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ITALIA

La strage

Capaci bis, La Barbera: "Falcone si sarebbe potuto salvare"

La confessione arriva dal pentito Gioacchino La Barbera, collaboratore di giustizia che partecipò all’attentato, alla corte d'Assise di Caltanissetta nel secondo processo sulla strage del 23 maggio del 1992 dove persero la vita il magistrato, la moglie e tre uomini della scorta

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Falcone si sarebbe potuto salvare "se nell'auto bianca che lo trasportava si fosse seduto dietro" ma Totò Riina e Leoluca Bagarella "intendevano comunque lanciare un segnale ben preciso con quell'attentato: la bomba era per Falcone, non era importante l'esito dell'operazione". La confessione arriva dal pentito Gioacchino La Barbera, collaboratore di giustizia che partecipato all’attentato, alla corte d'assise di Caltanissetta nel secondo processo sulla strage del 23 maggio del 1992 dove persero la vita il magistrato, la moglie e tre uomini della scorta. "Nessuno di noi immaginava - ha detto La Barbera deponendo come testimone assistito nell'aula bunker di Rebibbia - che Falcone si mettesse alla guida di quella macchina bianca. Si fosse sistemato dietro, si sarebbe salvato come l'agente Giuseppe Costanza. E noi tutti avevamo messo in conto il rischio che il giudice non morisse".

Capaci era un segnale anche senza la morte di Falcone
Il collaboratore di giustizia ha spiegato che sarebbe stato certamente più facile eliminare Falcone a Roma, ma Riina pretese che l'operazione venisse portata a termine a Capaci "per dimostrare che in Sicilia comandava lui" e che "chi aveva ancora una concezione 'antica' di Cosa Nostra era destinato a essere accantonato. Santapaola, ad esempio, era stato già messo da parte e Matteo Messina Denaro - ha affermato La Barbera - era visto da Riina come un ragazzino di Trapani che si chiudeva in casa quando sentiva il rumore di un mortaretto".

La Barbera: “Fui io a collegare il detonatore il giorno della strage”
“L’esplosivo fu collocato nel cunicolo tempo prima ma il giorno dell’attentato fui io a collegare i fili per il detonatore”. La Barbera racconta alcuni particolari inediti durante la sua testimonianza. “La ricevente era spenta e quando ricevemmo la telefonata io avevo il compito di accenderla. Non posso escludere di aver collegato anche i fili del detonatore perché ricordo che c’era un certo pericolo nel lasciare tutto là”. Del compito dell’ex boss di Altofonte aveva parlato anche ieri il pentito Brusca ed oggi si ha una conferma. “Io mi ricordo che lasciare lì la ricevente era un bel rischio. Io mi limitai ad inserire il circuito. Se era tutto apposto? Assolutamente sì. Il materasso che avevamo lasciato a copertura del cunicolo era al suo posto. Non so se qualcuno può essere intervenuto per inserire altro esplosivo. Mi sento di escluderlo però”.

"Mai prima di capaci usammo così tanto esplosivo"
Il pentito racconta ai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta le varie fasi di preparazione dell’attento che portò alla morte Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: “Caricammo dodici, tredici bidoncini, da 20-25 kg ognuno. Ancora non sapevo per chi era tutto quell’esplosivo ma mai prima d’ora ne avevamo utilizzato così tanto”. "Utilizzammo due tipi di esplosivo. Uno era granuloso, l’altro era di tipo farinoso - ha detto l’ex boss di Altofonte - Le operazioni di travaso vennero eseguite in un villino a Capaci. Fu Rampulla a suggerire il da farsi. Ci spiegò che per avere una maggiore deflagrazione era importante mescolare i due tipi di esplosivo. E di fatti nel cunicolo dovevamo inserirli in maniera alternata”.

Bagarella conobbe estremisti in cella
Leoluca Bagarella aveva conosciuto in carcere alcuni estremisti destinati ad essere "coinvolti in cose che la mafia non aveva mai fatto prima". E' quanto ha rivelato La Barbera alla Corte d'Assise di Caltanissetta. Il pentito ha riferito che Bagarella gli disse di "aver conosciuto in galera delle persone serie. Non so se di destra o di sinistra, ma diceva che erano in grado di spiegargli come trattare con lo Stato e suggerirgli cosa fare per dare fastidio allo Stato".