Intervista a Vincenzo Musacchio

La scalata delle mafie albanesi a Roma: "Vogliono contare di più nello scacchiere criminale"

"Non credo si possa parlare di colonizzazione ma certamente a Roma le mafie albanesi contano di più rispetto al passato", dice il criminologo a Rainews.it

La scalata delle mafie albanesi a Roma: "Vogliono contare di più nello scacchiere criminale"
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Quartiere di San Basilio Roma

“A Roma il potere delle mafie albanesi è stato sottovalutato – afferma il criminologo Vincenzo Musacchio. Oggi agiscono sul campo alternando violenza a corruzione, sono silenti e mercatistiche, per cui molto difficili da combattere”. “Chi pensava che fossero soltanto violenti, brutti e sporchi si sbagliava. Sono intelligenti, cattivi e opportunisti”.

 

Esiste la mafia albanese a Roma? 

Non solo esiste, ma nella città eterna adesso comincia a ricoprire non più un ruolo da gregario come in passato. La sparatoria in spiaggia a Roma (Torvaianica) avvenuta il 20 settembre 2020, per chi studia i fenomeni di mafia, ha un significato preciso. I clan albanesi vogliono contare di più nello scacchiere criminale della città eterna. Da allora a oggi sono passati circa due anni. La mafia albanese sarebbe implicata anche per l'esecuzione di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, ucciso con un solo colpo alla testa mentre era seduto su una panchina a Roma. Siamo di fronte ad esecuzioni ostentate. Il segnale è inequivocabile: esistiamo anche noi! 

I clan albanesi stanno colonizzando la Capitale?

Non credo si possa parlare di colonizzazione ma certamente a Roma le mafie albanesi contano di più rispetto al passato. Mentre prima controllavano le piazze di spaccio, oggi le riforniscono della loro droga, quella prodotta e confezionata in Albania e pronta per l’uso a Roma e provincia. Non è più un territorio dove prima di uccidere gli albanesi avrebbero dovuto chiedere il permesso. Dopo gli ultimi vuoti di potere e le nuove alleanze tra clan italiani e albanesi, oggi, possono spargere sangue e non temere ripercussioni all’interno dei clan, ovvero, la sollevazione dei cittadini, o ancora l’attenzione mediatica. Sono presenti in alcuni quartieri storici: da Primavalle, a Ponte Milvio, San Basilio fino litorale ostiense.

Le esecuzioni di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, di “Passerotto” Shehaj Selavdi e di Adrian Pascu, presumibilmente da parte degli albanesi, che cosa hanno significato?

Gli albanesi usano i vecchi metodi e marcano inizialmente il loro territorio con le armi e la violenza poi corrompono e stipulano alleanze. Roma rischia davvero predominio di queste nuove mafie. Potrebbero esserci anche nuovi regolamenti di conti scatenati da quei clan che non accetteranno di buon grado tal egemonia. Ci sono le 'ndrine calabresi, la camorra napoletana e casalese e Cosa nostra siciliana che potrebbero reagire qualora i loro affari fossero messi in discussione o ridimensionati. Ndrangheta, camorra e Cosa nostra non amano più la gestione militare e violenta degli affari. La mia opinione in merito tuttavia è che questi omicidi siano indicativi dei nuovi assestamenti criminali. Dopo queste esecuzioni così plateali non ci sono state ritorsioni. Questo significa che gli omicidi hanno fatto comodo anche agli altri clan operanti a Roma.

Come mai le mafie albanesi sono diventate così potenti anche a Roma?

Le mafie albanesi sono diventate molto più potenti rispetto al passato grazie alla produzione e al traffico di stupefacenti in tutta Europa. Dopo anni di presenza e di alleanze sul territorio romano il loro potere si è rafforzato notevolmente perché producono e spacciano le sostanze stupefacenti e di conseguenza realizzano immensi guadagni. Le forniture arrivano direttamente dall’Albania da dove si gestiscono anche le grandi piazze di spaccio romane e si forniscono e si controllano i carichi. Calabresi, campani e siciliani - cui forniscono droga a prezzi imbattibili, detenendo ormai il monopolio assoluto del traffico - hanno stipulato in passato e nel presente patti di non belligeranza con gli albanesi. I capi clan restano in Albania dove la legislazione antimafia li favorisce. I “delegati” operano in Italia eseguendo gli ordini impartiti dai loro capi.

