Carnevale, l'arte dei mascherai della Val di Fassa che resiste al tempo

Lavorano il legno, si lasciano ispirare dalla tradizione ma anche dall'attualità, questi artigiani sono meno che in passato. Eppure, le loro mani continuano a dare linfa al Carnevale ladino. Due generazioni a confronto: quella di Nicola e di Parolot

"L'ispirazione per il viso cambia sempre da maschera a maschera: a volte vedi qualche personaggio in televisione o alle sagre di paese che può ispirare un po'...". Basta un piccolo fienile, a Nicola Decrestina, per coltivare la sua arte di mascheraio. Di lavoro falegname, nelle ore libere si rifugia nel suo laboratorio, fra le case di Soraga, a creare maschere in legno per il carnevale fassano.

Nicola ha 31 anni ed è uno dei pochi a portare avanti questa tradizione. Per carnevale indossa le sue maschere insieme al gruppo folk del paese: "Quest'anno - racconta - siamo una quindicina con il mio gruppo, ogni anno pensiamo degli sketch divertenti anche su storie vere, per prendere in giro un po' qualche vicenda di paese".  

Scalpelli e mazzuola, per lavorare le maschere artigianali, quasi tutte realizzate con legno di cirmolo dei boschi della zona. Si modellano all'esterno, con colpi secchi ma precisi. Poi vanno pazientemente levigate all'interno, per renderle aderenti. E non è un'attività commerciale: "Non le vendo. Principalmente faccio le maschere per me stesso - tiene a sottolineare Decrestina - le faccio perché mi diverto. Quindi piuttosto le regalo, non le faccio per avere un profitto".

Il bufon è la maschera più famosa del carnevale in Val di Fassa, con il naso lunghissimo e l'espressione beffarda: "Una volta queste figure erano interpretate dai coscritti, spiega il mascheraio di Soraga con in mano un esemplare realizzato personalmente. Il bufon era la figura più impegnativa, perché chi lo interpretava andava in giro tutto l'anno a raccogliere delle vicende per poterle poi prendere in giro a Carnevale". "Oggi - conclude - è più difficile, perché ci sono meno coscritti e perché l'interesse per questo tipo di Carnevale è scemato rispetto solo a pochi anni fa...".

Una constatazione abbastanza diffusa, nelle valli. In quella di Fassa i mascherai che lavorano il legno in maniera costante sono meno di dieci. Poco distante da Soraga, a Moena, c'è uno dei maestri di Nicola Decrestina: è lo scultore Feliciano Costa, detto Parolot. Ha 73 anni. E dicono che le sue maschere di legno si indossino come guanti.

"E' solo perché si studia l'anatomia - si schernisce Parolot nel suo laboratorio lungo la strada che conduce al centro della 'perla delle Dolomiti'. "Vedete, la maschera deve avere una bella visuale, una bella respirazione e non deve toccare le ossa di chi se la mette, il naso, gli zigomi. Deve toccare sul morbido: quindi le regole sono leggerezza, respirabilità e visuale". Facile a dirsi, per chi ha una manualità naturale e maturata con l'esperienza. 

Parolot è fra i fondatori del consorzio dei mascherai alpini, nato diciotto anni fa: l'ultima volta si sono ritrovati in 35 da tutto il Nord-Est ma anche dall'Austria e dalla Slovenia. Ognuno con le sue maschere, che hanno colori e stili propri ma anche molte caratteristiche in comune: per esempio i campanelli chiamati a tenere lontani gli 'spiriti maligni'. Ormai però Parolot realizza due, tre maschere all'anno. Dice che si comprano solo per appenderle e metterle in mostra.

"Una volta, il carnevale era l'unico periodo in cui festeggiava", sorride l'artigiano di Moena. "Adesso si può dire che si festeggia tutti i giorni. Quindi, in un certo senso, il Carnevale di una volta non è più sentito, si usano maschere più moderne, come quelle di Zorro".

Nella fitta esposizione del suo studiolo, con le finestre aperte sulla montagna, Parolot ha comunque la sua maschera preferita: "Ve lo devo dire? E' la mia! Si chiama autoritratto".