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Suicidio assistito

Marco Cappato si autodenuncia per aver accompagnato la signora Elena a suicidarsi in Svizzera

Marco Cappato si autodenuncia per aver accompagnato la signora Elena a suicidarsi in Svizzera Lorenzo Ceva Valla
Il tesoriere dell'Associazione "Luca Coscioni", da anni impegnato nella battaglia per il riconoscimento del diritto al suicidio medicalmente assistito, accompagna a morire a Basilea una donna di 69 anni malata di tumore. Poi l'annuncio su Facebook

Il tesoriere della Fondazione Luca Coscioni, Marco Cappato, è uscito dalla caserma dei carabinieri di via Fosse Ardeatine a Milano dopo essersi autodenunciato per aver accompagnato la signora Elena, una donna di 69 anni della provincia di Venezia affetta da una grave patologia oncologica, al suicidio assistito in Svizzera.

Prima di entrare aveva spiegato alla stampa: "Oggi mi reco alla caserma dei carabinieri per raccontare l'aiuto fornito a Elena, senza cui non sarebbe stato possibile arrivare in Svizzera. E spiegherò ai Carabinieri che per le prossime persone che ce lo chiederanno, se saremo nelle condizioni di farlo, aiuteremo anche loro. Sarà poi compito della giustizia stabilire se questo è un reato o se c'è la reiterazione del reato. O se c'è discriminazione come noi riteniamo tra malati".

"A noi come associazione Luca Coscioni pare evidente che c'è una discriminazione costituzionale tra malati", spiega Cappato, secondo il quale c'è discriminazione tra malati come Elena, che non possono accedere al suicidio assistito, e chi come Federico Carboni, "che sono dipendenti da trattamenti di sostegno vitale, lo possono fare pur con molte difficoltà". "È un trattamento discriminatorio contro un certo tipo di malati rispetto ad altri, che faticherei a definire privilegiati,  ma che almeno hanno questa faticosa, tenue, possibilità di ridurre le proprie sofferenze nella fase terminale della loro vita".

“Mai discussa la nostra legge di iniziativa popolare”

"Non c'è stata alcuna risposta da parte del Parlamento, della politica, dei capi dei grandi partiti. In queste ultime due legislature non è mai stata discussa nemmeno un minuto la nostra legge di iniziativa popolare presentata 9 anni fa. Ora siamo arrivati a questa situazione che di fronte alla richiesta di Elena, potevamo girarci dall'altra parte o darle l'aiuto che cercava, alla luce del sole e assumendoci totalmente la responsabilità di questo", ha aggiunto Cappato.

“Carcere? spero vada come con Fabo”

Marco Cappato è consapevole che l'aver aiutato a morire in Svizzera Elena possa costargli 12 anni di carcere ma spera in un iter simile a quello che lo ha portato all'assoluzione per il caso di Dj Fabo, la 'spinta' per il successivo intervento della Consulta che ha riconosciuto, a certe condizioni, il diritto all'aiuto al suicidio. "Con Fabo è stata aperta una strada che riguarda migliaia di persone. Il nostro obbiettivo non è lo scontro o il vittimismo o il martirio. Siamo qui con la speranza che le aule di Tribunale possano riconoscere un diritto fondamentale, sapendo che c'è anche la possibilità del carcere".

Il videomessaggio di Elena

“Mi sono trovata davanti a un bivio. Una strada più lunga che mi avrebbe portato all'inferno, una più breve che poteva portarmi qui in Svizzera, a Basilea: ho scelto la seconda”. Queste le parole che la signora Elena ha affidato a un videomessaggio per raccontare il suo addio alla vita. La donna è riuscita a portare a termine la sua volontà: “Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa - ha aggiunto la donna - tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e, quindi, ho dovuto venire qui da sola”.

Elena aveva ricevuto la diagnosi di microcitoma polmonare a inizio luglio 2021. Da subito i medici le avevano detto che avrebbe avuto poche possibilità di uscirne. Dopo tentativi di cure, le è stato comunicato che c'erano ancora pochi mesi di sopravvivenza: una situazione che sarebbe diventata via via sempre più pesante. “Non ho nessun supporto vitale per vivere, solo una cura a base di cortisone: non potevo fare altro che aspettare che le cose peggiorassero” spiega nel video di addio. “Ho deciso di terminare la mia vita prima che fosse stata la malattia, in maniera più dolorosa, a farlo. Io ho parlato con la mia famiglia, ho avuto la comprensione e il sostegno. Ho chiesto aiuto a Cappato perché non volevo che i miei cari, accompagnandomi, potessero avere delle ripercussioni legali per una decisione che è sempre stata solo mia”.