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TECH

​L’80% degli italiani lo ha definito il formato più intrusivo di tutti

Pop-up, ti blocco sì o no? La lotta tra advertising e contenuti gratis su internet

Per combattere l’invadenza della pubblicità online, fioccano i software per bloccare i video fastidiosi, gli ad-blocker. Le agenzie pubblicitarie, ricerche alla mano, sanno che l’utente internet usa ormai lo smartphone anche mentre prende un caffè e cercano i modi di farsi accettare gli spot online, anche ricorrendo a Intelligenza Artificiale e Big Data. Nella giungla dell’informazione online, anche la stampa tradizionale deve trovare una formula per monetizzare i contenuti

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La vecchia pubblicità deve vedersela con internet
di Celia Guimaraes
Aziende specializzate (come Cisco e Ericsson) stimano che nel 2018 avremo un milione di minuti di contenuti video pubblicati, che rappresenteranno quasi la totalità del traffico dati mondiale. Molti di questi video resteranno sconosciuti e altri ancora cadranno nell'oblio molto presto. Produrre un video che diventi virale, quindi, sarà sempre più arduo. Ma il pubblico va cercato e conquistato proprio su questo terreno, inseguito dal marketing come dall'editoria.

I video saranno visti prevalentemente su dispositivi mobili. E secondo dati dell'Osservatorio Politecnico di Milano, il valore complessivo della Mobile Economy (quella legata allo sviluppo di smartphone, tablet, wearable) sarà di oltre 37 miliardi nel 2017 (equivalente a 2,3 % del Pil). Al netto dei servizi tradizionali di telefonia mobile (in calo del 16%), la Mobile Economy sta crescendo al ritmo del 23% ed è più alta nel segmento orientato al marketing e alla comunicazione, con il più 41%.

Non solo, sempre secondo il PoliMi lo smartphone non è utilizzato dagli italiani solo per i social network e l’intrattenimento, ma anche per prendere decisioni di acquisto: più di 3 su 4 dei navigatori internet (i cosiddetti Mobile Shopper) lo utilizzano, infatti, anche a questo scopo. Il marketing già lo sa, ec ecco che crescono del 53% gli investimenti complessivi in Mobile Advertising, che toccano quota 462 milioni di euro.

Logico, quindi, aspettarsi che il marketing e la comunicazione siano sempre più orientati a catturare il pubblico su mobile, con alcune conseguenze significative. Per esempio, nel modo in cui i video pubblicitari online e altre forme di monetizzazione dei contenuti su internet vengono accettati - o respinti - dagli utenti. 

Pop-up, vattene
Ecco l’identikit dell’italiano che cerca di evitare gli spot pubblicitari durante la navigazione online: sono gli uomini di età compresa tra i 18 e i 34 anni quelli che tendono maggiormente ad installare ad-blocker sui propri device mobili. Infatti, su desktop (il 39% in più degli utenti rispetto al mobile) l’utente  è più predisposto a guardare un annuncio non intrusivo, ed è chiaro che siano più ‘benevoli’,  se si considera che la pubblicità su mobile consuma inutilmente il traffico dati.
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Tre utenti su quattro (il 60%) hanno dichiarato che i formati forzati e intrusivi sono tra le principali ragioni per ricorrere a programmi che bloccano l’avvio dell’annuncio pubblicitario e per l’80% degli italiani il formato pop-up è il più fastidioso e penalizzante durante la navigazione.  

Il 38% degli utenti italiani che ha installato un ad-blocker su desktop o laptop ha scoperto l’esistenza di questi software grazie al passaparola. Questi sono alcuni dei risultati evidenziati da una ricerca sul perché gli utenti decidono d’installare gli ad blocker condotta da Teads, multinazionale del mercato della pubblicità video native realizzata in collaborazione con Research Now.
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Bloccati nella patria di AdBlock
Il quadro generale della ricerca rivela altri dati interessanti per quanto riguarda gli utenti mondiali. Gli intervistati negli Stati Uniti, ad esempio,  hanno dichiarato di essere infastiditi dagli annunci forzati e il 74% ha risposto che sono il principale motivo che porta all’installazione degli ad-blocker .
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Gli argentini sono i più infastiditi dal formato pre-roll (formato pubblicitario erogato su un altro contenuto video), il 57% preferisce il formato nativo in-article (che compare all’interno del testo). In Germania, patria di Adblock Plus, il 72% degli utenti intervistati ha installato un ad-blocker a causa dell’intrusività degli annunci, ma l’83% potrebbe non usarli se avessero possibilità di scelta.

Il fattore M (come mobile)
Uno dei più temibili player per quanto riguarda il mercato pubblicitario, sia per editori che per advertiser, è Facebook. Il social network  ha annunciato di recente di aver esteso il servizio Audience Network  al mobile web. In questo modo, affermano,  i due milioni e mezzo di inserzionisti del social network potranno raggiungere con più precisione il loro pubblico di riferimento direttamente sui dispositivi mobili (e soprattutto senza dover uscire dalla piattaforma).

Il mobile web, secondo Facebook, continua ad essere importante per molti publisher e la principale piattaforma di consumo  media. “Tuttavia gli editori fanno ancora fatica a monetizzare i loro contenuti su mobile, sia che si parli di mobile app che di mobile web. In media i siti di informazione ottengono circa il 40% del traffico da dispositivi mobili. Inoltre, un’analisi comScore ha dimostrato che le prime 1000 proprietà mobile web hanno una reach 2,5 volte maggiore delle prime 1000 app”, osservano gli uomini di Menlo Park.
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Secondo uno studio  realizzato da YouGow insieme a Iab Europa sulla percezione del mobile nei Paesi europei, è emerso che i dispositivi mobili sono sempre più integrati nelle proposte delle agenzie ai clienti (60%) perché portatori di nuovi budget  (oltre, quindi, a quello  già disponibile per internet, tv, stampa e radio).  La stima è che l’82% delle agenzie inserisca il mobile nelle loro campagne pubblicitarie.

