Il lavoro investigativo del quotidiano statunitense

Inchiesta del New York Times sui massacri di Bucha, la prove da droni e telecamere di sicurezza

A inizio marzo le forze russe occupano i sobborghi di Kiev; almeno otto civili vengono catturati e giustiziati dai paracadutisti di Mosca. Ora, grazie all'indagine del NYT, queste immagini potranno essere usate per provare i crimini di guerra

In quella che è a tutti gli effetti una cosiddetta “guerra ibrida”, che non si combatte solo sul campo di battaglia ma anche attraverso l’economia, la diplomazia, la propaganda e, in larga parte, la tecnologia, gli esiti di un’inchiesta giornalistica del New York Times potranno costituire un’importante prova documentale dei crimini di guerra commessi dall’esercito russo in territorio ucraino.

Il quotidiano statunitense è infatti riuscito a recuperare le prove fotografiche e video (realizzate anche con droni e corredate dei dovuti riscontri da parte di testimoni, polizia e funzionari militari) di una delle decine di esecuzioni e massacri commessi dalle forze di invasione nei dintorni di Kiev. Siamo all’inizio di marzo, la guerra è cominciata da pochi giorni e i russi stanno cercando di raggiungere la capitale per occuparla e rovesciare il governo e il presidente Zelensky. Stringono d’assedio Kiev e i suoi sobborghi. Bucha è uno di questi e diventerà tristemente noto per le immagini, che hanno fatto il giro del mondo, della strada principale della cittadina disseminata dei corpi abbandonati di decine di civili senza vita. Istantanee che alle autorità ucraine hanno fatto subito evocare il momento più basso che si possa raggiungere in una guerra, l’eccidio, la strage di innocenti, il crimine di guerra; e, dall’altro lato, hanno fatto dire alla Russia che si trattava di “fake news” e sporca propaganda.

Come mostra l’inchiesta del New York Times, e i filmati delle telecamere di sicurezza di cui sono entrati in possesso i suoi giornalisti, le forze paracadutiste russe del 104° e 234° reggimento d'assalto aviotrasportato hanno catturato nove uomini nei pressi di un edificio destinato ad uffici e che l’esercito invasore stava utilizzando come propria base. I prigionieri, si scoprirà successivamente, sono civili, giovani uomini ma anche individui di mezza età che prima dell’inizio della guerra svolgevano i più diversi lavori e che in quei giorni drammatici, anche per il divieto di lasciare il Paese rivolto a tutti i cittadini maschi di età compresa tra i 18 e i 60 anni, hanno deciso di unirsi all’esercito nazionale per difendere il proprio territorio e impedire l’avanzata del nemico.

Un altro frame preso dalle telecamere di sorveglianza di Bucha New YorkTimes
Un altro frame preso dalle telecamere di sorveglianza di Bucha

Il quotidiano newyorkese ha potuto dimostrare attraverso la propria ricostruzione che quegli uomini sono stati condotti in un cortile posteriore dell’edificio scelto dai russi come base e, con le mani legate, sono stati fucilati ad uno ad uno, seguendo il copione di una vera e propria esecuzione. Uno di essi si è poi salvato. “I giornalisti – spiega il giornale americano – hanno raccolto video inediti [girati anche dai vicini, ndr] del giorno dell'esecuzione, alcune delle (finora) uniche prove per tracciare i movimenti finali delle vittime. Il Times ha perlustrato i social media alla ricerca di segnalazioni di persone scomparse, ha parlato con i familiari delle vittime e, per la prima volta, ha identificato tutti gli uomini giustiziati”. I cadaveri saranno poi ritrovati dopo un mese, in seguito al ritiro delle forze di occupazione da Bucha e dagli altri sobborghi di Kiev; anche se gli abitanti della cittadina, i parenti e gli amici degli uccisi, nascostisi in sotterranei e cantine, avevano cominciato la ricerca dei propri cari già pochi giorni dopo il massacro.

La dimostrazione di questa tragica esecuzione potrà costituire una valida prova per quanti, dalle commissioni interne ucraine agli organismi internazionali, stanno raccogliendo documenti, testimonianze e tutto ciò che possa essere utile per accusare gli eventuali responsabili di questi orrori di “crimini di guerra”. Come infatti spiega l’avvocato statunitense Stephen Rapp, ex ambasciatore generale presso l’Ufficio di giustizia penale globale, siamo di fronte al “tipo di incidente che potrebbe diventare un valido motivo per perseguire i crimini di guerra”. I prigionieri, essendo stati disarmati e presi in custodia dai russi, non si trovavano in un contesto di combattimento secondo le leggi di guerra. Secondo le Nazioni Unite e il Comitato internazionale della Croce Rossa, queste leggi implicano che i prigionieri devono essere trattati con umanità e protetti da ogni tipo di maltrattamenti, in ogni circostanza. “Oltre ai soldati che hanno sparato agli uomini, i loro comandanti potrebbero essere accusati se fossero stati a conoscenza delle uccisioni e non avessero agito per prevenire o punire quella condotta” ha aggiunto ancora l’avvocato Rapp.

Ciò che colpisce di questa inchiesta, al di là della drammaticità delle immagini e degli orrendi crimini commessi, è la totale inconsapevolezza delle forze armate russe di potersi trovare di fronte a sofisticate strumentazioni di alta tecnologia, che avrebbero potuto catturare le loro azioni, anche le più terribili e ingiustificabili. Ci si aspetta, a questo punto, che emergano altri episodi come quello raccontato dall’inchiesta del New York Times, pronti per essere messi a disposizione delle commissioni d’inchiesta sui crimini di guerra in Ucraina.