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18 aprile 2015, un anno fa il naufragio nel Canale di Sicilia, la più grande strage del Mediterraneo

18 aprile 2015. Uno dei tanti viaggi della speranza dalla Libia verso l'Italia, terra promessa per centinaia di migliaia di disperati che fuggono dall'Africa dilaniata dalle guerre e dalla povertà verso l'Europa, si trasforma in un'ecatombe di migranti. Nel naufragio di un barcone, di circa 20 metri, muoiono centinaia di persone; le prime stime fatte dalla Guardia Costiera parlano di 700 persone, ma un sopravvissuto parla di 950 persone a bordo. Solo 28 i superstiti. Secondo la procura di Catania, il naufragio è stato provocato da una manovra sbagliata dello scafista che ha provocato una collisione tra il peschereccio che trasportava i migranti e un mercantile, il King Jacob, che si era avvicinato per prestare aiuto.​ È la più grave sciagura del mare dal dopoguerra, peggiore anche della strage di Lampedusa (Agrigento) del 3 ottobre 2013, con i suoi 366 morti e 20 dispersi. A seguito del naufragio i mass media internazionali danno ampio spazio alla vicenda. L'Unione europea convoca per il 23 aprile 2015 un Consiglio Europeo a carattere straordinario riguardante la questione dei migranti nel Mediterraneo. 

La notte tra il 18 e il 19 aprile 2015
Il barcone partito dall'Egitto ha caricato i migranti da un porto della Libia, vicino alla città di Zuara. È quasi sera quando al Centro Nazionale Soccorso della Guardia Costiera arriva una telefonata da un satellitare Thuraya. "Siamo in navigazione, aiutateci", dice un uomo - forse complice degli scafisti. Una telefonata simile a tante altre arrivate da barconi e gommoni carichi di migranti. Quasi un invito perché le navi italiane raggiungano il barcone per consentire ai "passeggeri" - così tanti da riempire ogni spazio - di completare la traversata verso le coste italiane.

Il dispositivo di soccorso si mette in moto: la Guardia Costiera individua le coordinate del punto da cui è partita la telefonata e organizza i soccorsi. Il barcone è a circa 70 miglia a nord delle coste libiche (110 miglia a sud di Lampedusa) quando viene raggiunto dal King Jacob, un portacontainer di 147 metri di lunghezza, con bandiera del Portogallo, che aveva già compiuto negli ultimi giorni quattro soccorsi di naufraghi e che viene dirottato, insieme a un altro mercantile, verso i migranti. Secondo quanto racconta il comandante del mercantile, i migranti, visto il portacontainer, si spostano in massa sulla stessa fiancata. "Appena ci hanno visto, si sono agitati e il barcone si è capovolto. La nave non ha urtato il barcone".

Subito dopo il naufragio scatta un'imponente operazione di soccorso, che coinvolge anche navi dell'operazione Triton, dell'agenzia Frontex: unità navali della Guardia Costiera, della Marina Militare italiana e maltese, mercantili e pescherecci di Mazara del Vallo (Trapani) - 18 mezzi in tutto, coordinati dalla nave Gregoretti, della Guardia Costiera, che assume il comando dell'intervento - recuperano 24 cadaveri. Gli aerei militari sorvolano l'area lanciando zattere e salvagente.

Tra i 28 superstiti ci sono anche due fermati, il tunisino di 27 anni, Mohammed Alì Malek, ritenuto il comandante, e il siriano di 25 anni, Mahmud Bikhit, indicato come componente dell’equipaggio. Sono sospettati di essere gli scafisti. Il prossimo 17 maggio si terrà il processo, col rito abbreviato, davanti al Gup di Catania. I due, che si proclamano innocenti sostenendo di essere stati soltanto dei 'passeggeri', sono accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, e al 'capitano' sono contestati anche l'omicidio colposo plurimo e il naufragio.

Il recupero del barcone
A un anno dalla tragedia inizierà simbolicamente l’operazione di recupero del barcone. Già dal giugno scorso, la Marina Militare ha avviato gli interventi di recupero dei corpi, grazie a veicoli a comando remoto .Finora sono stati prelevati dal relitto 169 cadaveri. Una volta riportato a galla, il barcone sarà portato nel porto di Augusta. Qui avverrà anche l'identificazione dei corpi recuperati a bordo.

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