Tra i fattori chiave dell’interesse per il  mobile c’è sicuramente la geolocalizzazione, che spesso guida la pubblicità:  è uno strumento molto potente che, in combinazione con altri dati relativi al target, consente agli inserzionisti di essere più rilevanti e specifici.
 
L’algoritmo del marketing pubblicitario
Un’altra ricerca ancora, commissionata da Rocket Fuel a Doxa (su un campione di 1000 utenti internet, distribuiti da nord a sud)  per sondare l’opinione degli italiani riguardo all’intelligenza artificiale, rivela un dato interessante sugli algoritmi che ci vendono pubblicità. Se è vero che gli italiani si dichiarano decisamente favorevoli a questa tecnologia (il  58% ha detto di ritenerla fondamentale), quasi la metà (46%) ritiene che l’intelligenza artificiale sia già parte della vita di tutti e solo il 7% pensa che sia ancora fantascienza. Che cos'è l'Intelligenza Artificiale? Eccola in un video del World Economic Forum di Davos del 2016:


Solo il 15% sa che l'IA viene anche utilizzata dal marketing e dalla pubblicità e questo è proprio l’ambito in cui viene utilizzata dall’azienda californiana Rocket Fuel, che associa l’Intelligenza Artificiale ai Big Data per effettuare un calcolo in tempo reale su ogni possibile annuncio e così determinare la probabilità che un consumatore esegua una determinata azione. Il mobile oggi rappresenta il 30% del business dell’azienda.

Il manager è mobile
Ancora una ricerca, ancora una conferma per il mobile. Manager, professionisti e ‘smartworkers’ gestiscono le loro attività lavorative e le relazioni professionali in mobilità. Più della metà degli intervistati italiani (53%, con una media mondiale del 49%) controlla velocemente email e messaggi in bar e caffè ma solo il 30% (39% media mondiale) risponde subito ai messaggi ricevuti. 

Anche i viaggi sui mezzi pubblici per il 50% degli italiani (41% media mondiale) sono una buona occasione per leggere le email, ma anche in questi casi solo il 20% degli intervistati del nostro Paese (media mondiale 24%) invia immediatamente brevi risposte. L’autore della ricerca (44.000 interviste in 105 paesi), Regus, è un fornitore mondiale di spazi di lavoro flessibili. Anche questi sono spunti d’interesse per chi voglia intercettare un pubblico particolarmente ‘alto’ con della pubblicità mirata.
 
La formula paywall
News a pagamento, se ne parla ancora. Una scommessa necessaria perché il modello di business basato sulla sola carta, in prospettiva, non è più sostenibile e la redditività della pubblicità online è molto ridotta, è  il parere di Paola Dubini, direttrice del Corso di laurea in economia e management per arte, cultura e comunicazione della Bocconi ed esperta di economia dei media.  Parlando della recente scelta di corriere.it  di introdurre il paywall (home page visibile, alcuni articoli in chiaro e la fruizione completa in abbonamento), la docente Bocconi ha parlato di “una sfida interessante e una direzione di lavoro fondamentale”. 

Non così semplice da attuare secondo Stefano Quintarelli, presidente del Comitato di indirizzo dell'Agenzia per l'Italia digitale che, intervistato da Lettera43 dice: “Fare i soldi con questi strumenti, da noi, è quasi impossibile. Convertire l'utente in cliente è un qualcosa di difficile, perché dipende dalla sua disponibilità a pagare un servizio e dal valore che si dà al lavoro giornalistico”.

Il futuro del giornalismo e il giornalismo del futuro: ecco cosa ne pensa Marco Bardazzi che, dopo una carriera più che trentennale nelle redazioni, è passato 'dall'altra parte della barricata' per occuparsi di comunicazione aziendale:


La sharing economy applicata al giornalismo
Si definisce  “la prima piattaforma globale di social journalism” e potrebbe essere un esempio di una possibile formula editoriale online. Blasting News è nata nel 2013, “con l’obiettivo di creare una strada parallela al giornalismo tradizionale applicando i principi della sharing economy”. Non è l’unico esempio nel suo genere (basti pensare a BuzzFeed), ma sono i livelli di crescita a fare la differenza.

Si pone come un modello complementare al giornalismo “più tradizionale" e lo fa dando la possibilità a chi lo desidera di pubblicare le proprie news e di guadagnare in base al livello di successo dei propri articoli. “Il guadagno è su base strettamente meritocratica: più lettori leggono la news, più alto sarà il compenso (si arriva a un massimo di € 150 per articolo). La retribuzione varia anche in base al traffico: se arriva dai motori social network è più prezioso”, ci informa una nota.

Anche in questo caso non mancano riferimenti tecnologici: “Tutti gli articoli vengono analizzati sia da algoritmi tecnologici brevettati che applicano prima un controllo antiplagio, per verificare siano contenuti originali e non copiati da altre testate, e poi uno semantico", effettuato da esseri umani qualificati. Blasting News afferma di aver raggiunto 44 milioni di lettori unici mensili nel mondo, di cui 19 milioni in Europa (12 milioni quelli italiani). Più del 50% dei lettori è un millennial, tra i 18 e i 34 anni.