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USA2020

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Il Cremlino e la corsa alla Casa Bianca: “Fra Biden e Trump sceglier non saprei”

 Nell’infuocata campagna elettorale americana balza ad occhio nudo la sorprendente e pressoché totale assenza del tema Russia e “Russiagate”.  Ma chi vorrebbe vedere alla Casa Bianca Vladimir Putin? Da Mosca l'analisi del corrispondente della Rai

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di Marc Innaro
La storia si ripete. Ogni 4 anni, alla vigilia delle elezioni presidenziali USA, torna puntuale l’interrogativo: su quale dei due candidati punta la Russia? Cosa si aspetta dal prossimo inquilino dalla Casa Bianca?

Immancabili, tornano in servizio i “cremlinologi”. Eppure, a differenza del passato, forse stavolta non servono analisi elaborate e dietrologie di esperti navigati. Nell’infuocata campagna elettorale americana, balza infatti ad occhio nudo la sorprendente e pressoché totale assenza del tema Russia e “Russiagate”.

Forse anche a causa della pandemia in corso, rispetto al 2016 l’argomento sembra oggi essersi molto sgonfiato: sia in campo democratico (malgrado Biden sia un esponente della vecchia guardia), sia da parte di Donald Trump (che ha riesumato la vicenda Russiagate solo per ribadire che quella fu, a suo tempo, una manovra democratica ordita contro lui).

Nella scorsa primavera, alcuni falchi democratici (come Victoria Nuland e Susan Rice) avevano tentato di riesumare il presunto ruolo del Cremlino nel condizionare l’elettorato americano per affossare Hillary Clinton. Ma dopo la scelta di Joe Biden di candidare Kamala Harris come suo futuro vice-Presidente, il “Russiagate” è immediatamente tornato nel dimenticatoio, a conferma che oggi non ha più alcun fondamento di logica politica. Il motivo? Presto detto: il Cremlino giudica sia Trump che Biden candidati molto difficili da gestire per i propri interessi.


A partire dal 2016, il Russiagate si era basato sul teorema (mai dimostrato) che Donald Trump fosse manipolato (se non addirittura ricattato) dai russi, che fosse una marionetta di Vladimir Putin. Dopo 4 anni, la realtà si è dimostrata ben diversa. Se è vero che gli USA si sono disimpegnati dalle crisi in Siria e Ucraina, dall’altra parte è stata semplicemente impressionante la serie di atti apertamente ostili alla Russia: crescente inasprimento delle sanzioni contro Mosca; attacco frontale al progetto del gasdotto siberiano North Stream; smantellamento del Trattato INF (Intermediate Range Nuclear Forces) del 1987; scontro diretto con Cuba, Venezuela, Iran e Cina (tutti legati alla Russia da importanti accordi politici, economici e militari).

Senza dimenticare che, se con Trump alla Casa Bianca sono state cooptate persone nuove, semi-sconosciute, provenienti in gran parte dal settore privato, la diplomazia del Cremlino si basa da sempre sui rapporti personali e sulla continuità. Basti pensare che negli ultimi 30 anni in Russia si sono avvicendati soltanto 4 Ministri degli Esteri, fra cui l’attuale Sergey Lavrov. Pertanto, per Mosca, la presidenza Trump è stata un gigantesco salto nel vuoto, costellato da enormi difficoltà operative.

Visto da Mosca, anche il “fronte Biden” non sembra al momento offrire motivi di grande ottimismo. A cominciare dalla retorica da guerra fredda (in puro stile “amministrazione Obama”) cui il candidato democratico americano fa talvolta ricorso, e che ultimamente ha suscitato l’irritazione di Vladimir Putin (che ha parlato addirittura di “russofobia”).

Ma va anche detto che, proprio in virtù della tanto perseguita continuità di rapporti, alla fin fine al Cremlino oggi probabilmente dispiacerebbe un po’ meno vedere Joe Biden presidente. Meglio, evidentemente, avere a che fare con un “devil you know” (un diavolo che conosci), piuttosto che con un “cavallo pazzo”, imprevedibile e imponderabile, come Donald Trump. Da noi, in Italia, si direbbe: “Mai cambiare la via vecchia per la nuova”…