'intervista a Sabrina Pisu: "Sappiamo con certezza che Enrico Mattei è stato ammazzato. Gli inquirenti dell'epoca avevano tutti gli elementi per arrivare alla verità. Questo caso è segnato come tanti altri nel nostro Paese da omissioni, depistaggi, manipolazione della verità, soppressione delle prove"
Un esempio delle tante manipolazioni della documentazione sull'attentato di Bascapè: fra il 1969 e il 1970 (l'anno in cui uscì il film di Gianfranco Rosi) scompare la traccia audio dall'intervista della Rai al contadino Mario Ronchi, un testimone diretto:

Ai giornali raccontò che "il cielo era rosso, bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutte intorno... Un aeroplano si era incendiato e i pezzi stavano candendo sul prato, sotto l'acqua". Ronchi venne intervistato anche dalla Rai. Il giorno dopo le sue rivelazioni lo prelevarono da casa per portarlo a San Donato, alla sede della Snam. Per uno come lui, che abitava in cascina e la sera della tragedia era andato a prendere sua figlia con il trattore, entrare nella sede vetrocemento della Snam era come entrare in un disco volante. La sua vita, da allora, cambiò in meglio, sostiene l'accusa. Diventò più facile, più ricca. Lui disse di non aver visto niente.

Gli costruirono una strada nuova per la cascina. Gli affidarono, in cambio di un fisso annuo, la custodia della tomba-ricordo della tragedia in mezzo alla piatta campagna. Il fratello di Eugenio Cefis, che diventò presidente dell'Eni al posto dello scomparso Mattei, gli assunse la figlia in un'azienda.

"Qualcuno" era stato così attento a cancellare quel testimone che persino una sua intervista, rilasciata alla Rai, venne manipolata: come in un giallo, negli archivi Rai i carabinieri hanno trovato il filmato in bianco e nero delle domande e risposte, ma non c' è più traccia della base audio. Per ricostruire quello che Ronchi aveva detto, i carabinieri hanno chiesto a una professoressa sordomuta di leggere sulle labbra del contadino: "Ho sentito un boato, una botta, e ho visto il fuoco", aveva detto agli intervistatori Rai, nel '62.