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MONDO

Una sola donna in un ministero minore

Libano, il nuovo governo accusato di 'talebanismo'

​Dopo 13 mesi di vuoto istituzionale, e con una crisi economica durissima il Libano ha finalmente un nuovo governo. Sarà presieduto da Najib Miqati, ma un solo ministro donna. Sui social accuse di 'talebanismo'

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Il Paese era senza governo dal 4 agosto 2020 quando, sopo l'esplosione al porto di Beirut, si era dimesso il primo ministro Hassan Diab aprendo così un lungo periodo di stallo politico gettando il paese in una crisi sempre più dirompente. Najib Mikati è un imprenditore di Tripoli, è uno degli uomini più ricchi del Paese ed è già stato primo ministro dal 2004 al 2005 e dal 2011 al 2014. Miqati avrà lo scopo prioritario di negoziare con le istituzioni finanziarie internazionali l'accesso alle risorse per far uscire il libano dalla peggiore crisi economica degli ultimi decenni.

Il nuovo esecutivo è formato da 24 ministri, ripartiti tra personalità cristiane e musulmane. Ma ha solo una donna tra le sue file, Najla Riachi, alla quale è stato affidato il Dicastero delle riforme amministrative, senza portafoglio. Una circostanza che ha suscitato dure reazioni da parte di attivisti della società civile libanese, indignati per quella che hanno definito "la talebanizzazione delle istituzioni" del paese.
 
Il governo è diviso in tre blocchi politici tra loro alleati: uno controllato dagli Hezbollah sciiti e filo-iraniani e che controllano, tra l'altro, i dicasteri chiave delle finanze e dei lavori pubblici; un blocco espressione del potere del presidente cristiano maronita Michel Aoun, stretto alleato di Hezbollah e vicino al regime siriano e che controlla altri ministeri sensibili come energia, difesa, giustizia; un terzo del premier Miqati e del leader druso Walid Jumblatt e che si è assicurato, oltre alla presidenza del consiglio, anche i ministeri 
Dell'economia e degli interni.

Negli ultimi due anni Miqati è stato più volte accusato di atti di corruzione e clientelismo, ed è uno dei leader politici libanesi fortemente contestati dal movimento di protesta scoppiato nell'autunno del 2019 in corrispondenza del palesarsi della crisi economica. Proprio i leader del movimento di contestazione ribadiscono nei media indipendenti e sui social che "la nascita del governo Miqati non è un segnale di cambiamento nè di riforme", ma è il frutto del "consolidato meccanismo clientelare di spartizione delle risorse di un "paese fallito".