Condannata l'ex Premio Nobel per la pace

Myanmar: gli Usa chiedono il rilascio di Aung San Suu Kyi, vittima di una "ingiusta condanna"

"L'arresto, l'accusa e la condanna ingiusta di Aung San Suu Kyi sono un affronto alla giustizia e allo stato di diritto", ha dichiarato il portavoce della diplomazia americana, Ned Price

Myanmar: gli Usa chiedono il rilascio di Aung San Suu Kyi, vittima di una "ingiusta condanna"
AP Photo/Peter Dejong, File
Aung San Suu Kyi

Un ''affronto alla giustizia''. Così gli Stati Uniti hanno definito la condanna inflitta all'ex leader di Myanmar, Aung San Suu Kyi, chiedendone nuovamente il rilascio. "L'arresto, l'accusa e la condanna ingiusta di Aung San Suu Kyi da parte del regime militare birmano sono un affronto alla giustizia e allo stato di diritto", ha dichiarato il portavoce della diplomazia americana, Ned Price.

La Premio Nobel per la Pace, 76 anni, è stata condannata oggi ad altri quattro anni di carcere per aver violato la legge sull'esportazione-importazione di walkie-talkie, per aver violato la legge sulle comunicazioni e per molteplici accuse. In totale, dovrebbe scontare oltre cento anni di carcere.

La condanna

L'ex leader del Myanmar, Aung San Suu Kyi, è stata condannata a quattro anni di carcere nell'ultimo sviluppo dei processi contro la ex consigliere di Stato del Paese, oggi retto dalla giunta militare. Tra le accuse contro di lei ci sono il possesso di walkie-talkie in violazione della legge sulle importazioni, e la violazione delle regole contro il Covid-19.

Aung San Suu Kyi si trova in stato di detenzione dal colpo di Stato militare del 1 febbraio 2021. A dicembre, la premio Nobel per la Pace, 76 anni, era stata giudicata colpevole di incitamento alla sovversione e di violazione delle regole contro la diffusione del Covid-19 in quello che era stato definito un " finto processo" dall'Alto Commissario dell'Onu per i Diritti Umani, Michelle Bachelet. Secondo fonti citate dal quotidiano The Irrawaddy, la sentenza pronunciata oggi a porte chiuse dal tribunale speciale di Nayipidaw comprende due anni di carcere per il possesso illegale di walkie-talkie, un anno per il possesso di altri apparecchi e altri due anni per le violazioni delle regole contro il Covid-19, con le prime due condanne da scontare simultaneamente.

Il verdetto è basato sulle visite porta a porta effettuate da Aung San Suu Kyi a membri del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, in vista delle elezioni del novembre 2020: il suo schieramento ha ottenuto una netta vittoria dalle urne, contestata, però, dalla giunta militare, che ha citato brogli elettorali, nonostante il parere contrario degli osservatori internazionali.

Tra le accuse di cui Aung San Suu Kyi deve ancora rispondere ci sono anche quelle di presunta corruzione e di violazione dei segreti di Stato. Dura reazione alla sentenza di oggi da parte degli attivisti per i diritti umani.

"Il circo di tribunali della giunta militare di processi segreti su accuse inesistenti riguarda soltanto l'accumulo di maggiori condanne, così che rimanga in prigione a tempo indefinito", ha commentato in una nota il vice direttore per l'Asia di Human Rights Watch, Phil Pobertson. Dal colpo di Stato militare in Myanmar del 1 febbraio scorso, si sono susseguite forti manifestazioni nel Paese, represse duramente dalla giunta militare, che ha colpito manifestanti pro-democrazia, attivisti e giornalisti.

Oltre alla premio Nobel per la Pace, più di 10.600 persone sono state arrestate in Myanmar, e almeno 1.300 sono state uccise durante le proteste, secondo il gruppo di monitoraggio Assistance Association for Political Prisoners, citato dalla Bbc. Le informazioni sui processi contro la ex leader del Myanmar e sulle sue condizioni sono scarse: dall'ottobre scorso, la giunta militare in Myanmar ha vietato agli avvocati di Aung San Suu Kyi di parlare con i media, che non hanno avuto accesso in aula al processo di oggi. Il mese scorso, il capo della giunta militare al potere, il generale Min Aung Hlaing, aveva dichiarato che Aung San Suu Kyi e l'ex presidente Win Myint rimarranno detenuti nel posto in cui attualmente si trovano, indicando che non saranno imprigionati mentre sono in corso i processi contro di loro.