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MONDO

Gli Usa tentarono di eliminare un altro dirigente di Teheran

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"Eravamo pronti" a rispondere e colpire l'Iran, poi però "non siamo andati". Donald Trump racconta ai suoi sostenitori, durante il primo comizio del 2020, la sua versione di cosa accadde la sera dell'attacco iraniano a due basi militari in Iraq che ospitano le truppe americane. Lo fa poco dopo il via libera della Camera alla risoluzione che limita i suoi poteri di guerra, vietando ogni intervento in Iran senza l'approvazione del Congresso.

"Quando mi hanno detto dei 16 missili" lanciati contro le basi in Iraq "eravamo pronti ad andare. Ho chiesto quanti morti e feriti c'erano, mi è stato detto nessuno e non siamo andati. Non che io volessi andare" spiega il presidente. "le nostre forze armate sono le più potenti al mondo. Chi ci minaccia lo fa a suo rischio" aggiunge lanciando un messaggio indiretto all'Iran. Criticando l'accordo per il nucleare iraniano, Trump prende ancora di più le distanze dall'ultima amministrazione. "Stava spingendo il mondo verso la guerra - dice -, ora invece siamo sulla strada della pace".

In seguito, il presidente ha affermato che il generale iraniano Qassem Soleimani "voleva colpire quattro ambasciate americane".

Usa tentarono eliminare altro dirigente Iran
Lo stesso giorno in cui uccisero il generale iraniano Qassem Soleimani a Baghdad, gli Usa tentarono di colpire un altro alto dirigente iraniano in Yemen, Abdul Reza Shahlai, finanziatore e uno dei leader delle forze d'elite Quds Force. Lo scrive il Washington Post.

Trump, secondo i media americani, avrebbe approvato l'attacco contro Shahlai nello stesso momento in cui ha dato disco verde per il raid contro Soleimani, benché non sia chiaro se i due blitz americani siano avvenuti nella stesso istante.

La missione per eliminare Shahlai mostra che l'amministrazione Trump voleva colpire più dirigenti del corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica, di cui le Quds Force fanno parte. Shahlai è noto anche come finanziatore chiave delle forze filo iraniana in Iraq, Siria, Libano e Yemen, paese quest'ultimo dove è basato e dove Teheran sostiene i ribelli Houthi.

Il Pentagono non ha voluto confermare il secondo raid. Gli Stati Uniti hanno offerto in passato una ricompensa di 15 milioni di dollari a chi fornisce informazioni su Shahlai, sospettato di essere coinvolto in vari attacchi contro alleati americani, compreso il fallito attentato del 2011 contro l'ambasciatore saudita in Usa.