"Quell'infezione si poteva curare", condannato l'ospedale di Terni

Quasi 600mila euro di risarcimento per la morte, avvenuta nell'agosto di dieci anni fa, di un uomo di 70 deceduto dopo un lungo ricovero a causa di una infezione seguita ad un intervento chirurgico di routine. E' la decisione della Corte d'appello di Perugia che nel settembre scorso ha condannato l'azienda ospedaliera di Santa Maria di Terni a rsarcire la famiglia della vittima. Operato alla schiena nel giugno del 2012, l'uomo era infatti tornato in ospedale dieci giorni più tardi lamentando un forte dolore alla gamba sinistra. Gli esami escludevano qualsiasi problema di infezione, evidenziando però una insufficienza renale e una trombosi venosa. Trasferito in medicina interna, l'uomo rimase ricoverato per oltre un mese. Il 4 agosto la morte in rianimazione dopo uno shock settico. Un decorso che per la Corte d'appello di Perugia, che nel settembre scorso ha ribaltato la sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Terni nel gennaio 2018, sarebbe da imputarsi alla "omessa tempestiva diagnosi di un processo infettivo in atto localizzato nel ginocchio sinistro in presenza di una serie di elementi tali che dovevano indurre i sanitari alla diagnosi". "Se pure la situazione dello shock settico ha avuto una ingravescenza repentina, occorre ricordare che vi è stato, comunque, uno spazio temporale dal 23 luglio al 2 agosto, quando si è manifestato lo shock settico, nell’ambito del quale era possibile mettere in atto terapie appropriate in presenza di una corretta diagnosi di infezione, diagnosi sicuramente possibile", hanno scritto i giudici. Di qui la decisione di condannare l'azienda ospedaliera Santa Maria di Terni al risarcimento degli eredi dell'uomo, al pagamento delle spese processuali e alla liquidazione dei compensi dei consulenti tecnici, per un totale di 600mila euro circa.