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MONDO

Primarie Usa 2016

Inarrestabile Trump, vince in Indiana e Ted Cruz si ritira

Nelle file dei democratici Sanders a sopresa batte la Clinton anche se per lui la strada è ancora in salita

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Donald Trump ha pesantemente sconfitto Ted Cruz nelle primarie repubblicane che si sono svolte ieri in Indiana. E la vittoria del miliardario newyorchese è stata tale che il senatore del Texas, colui che si era definito l'unico in grado di fermare il nemico, ha deciso di ritirarsi dalla corsa per la nomination alla Casa Bianca del Grand Old Party. Di fatto Trump ha portato a casa un doppio successo visto che ha praticamente in tasca la nomination ancora prima della convention che si terrà il prossimo luglio a Cleveland, in Ohio. Cruz contava di sottrarre a Trump un numero sufficiente di delegati per impedirgli di ottenerne i  1.237 di cui ha ancora bisogno per evitare la cosiddetta "brokered convention". La prova del nove ci sarà alle prossime primarie previste in nove Stati, tra cui Nebraska e West Virginia, la settimana prossima e in California il prossimo 7 giugno. Prima dell'Indiana, Trump vantava 996 delegati contro i 565 di Cruz e i 153 di Kasich. Con l'ultimo successo, in cui c'erano in palio 57 delegati, se ne è aggiudicati almeno 51 grazie al 53% circa dei voti ottenuti.  

Il miliardario newyorchese ha dimostrato ancora una volta di essere inarrestabile: nemmeno gli attacchi verbali lanciati a poche ore dal voto da Cruz, che lo aveva accusato di essere un "bugiardo patologico" e un "donnaiolo seriale", sono bastati per convincere gli elettori dello Stato americano del Midwest a smettere di votare per colui che per la settima volta consecutiva ha vinto un round di primarie contro l'acerrimo nemico e l'altro pretendente alla Casa Bianca, John Kasich (che ha rastrellato un misero 7,6% contro il 36,7% di Cruz).

Non appena è stato dato per vincitore, Trump ha twittato: "Il bugiardo Ted Cruz ha ripetutamente detto che avrebbe vinto e avrebbe dovuto vincere in Indiana. Se non vince, dovrebbe lasciare la corsa. Basta sprecare tempo e denaro". Il senatore del Texas gli ha poi dato amaramente ragione. "Avevo detto che avrei continuato a correre fino a quando la strada fosse stata percorribile. Questa sera sembra che la strada sia stata chiusa", ha detto ai suoi sostenitori. "Abbiamo dato tutti noi stessi, ma gli elettori hanno scelto un altro percorso", ha aggiunto cadendo "nell'abisso" della politica che solo qualche ore prima aveva citato dicendo di avere "una fede incredibile". D'altra parte in Indiana non è mai stato capace di attrarre elettori. E una serie di decisioni, inclusa quella di nominare come suo braccio destro Carly Fiorina (ex amministratore delegato di HP anche lei ritiratasi da questa campagna elettorale), sono state viste più come un atto di disperazione che come una scelta saggia.  

Se Cruz ha alzato bandiera bianca, Kasich invece non molla. Lo stratega della sua campagna, John Weaver, ha detto che il governatore dell'Ohio - che in Indiana si era tacitamente fatto da parte per consentire a Cruz di mettersi in mostra - continuerà a combattere: "Kasich resterà in corsa a meno che un candidato raggiunga i 1.237 delegati prima della convention".  