Reggeranno questi patti? 

Io ritengo che non solo reggeranno ma si consolideranno anche perché la politica purtroppo è restata e resta immobile permettendo che questi fenomeni crescano al punto da diventare non più infiltrazioni ma radicamento vero e proprio. Roma è adesso a tutti gli effetti anche terra di mafia albanese. Il loro predominio rischia di allargarsi a macchia d’olio.

Che cosa differenzia le mafie albanesi da quelle italiane?

La capacità criminogena di questa mafia è impressionante, poiché riesce a fondere caratteri “tradizionali” (rigida disciplina interna, chiusura a terzi, impermeabilità, affidabilità e alto potenziale intimidatorio) con elementi “moderni” (transnazionalità, imprinting economico e stretti contatti con la politica). La loro potenza economica e militare proviene quasi tutta dalla produzione e dal traffico di stupefacenti. La criminalità organizzata albanese, secondo la DIA, resta l’organizzazione straniera tra le più attive, pericolose e ramificate in tutto il territorio italiano (Relazione DIA, 2021). 

Che rapporti ci sono tra i clan albanesi e quelli che fanno capo ai Casamonica, agli Spada e ai Di Silvio, operanti soprattutto nel litorale romano?

In parte lo spiegò già l’indagine del Ros dei Carabinieri di Roma denominata “Mondo di Mezzo”. Si parla già all’epoca - era il 2015 - di un gruppo criminale con a capo Fabrizio Piscitelli e del quale facevano parte soggetti albanesi (cfr. Elvis Demce) ed esponenti del clan Casamonica (cfr. Salvatore Casamonica) che stipularono un’alleanza mafiosa sul litorale romano di Ostia. Oggi le cose sono cambiate. Gli albanesi hanno la droga, hanno forza e potenza di fuoco, conoscono bene la lingua, conoscono bene il territorio e sanno come muoversi. I clan del litorale romano dipendono comunque dalla loro droga sia per quantità, sia per convenienza e questo mette gli albanesi in una posizione di superiorità.  

Tutto questo poteva essere evitato in passato?

Il mio maestro Antonino Caponnetto avrebbe detto: del senno di poi sono piene le fosse! Oggi, sciaguratamente, si avvera quanto scrissi oltre tre anni fa, quando evidenziai il pericolo delle mafie albanesi e dissi che a Roma non rappresentavano un fenomeno marginale. In questi giorni abbiamo compreso, a nostre spese, che invece occupano ruolo centrale nello scacchiere del crimine organizzato romano.

Cosa si può fare invece nel presente?

Il sistema repressivo deve essere pluridimensionale: interventi mirati delle forze dell’ordine in ambito economico, operazioni di polizia giudiziaria specializzata, arresti dei latitanti, sequestri e confische dei beni mafiosi, azioni capillari di controllo del territorio. In poche parole lo Stato deve far sentire la sua presenza. La fase preventiva invece credo debba partire da un risveglio della coscienza civile dei romani, che deve cominciare a prendere corpo con un movimento di opposizione alla mafia e di contrasto della mafiosità. A Roma occorre iniziare un intenso lavoro di educazione alla legalità e alla crescita della coscienza civica nelle scuole e nella società civile che coinvolga soprattutto le nuove generazioni. Credo che mai come per Roma in questo momento valgano le seguenti parole di Giovanni Falcone: “Ci si dimentica che il successo delle mafie è dovuto al loro essere dei modelli vincenti per la gente. E che lo Stato non ce la farà fin quando non sarà diventato esso stesso un modello vincente. A Roma e ai romani in questo momento occorre sentire forte la presenza della Stato.

 

Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.  È oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.