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MONDO

Russiagate

L'ex direttore dell'FBI Comey: la Russia ha interferito nelle elezioni americane

Conclusa l'audizione davanti al Senato americano dell'ex direttore dell'Fbi licenziato da Trump. Comey: "Il presidente americano ha mentito su di me e l'Fbi". Il legale di Trump: "Mai chiesta a Comey lealtà"

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L'ex direttore dell'Fbi, James Comey, nell'audizione in Senato alla Commissione Intelligence ha dichiarato che il presidente Donald Trump e i membri della sua amministrazione hanno mentito e lo hanno diffamato dopo il suo licenziamento lo scorso mese. "L'amministrazione allora ha scelto di diffamare me e, soprattutto, l'FBI, dicendo che l'organizzazione era allo sbando... Quelle erano bugie, chiaro e semplice", ha dichiarato Comey.

La Russia ha interferito sulle elezioni presidenziali americane del 2016, e potrebbe farlo ancora in futuro. Ne è sicuro l'ex direttore dell'Fbi James Comey, ascoltato dal Senato Usa sul Russiagate. Comey ha comunque specificato di essere "sicuro che il risultato delle elezioni non sia stato alterato". Secondo Comey, licenziato recentemente da Donald Trump, "c'è stato uno sforzo massiccio da parte di Mosca di colpire le elezioni presidenziali americane e l'Fbi seppe dei tentativi di hackeraggio da  parte dei russi alla fine del 2015. L'amministrazione Obama cercò quindi di fare di tutto per contrastare questi cyberattacchi". 

Comey ha iniziato la sua testimonianza davanti alla commissione Intelligence del Senato. L'ex direttore dell'Fbi è chiamato a dare la propria versione dei fatti nell'ambito delle indagini sul cosiddetto Russiagate, ovvero le possibile ingerenze della Russia nelle elezioni presidenziali statunitensi dello scorso novembre e sulla possibile collusione tra lo staff del presidente Donald Trump e il Cremlino. 

Il 27 gennaio, alla richiesta di "lealtà" avanzata da Trump, Comey ha raccontato di aver risposto: "Da me avrai sempre onestà", confermando le indiscrezioni di stampa delle settimane passate. Stando alla testimonianza, dopo le parole pronunciate da Trump ("Ho bisogno di lealtà. Mi aspetto lealtà"), Comey non si mosse, né parlò o cambiò espressione del suo volto "durante il silenzio imbarazzante che seguì. Ci guardammo in silenzio. Poi la conversazione si spostò su altro ma [Trump] tornò sulla questione alla fine della nostra cena".

Nell'incontro del 14 febbraio, Trump difese Flynn, dimessosi il giorno precedente. Stando alla ricostruzione di Comey, il presidente disse che l'ex generale "non aveva fatto nulla di sbagliato nel parlare con i russi, ma che aveva dovuto lasciarlo andare perché aveva fuorviato il vicepresidente". Per Trump, Flynn era "un bravo ragazzo". È in questo contesto che Trump disse a Comey: "Spero che tu possa vedere il modo con cui lasciar cadere la cosa. È un bravo ragazzo. Spero tu possa lasciar cadere la cosa". L'allora direttore dell'Fbi replicò solo con un "è un bravo ragazzo", senza dire che il caso sarebbe stato chiuso.

In una telefonata del 30 marzo, infine, il presidente descrisse l'indagine sulla Russia come una "nuvola" che gli stava impedendo di agire e chiese a Comey, secondo il racconto dell'ex direttore dell'Fbi, cosa potesse fare per "rimuovere la nuvola". Comey rispose che stavano "indagando il più velocemente possibile". Facendo riferimento a un'audizione congressuale della settimana precedente, Comey precisò di aver comunicato ai parlamentari competenti quali individui fossero sotto inchiesta e che "non stavamo indagando sul presidente". "Lui mi ha detto ripetutamente che dovevamo far uscire fuori" che lui non era indagato, ma Comey non lo fece per rispettare i protocolli e girò la richiesta di Trump al ministero della Giustizia.

Il legale di Trump: mai chiesta a Comey lealtà
Il presidente Donald Trump non ha mai chiesto all'ex direttore dell'Fbi, James Comey, di essergli leale. Lo ha detto il rappresentante legale del presidente Donald Trump per il Russiagate, Marc Kasowitz, in una nota. L'ex direttore dell'Fbi, James Comey, potrebbe essere indagato per aver passato alla stampa, tramite un amico, i suoi resoconti sulle conversazioni con il presidente Donald Trump, ha aggiunto Kasowitz. "James Comey", ha continuato il legale di Trump, "ha finalmente confermato pubblicamente quello che ha detto al presidente in via privata, ovvero che non era sotto inchiesta". Kasowitz ha sottolineato che Trump non ha "mai suggerito all'Fbi di mettere fine alle indagini su qualcuno".

In particolare riferendosi ai colloqui con la stampa, l'avvocato del Presidente statunitense ha detto: "Le fughe di notizie di queste informazioni confidenziali sono cominciate non più tardi di marzo del 2017, quando amici di Comey hanno affermato che lui ha rivelato loro le conversazioni che aveva avuto con il presidente nella cena del 27 gennaio del 2017 e nell'incontro alla Casa Bianca del 14 febbraio 2017".

E prosegue: "Oggi Comey ha ammesso di avere passato ad amici i suoi memo di queste conversazioni confidenziali, uno dei quali ha testimoniato che era classificato. Ha anche testimoniato che immediatamente dopo avere concluso autorizzò i suoi amici a fare filtrare i contenuti di questi memo alla stampa per 'spingere la nomina di uno special counsel'. Nonostante Comey abbia testimoniato di avere fatto filtrare i memo solo in risposta a un tweet, i dati pubblici rivelano che il New York Times citava questi memo già il giorno prima del tweet al quale si fa riferimento, che smentisce la scusa di Comey per la sua diffusione di informazioni confidenziali e pare essere del tutto una ritorsione". Il tweet di Trump a cui si fa riferimento è quello del 12 maggio, in cui il presidente Usa aveva scritto: "James Comey deve sperare che non ci siano 'nastri' delle nostre conversazioni, prima che cominci a parlare con la stampa!".