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ITALIA

E' la decima volta che giudici respingono richiesta di scarcerazione muratore

Yara: Il Riesame dice no ai domiciliari per Bossetti

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Rimane in carcere Massimo Bossetti, imputato per l'omicidio di Yara Gambirasio. I giudici del tribunale del Riesame di Brescia hanno respinto al richiesta dei suoi legali di porre il muratore agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico.

E' la decima volta che i giudici respingono una richiesta di scarcerazione del muratore in carcere dal 14 giugno del 2014 per l'omicidio della tredicenne bergamasca. Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini chiedevano la concessione dei domiciliari, eventualmente con il braccialetto elettronico, contestando, in particolare, il pericolo di reiterazione del reato.

Legali Bossetti: opinione pubblica forcaiola
Nel ricorso presentato per ottenere gli arresti domiciliari e che è stato respinto dal tribunale del Riesame di Brescia, i legali di Massimo Bossetti osservavano che la Corte d'assise, davanti alla quale è in corso il processo per l'omicidio di Yara Gambirasio, aveva respinto una prima richiesta "sul presupposto del solo pericolo" di reiterazione del reato "senza spiegare validamente le ragioni" per le quali i domiciliari non avrebbero scongiurato il pericolo. "Sin dall'esordio del presente processo, si è raccomandato un rigoroso rispetto delle regole processuali, condivisibili o meno - scrivevano i legali -. Ciò in quanto la presente vicenda ha assunto un tale clamore mediatico da far temere, come sta avvenendo, condizionamenti extraprocessuali da parte di un' opinione pubblica forcaiola, alimentata sin dall'arresto dell' imputato da informazioni distorte a senso unico, che stanno emergendo in dibattimento, peraltro soltanto all'inizio di una lunga istruttoria".

"L'onda impetuosa dei media si è abbattuta sul presente processo penale e ne sta deformando lo scenario fino a renderlo unico ed irriconoscibile - scrivevano i legali di Bossetti -. Così operando, i media alterano, stravolgono, sfigurano l'estetica della giustizia penale, condizionando il giudice, specie quello popolare, menomandone la
tanto reclamata indipendenza". "Nel caso che ci occupa - sottolineavano Claudio Salvagni e Paolo Camporini - la "giustizia mediatica" ha assunto dimensioni e incisività tali da offrire uno scenario processuale alternativo a quello legale, capace di radicarsi profondamente nell'immaginario collettivo". I legali denunciavano, infine, come "ormai, con la sua invadenza, il giornalismo giudiziario ruba la scena alla giustizia in toga ed impone il suo 'statuto' che ribalta i
principi su cui si regge il giusto processo, mediante la delocalizzazione, che privilegia le investigazioni rispetto al dibattimento, una fase troppo piena di oscillazioni causate dalla dialettica tra accusa e difesa per essere rappresentata come monolite colpevolista".