L'allarme

Covid, anestesisti e rianimatori: negli ospedali si rischia il collasso

Secondo la Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva è necessario creare percorsi dedicati ai pazienti asintomatici che hanno necessità di interventi chirurgici urgenti

Covid, anestesisti e rianimatori: negli ospedali si rischia il collasso
Ansa
Secondo i dati Siaarti le terapie intensive covid stanno viaggiando verso la saturazione, con la necessità molto prossima di aprire altri posti sottratti alle terapie intensive non- covid

La crescita dei casi sta facendo emergere una nuova criticità, quella di pazienti covid asintomatici che devono essere operati, ad esempio per tumore o frattura, ma che risultano positivi all'ingresso in ospedale. "E' una popolazione in crescita esponenziale, per la quale servono protocolli e spazi dedicati che oggi non sono codificati, col risultato che ogni azienda si organizza come meglio crede: in alcuni casi vengono operati, in altri ci sono dilazioni pericolose, mentre si occupano posti in reparti destinati al covid critico. Servono indicazioni per evitare il caos". A lanciare l'allarme è Antonio Giarratano, presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti).

Si tratta di situazioni che non erano preventivabili solamente due o tre mesi fa, gli esperti chiedono che questi ambiti non siano sottovalutati a causa dell'attuale pressione globale generata dall'aumento dei casi dalla presenza della variante Omicron. "Registriamo tre fenomeni che destano la nostra preoccupazione", continua Giarratano. "Il primo è naturalmente legato alle necessità dirette legate alla pandemia, quelle delle sepsi e delle insufficienze respiratorie gravi che assorbono centinaia di posti letto e numerosissime risorse umane, tra cui in primo luogo quelle degli anestesisti rianimatori. Il secondo: la sanità non-covid in molte regioni è travolta dalle esigenze della pandemia e forse anche dalle necessità di riservare posti letto per poter rimanere nei colori "meno-emergenziali". Sappiamo che questa criticità genera ritardi preoccupanti, ribaditi in particolare dal mondo della chirurgia. E poi c'è il terzo fenomeno trascurato: la sanità per pazienti covid asintomatici non critici. Si tratta di centinaia di pazienti che vengono rilevati come positivi e che dovranno essere operati, trapiantati, ed assistiti nel postoperatorio intensivo. Occorre programmare oggi ciò che fra poche settimane diventerà con ogni probabilità una nuova emergenza sanitaria".

Le terapie intensive sotto pressione. Nicola Latronico, responsabile Siaarti rianimazione e terapia intensiva, sottolinea che "le terapie intensive covid stanno viaggiando verso la saturazione, con la necessità molto prossima di aprire altri posti sottratti alle terapie intensive non- covid. Queste ultime, ridotte nella loro capacità di letti e personale, sono sotto pressione per far fronte alle patologie tempo-dipendenti (traumi, stroke), a patologie acute non covid (sepsi, insufficienza respiratoria acuta) e per prendere in carico pazienti post-operatori complessi e gravi".

Il problema delle positività incidentali. Angelo Gratarola, responsabile Siaarti anestesia e medicina perioperatoria, evidenzia anche altri problemi: "Viviamo una sorta di daltonismo delle fasce di rischio, si rischia infatti l'arancione territoriale per pazienti ricoverati non a causa del covid, ma per le sole positività incidentali scoperte al pronto soccorso. Questo rappresenta un problema concreto: il ministero dovrebbe infatti, sentite le società scientifiche, offrire indicazioni e linee operative per poter sottoporre ad intervento chirurgico pazienti semplicemente positivi al virus". 

I pazienti oncologici. Roberto Balagna, responsabile Siaarti della medicina critica dell'emergenza, spiega che "ogni giorno siamo costretti a non operare pazienti che avrebbero necessità di interventi chirurgici di una certa importanza e necessità, ad esempio i pazienti oncologici, una popolazione, sempre più numerosa, di pazienti vaccinati, spesso con tre dosi, asintomatici e che risultano positivi al tampone eseguito al momento del prericovero. Questa popolazione sta diventando sempre più numerosa sia nel contesto dell'emergenza urgenza che per quanto riguarda pazienti che necessitano di trapianti salvavita. La gestione clinica, logistica ed organizzativa dei percorsi sta diventando sempre più critica. Se non si troveranno presto soluzioni dinamiche, rivedendo le attuali procedure, conclude Balagna, presto l'intero sistema chirurgico sarà nel caos".

Troppe mamme in attesa non vaccinate e a rischio. Maria Grazia Frigo, responsabile responsabile delle cure materno-infantili della Siaarti, sottolinea con preoccupazione: "La popolazione ostetrica è ancora troppo esposta al contagio perché ancora in gran parte non vaccinata, nonostante le raccomandazioni delle principali società scientifiche del settore. L'evento travaglio di parto o in generale l'urgenza ostetrica non è procrastinabile e questo comporta una pressione sulle strutture che può compromettere la sicurezza del percorso nascita se non è realizzato in forma sicura e con il massimo della prudenza organizzativa". Nelle precedenti ondate pandemiche "ne avevamo molte meno di partorienti positive, ma con Omicron i numeri sono aumentati tantissimo anche in questa specifica popolazione. Bisogna fare molta attenzione, perché le donne positive possono avere nascite pretermine e complicanze di vario tipo. I figli di positive nascono in genere negativi ma ci sono stati in Italia anche alcuni casi di mortalità materna in gravidanza e di abortività a causa del covid 19. Così come avvenne anche per l'influenza H1N1".  Oltretutto, prosegue, "se una donna arriva positiva al momento del parto, servono percorsi assolutamente separati, perché si rischiano focolai tra i neonati e le altre mamme, se il tutto non è pianificato e gestito con il massimo della prudenza organizzativa. Questo, conclude Maria Grazia Frigo, complica moltissimo l'organizzazione in reparto e richiede molte più risorse da dedicare. Come raccomandano l'Istituto superiore di sanità e le principali società scientifiche del settore, quindi, le donne incinte dovrebbero vaccinarsi".