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MONDO

Farnesina: "Il giornalista Gabriele Del Grande fermato in Turchia sta bene, seguiamo il caso"

Il reporter, che si occupa da tempo di fenomeni migratori, era giunto in Turchia per realizzare alcune interviste

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Il giornalista e documentarista Gabriele Del Grande, fermato lunedì in Turchia, sta bene. Lo assicura la Farnesina in una nota precisando che è stato fermato "perché si trovava in una zona del Paese in cui non è consentito l'accesso".

Il ministero degli Esteri, in stretto raccordo con l'Ambasciata d'Italia ad Ankara e il Consolato a Smirne, fa sapere il un comunicato che continua a seguire il caso con la massima attenzione, al fine di favorire una rapida soluzione della vicenda. La Farnesina sta prestando, inoltre, ogni possibile assistenza alla famiglia del connazionale, con la quale è in costante contatto. "In relazione alla vicenda di Gabriele Del Grande, fermato in Turchia perché si trovava in una zona del Paese in cui non è consentito l'accesso, si rende noto che le Autorità turche hanno assicurato che il connazionale sta bene", queste le parole della Farnesina.

Il giornalista e blogger italiano è dallo scorso lunedì 10 aprile in stato di fermo in Turchia, nella provincia di Hatay, vicino al confine con la Siria. Del Grande, 35 anni, è stato fermato nel corso di un controllo di polizia. Curatore del blog Fortress Europe, database di naufragi e morti nel Mediterraneo, il giornalista è specializzato in problematiche legate alla migrazione. 

I tempi per l'espulsione dal Paese di Gabriele Del Grande restano incerti e sarebbero legati al completamento delle relative procedure giudiziarie.
   
Le ragioni ufficiali del fermo restano ignote. Secondo le prime informazioni, Del Grande non avrebbe avuto le necessarie
autorizzazioni per svolgere attività giornalistica in Turchia, come richiesto dalle autorità locali. Non è chiaro al momento se intendesse attraversare il confine con la Siria, oppure intervistare profughi, che sono numerosi nell'area.

I controlli nei confronti dei reporter, anche stranieri, si sono ulteriormente irrigiditi con l'introduzione dello stato d'emergenza, decretato dopo il fallito golpe della scorsa estate. La zona dove è stato fermato Del Grande è inoltre considerata particolarmente sensibile.

"Auspichiamo che al più presto siano noti i tempi e le modalità di rimpatrio del giornalista e documentarista Gabriele Del grande, fermato lunedì in Turchia", scrivono, in una nota congiunta, Alessandra Ballerini, legale della famiglia di Gabriele Del Grande, e Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei Diritti umani del Senato.

Censura e arresti in Turchia
Dal tentato colpo di stato del 15 luglio in Turchia, sono decine i giornalisti arrestati senza processo, circa 170 organi di stampa sono stati chiusi e centinaia di tessere giornalistiche annullate. Alcuni giornalisti stranieri come Rob Nordland del New York Times, Dion Nissenbaum del Wall Street Journal e Olivier Bertrand di Les Jours sono stati arrestati o espulsi.  A febbraio era stato arrestato il corrispondente in Turchia del quotidiano tedesco Die Welt, Deniz Yucel.

A marzo Erdogan aveva detto: "Di recente ho ricevuto una lista di 149 nomi", di giornalisti in prigione in Turchia. "Sono tutti ladri, pedofili, terroristi", aveva detto il presidente turco, sostenendo che "144 sono accusati di terrorismo, 4 di altri reati" e invitando chi critica la repressione a "mandare una lista (per spiegare) che cosa hanno a che fare con il giornalismo".  

A dicembre 2016, il ministro della Giustizia Turco Bekir Bozdag, ha dichiarato, in risposta a un'interrogazione parlamentare di una deputata del partito filo curdo Hdp, che è "impossibile determinare" il numero di giornalisti attualmente detenuti nelle prigioni turche. In una comunicazione scritta Bozdag ha dichiarato la questione "estranea alle competenze del ministero della Giustizia", definendo "una mistificazione" voler affrontare l'argomento solo attraverso il numero delle detenzioni. 

Domani il referendum per il regime presidenziale
 La Turchia domenica vota il più importante referendum della sua storia. In ballo c'è l'abolizione dell'attuale sistema parlamentare che ha accompagnato la tradizione politica - e democratica -  del paese per 94 anni. Al suo posto verrebbe introdotto un controverso sistema presidenziale, definito "alla turca" perchè non simile a nessun altro modello al mondo e che secondo i critici della riforma segnerebbe l'inizio del governo di un solo uomo al potere.

La riforma è stata perseguita già a partire dal 2007 dal presidente recep tayyip erdogan. Ma i seggi parlamentari del partito della giustizia e dello sviluppo (akp, al governo) sono sempre rimasti insufficienti per raggiungere il numero minimo di 330 voti a favore per portare l'emendamento costituzionale a referendum. L'obiettivo è stato raggiunto solo lo scorso gennaio, dopo che il nazionalista mhp (quarto partito del parlamento) ha deciso di approvare la riforma.

Da quando è giunto al potere nel 2002, l'AKP non ha mai perso una elezione - fatta eccezione per le sole consultazioni del giugno 2015 dove ha avuto il 40,8% dei voti - ed ha mantenuto sempre il 50% delle preferenze. Anche per questo referendum i sondaggi indicano un simile risultato, ma le possibilità di superare il 50% delle preferenze - quale condizione per l'adozione della riforma - non risulta ancora data per certa, visto che anche il fronte del "no" si mantiene sulla stessa percentuale.

Per come è stata condotta la campagna del "sì", il referendum risulta però quasi trasformato in un voto
plebiscitario per molti, dove l'elettore è chiamato a scegliere tra una "Turchia forte" e una Turchia in balia delle forze nemiche.

All'occorrenza il fronte del "no" è stato definito "terrorista" e associato al PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e al movimento di Fethullah Gulen (responsabile secondo Ankara del tentato golpe del luglio scorso). Anche la tensione con l'Unione europea e alcuni paesi membri come la Germania e l'Olanda sono stati utilizzati per alimentare questa retorica, a cui una gran parte di media locali pro-governativi hanno dato man forte, anche per attirare i voti dell'elettorato del MHP che secondo I sondaggi non risulta sostenere il sistema messo al voto La stessa ricerca di  favori ha portato più recentemente Erdogan e il premier Yildirim a rivedere la retorica rivolta all'elettorato di origine curda, mentre i rappresentanti politici curdi - inclusi 11 deputati HDP - continuano a restare in carcere.

Il Paese arriva al referendum dopo un tentato golpe - che ha portato alla morte di oltre 240 persone - e in stato di emergenza, prolungato per la seconda volta fino al prossimo 19 aprile. Gli ultimi mesi hanno finora portato all'arresto di 43mila persone, al licenziamento di oltre 136mila dipendenti pubbilci - tra magistrati, docenti delle scuole e universitari, poliziotti e militari - ad almeno 100mila indagati e alla chiusura di centinaia di media e associazioni. Seppure con un esito ancora incerto restano forti gli interrogativi sul futuro del paese, a presindere dal risultato finale.