La proposta

Riaprire i cold case grazie ai progressi della scienza

Analisi del Dna, il luminol, il test dello stub. Oggi abbiamo molti strumenti in più per incastrare i colpevoli di delitti irrisolti. Ma tornare indietro nel tempo non è facile

Affidare a una task force di investigatori i cold case che hanno segnato la storia d'Italia. E provare a risolverli grazie ai progressi fatti dalle scienze forensi. È la proposta dell'ex comandante del Ris di Parma Luciano Garofano, intervenuto ad Alba in un dibattito con il criminologo ed ex colonnello Biagio Carillo. Solo a partire negli anni '90, infatti, la tecnologia ha rivoluzionato il modo di fare indagini. "Penso ad esempio agli antropologi forensi, alla psicologia forense molto utile negli interrogatori. - spiega Carillo -" (...) Quindi davvero l'equipe è fondamentale, soprattutto nei cold case è una possibilità davvero importante".

Nuovi strumenti che possono fare la differenza

L'analisi del Dna, il luminol, il test dello stub. Tutti strumenti che hanno fatto la differenza negli ultimi decenni. Come a Novi Ligure, dove fu utilizzata per la prima volta in Italia la cosiddetta BPA, blood pattern analysis. Studiando la forma delle tracce di sangue, la scientifica ricostruì con esattezza la dinamica degli omicidi commessi da Erika e Omar.

I rischi

Secondo Carillo è necessario conoscere a fondo queste tecniche e i protocolli da adottare sulla scena del crimine: "I rischi sono quelli di far nascere male un'attività investigativa e quindi avere difficoltà nel ricostruire quello che è realmente accaduto". Chi arriva per primo quando avviene un delitto, infatti, a volte rischia di inquinare le prove senza volerlo. E' per questo che è fondamentale la formazione, rivolta sia alle forze dell'ordine che ai soccorritori. 

 

Servizio di Marco Procopio; montaggio di Benedetto Mallevadore

Intervista a: Biagio Carillo, criminologo ed ex colonnello