Mentre qualcuno lo definisce un "genio del marketing" per come ha gestito la sua campagna elettorale, Trump si avvicina a un traguardo che praticamente nessuno aveva immaginato lo scorso giugno quando scese in campo accusando gli immigrati messicani di essere dei criminali e degli stupratori. Nemmeno lui aveva ipotizzato tanto: "E' stato un giorno, una serata, un anno incredibile", ha detto ieri Trump aggiungendo: "Non si era immaginato quanto sta accadendo; è una cosa bellissima da guardare". E per calmare gli animi di chi, soprattutto all'interno del Gop, non sa che fare, Trump è tornato a dichiarare: "Dobbiamo portare unità dentro al partito repubblicano". l miliardario newyorchese è stato paragonato al candidato del Gop più improbabile, Wendell Willkie, un avvocato ed executive che si candidò alla presidenza Usa nel 1940. E si prepara a fare storia: reduce dalla vittoria in 26 Stati americani, Trump si appresta a diventare il primo rappresentante di un partito che non ha mai ricoperto un ruolo politico dai tempi di Dwight D. Eisenhower, un generale a cinque stelle nonché comandante delle forze alleate in Europa durante la Seconda guerra mondiale. E probabilmente lo farà facendo sempre leva su messaggi populisti centrati sull'immigrazione illegale, sul riportare posti di lavoro in Usa, sull'usare il pugno duro contro la Cina e l'Isis e sul rendere l'America "great again".   Poco importa che durante l'amministrazione Obama, che si è trovata a gestire la peggiore crisi finanziaria dalla Grande Depressione degli anni '30 del secolo scorso, siano stati creati 14,4 milioni di posti di lavoro o che il tasso di disoccupazione sia stato dimezzato. Poco importa che persino Warren Buffett, l'investitore miliardario chiamato "oracolo di Omaha" per i suoi investimenti azzeccati, abbia detto che "non c'è bisogno di rendere l'America nuovamente grandiosa perché lo è già".  

L'America, o almeno una parte, crede in Trump, un tycoon del real estate diventato poi una celebrità televisiva che fino all'aprile 2012 non era nemmeno un repubblicano registrato al partito. Nonostante nell'arco degli anni abbia finanziato tutti, anche i democratici, tra cui la rivale Hillary Clinton, e abbia fatto sue posizioni in tema di aborto, controllo delle armi e fisco contrarie a quelle storicamente del Gop, è riuscito a fare fuori praticamente tutti i candidati che avevano aspirato alla Casa Bianca. Persino pesi massimi come l'ex governatore della Florida, Jeb Bush, e il governatore del New Jersey, Chris Christie, hanno dovuto subire la sconfitta.

Democratici, Sanders batte Clinton 

A sorpresa, Bernie Sanders ieri ha vinto le primarie democratiche in Indiana. Il senatore del Vermont ha avuto la meglio su Hillary Clinton, l'unica rivale che come lui aspira alla nomination democratica alla Casa Bianca e che fino a ieri nei sondaggi aveva un vantaggio di almeno 7 punti percentuali in quello Stato. Invece Sanders ha ottenuto più del 52% dei voti contro oltre il 47% di quelli andati all'ex first lady. Nonostante il successo, Sanders resta indietro nel conteggio dei delegati rispetto a Clinton e virtualmente non ha speranza di recuperare terreno.

Visto il differenziale risicato all'appuntamento elettorale di ieri, i due sfidanti democratici si sono spartiti in parti quasi uguali gli 83 delegati in palio. Prima del voto in Indiana, l'ex first lady contava 1.645 delegati, 327 di più dei 1.318 del rivale. Ma includendo i super delegati, leader di partito che possono votare per chi desiderano, Clinton vantava 2.165 delegati contro i 1.357 di Sanders. Ne servono 2.383 per aggiudicarsi la nomination quindi includendo i super delegati l'ex segretario di Stato è vicina al traguardo.

Simbolicamente tuttavia la vittoria di ieri serve a Sanders per ritrovare un po' di fiducia dopo le amare sconfitte subite una settimana prima in alcuni Stati lungo la costa orientale degli Usa. "Ho sentito che Clinton pensa che questa campagna sia finita. Ho brutte notizie per lei. Questa notte abbiamo messo a segno una grande vittoria in Indiana. La settimana prossima vinceremo in West Virginia...e poi vinceremo in Kentucky e in Oregon", ha dichiarato il senatore socialista a Louisville (Kentucky). Ricordando come nessuno avesse creduto che lui potesse arrivare così lontano nella campagna elettorale, Sanders ha sottolineato quanto "sia importante perché ciò mi dice che le idee per cui ci stiamo battendo sono le idee del futuro dell'America".