Il ritorno di Hong Kong alla Cina. Dalla marcia in stile britannico al passo dell’oca

Preparativi in città per Il 25° anniversario della restituzione della Regione amministrativa speciale

Bandiere giganti della Repubblica popolare cinese e di Hong Kong esposte nel Victoria Park di Hong Kong epa/jerome favre
Bandiere giganti della Repubblica popolare cinese e di Hong Kong esposte nel Victoria Park di Hong Kong

Una regia ad alto valore simbolico non poteva mancare per questo 25esimo anniversario del ritorno di Hong Kong alla Cina, all’insegna della “normalizzazione” dell’ex colonia britannica  voluta da Pechino. Prevista la presenza di Xi Jinping in  arrivo  in treno da Shenzhen, una della città costiere del sud  più avanzate soprattutto in ambito tecnologico. I treni  ad alta velocità,  vagoni a levitazione magnetica collegano Shenzhen a Hong Kong in venti minuti. Migliaia di poliziotti saranno alla stazione di West Kowloon ad accoglierlo,  mentre imponenti misure di sicurezza sono state previste per tutta la città.

Tra gli eventi in programma per il presidente cinese l’insediamento ufficiale del nuovo chief executive  John Lee, e il banchetto  di Carrie Lam la governatrice  uscente che terrà un rinfresco  nella sua residenza. Tutto è stato preparato nei minimi dettagli: questo 25esimo anniversario ha un’importanza cruciale dal punto di vista di Pechino: a qualche mese del Congresso del PCC che dovrebbe riconfermare  Xi Jinping  per il terzo mandato, tutto deve essere sotto controllo nel porto profumato per garantire che non ci siano intoppi.

In questo quadro, la simbologia della cerimonia assume un impatto decisivo. A cominciare dalla polizia di Hong Kong che passerà ufficialmente dalla marcia  in stile britannico al passo dell’oca:  quegli stessi agenti in prevalenza inglesi fino a un paio d'anni fa, ai quali la governatrice Carrie Lam aveva affidato il contenimento delle manifestazioni pro democrazia. Per eseguire il passo dell’oca  in piena regola alla presenza dell’imperatore rosso Xi, i soldati  si sono esercitati per mesi in modo da  integrarsi alla perfezione nel protocollo militare del PLA, l’Esercito Popolare di Liberazione.  La cerimonia deve esaltare  il patriottismo, la consapevolezza dell’identità nazionale e “il ringiovanimento della nazione” invocato  da Xi Jinping sin dal suo avvento al potere nel 2013 in nome  del “sogno cinese”. La presenza a Hong Kong ora è un’occasione speciale in cui il leader cinese per la prima volta dal 2017, esce  dalla Repubblica Popolare, un isolamento poi reso  inevitabile anche a causa  della pandemia.

Oggi Xi Jinping è il leader della seconda potenza mondiale e si reca  nell’ex colonia britannica  per riaffermare di fronte al mondo l’affrancamento della Cina dal  “secolo dell’umiliazione”, da quando alla metà del 1800 gli stranieri con le guerre dell’Oppio si spartirono porzioni del territorio cinese e Hong Kong andò agli inglesi.  Le immagini della cerimonia di allora, il 1 luglio 1997,   sono passate alla storia: la bandiera britannica  ammainata sotto una pioggia battente per poi essere ripiegata e consegnata nelle mani del principe Carlo d’Inghilterra. Da  quel momento la zona amministrativa speciale avrebbe comunque goduto di   una relativa indipendenza politica e finanziaria   per almeno mezzo secolo ,  secondo la formula “un paese  due sistemi”,  concordata 10 anni prima dall’allora presidente Deng Xiaoping insieme a Margaret Thatcher. Una formula in linea con le riforme volute nel 1979 dal piccolo timoniere e  che aprivano la Cina all’economia di mercato, dando impulso a quell’impressionante sviluppo economico che in poco più di quarant’anni hanno reso la Cina una potenza temibile per il resto del mondo a cominciare dagli USA. Di questo sviluppo Hong Kong, uno dei centri della finanza più importanti del mondo, la porta verso l’Occidente che ancora oggi drena capitali stranieri da e verso la Cina continentale, è stata protagonista.

Nel giorno dell’handover anche il Financial Times di Londra si chiedeva se non sarebbe stata Hong Kong e il suo liberalismo  a influenzare la Repubblica Popolare e non viceversa. Ma dalla formula “un paese due sistemi” sembra ormai che la deriva verso  “un paese, un sistema”, sia irreversibile, secondo un processo e un’accelerazione che ha avuto il suo culmine con l'entrata in vigore della legge sulla sicurezza nazionale. Sembra quasi incredibile che siano passati solo tre anni dalle ultime manifestazioni di massa quando migliaia di persone scesero in piazza nell’ex colonia britannica per chiedere democrazia. Cortei e proteste fermate anche da un evento epocale come la pandemia, in grado di sconvolgere  ordini ed equilibri mondiali e che Pechino ha cavalcato per reprimere il dissenso.

Quale sarà il destino di questa grande metropoli? In che modo Pechino potrà tutelare le risorse di una protagonista del business, un centro nevralgico della finanza internazionale indispensabile per l'economia di tutto il paese che sta avendo battute d’arresto in molti settori, aree di crisi che potrebbero ostacolare la corsa di Xi Jinping e del sogno cinese.