Il documentario su Raidue il 7 ottobre alle 21.20

Nella mente di un serial killer: le tre vite di Donato Bilancia

Lungo viaggio dentro la notte dell’uomo qualunque che in sei mesi si è trasformato nel serial killer che ha accatastato più cadaveri lungo la sua traiettoria di sangue

È stato un lungo viaggio dentro la notte di Donato Bilancia, l’uomo qualunque che in sei mesi si è trasformato nel serial killer che ha accatastato più cadaveri lungo la sua traiettoria di sangue, tra la via Aurelia e il mare, 17 vittime, 9 uomini, 8 donne. 

Le prime tre uccise per vendetta nel giro del gioco d’azzardo. Poi un metronotte. Poi due guardie giurate. Una coppia di gioiellieri.  Quattro prostitute. Un benzinaio che non vuole fargli credito. Due ragazze scelte a caso sui treni che viaggiano da Genova a Ventimiglia e Verona. Mandando nel panico l’Italia intera. Siamo a Pasqua 1998.  

Mai nessuno ha ucciso così tanto e in così poco tempo, dal 15 ottobre 1997 al 20 aprile 1998, sei mesi. I suoi sei mesi di fuoco che lui, nel suo primo interrogatorio, ha chiamato “la mia consecutio temporum”.

L'inferno familiare

Bilancia e il suo mistero sono nati nel 1951 a Potenza. Famiglia piccolo borghese, padre autoritario, madre inerte, un fratello più grande. Nei primi Anni ’50 emigrano a Genova, dove Donato cresce storto, “la mia era una famiglia disgraziata, litigi, botte, un inferno”. Va male a scuola, ripete tre volte la terza media. Poi basta, preferisce la vita sciolta. Fa il barista, il panettiere, il meccanico. Ma la sua vocazione è fare il ladro. Ruba Alfa Romeo e ruba negli appartamenti. Bazzica i bar del porto, le bische, i night club con prostitute. In carcere frequenta vari maestri di malavita. Ha talento per le serrature. Impara a scegliere appartamenti e negozi. Impara a fare piani con una via di fuga incorporata.

La ricchezza guadagnata con il crimine

Diventa ricco. Compra un appartamento in zona residenziale, veste elegante. Guida Mercedes. E se ha una donna l’ha appena pagata. Al bar offre da bere, a cena paga per tutti. Ma a casa ci torna da solo. Frequenta il Casinò di Sanremo. Gioca a dadi. Gioca a poker. Gioca alla roulette. Vince. E quando perde paga. Ma sa sempre come procurarsi una nuova dote. È uno spaccone. Dice: “Sono il migliore ladro professionista in circolazione”.

Il tradimento dell'amico

Lo segna la tragedia del fratello, anno 1987, che si suicida buttandosi sotto al treno con il figlio di 4 anni, che è il suo nipote prediletto. È un colpo che apparentemente non lo piega, solamente lo isola ancora di più nel rancore verso il mondo. Non si fida di nessuno, tranne che di un tale Maurizio, biscazziere, che considera amico. Almeno fino a un certo sera del 1997, quando per caso lo ascolta mentre si vanta con il titolare della bisca di avergli portato “quel pollo di Bilancia” che ha perso più di 400 milioni di lire in poche settimane di gioco truccato. 

Più dei soldi gli brucia il tradimento. Dirà: “Non so cosa è successo nella mia testa. Ero furioso. Ho pensato questi due li devo uccidere”.

Lo fa davvero. Prepara un piano. Il primo lo uccide la notte del 15 ottobre 1997, entrandogli in casa, tappandogli naso e bocca con il nastro adesivo: “Mentre lo uccidevo gli ho spiegato perché. L’ho fatto soffrire molto”.

“Uccidere è facile”

Nove giorni dopo si occupa della seconda vendetta. Un colpo in testa all’amico traditore, due colpi alla moglie. Da quella seconda notte in poi è un crescendo: “Ha imparato quanto sia facile uccidere”, dirà uno degli investigatori. Continua, ancora a Genova, con una coppia di orefici, per rapinarli. Poi un cambiavalute a Ventimiglia. Poi un metronotte. Poi quattro prostitute scelte a caso, a Genova, Cogoleto, Arenzano, Varazze. Uccide senza lasciare né testimoni né tracce, sino alla notte del 24 marzo ‘98, Novi Ligure, due metronotte affiancano l’auto di Bilancia che si è appartato con Lorena, un transessuale, dentro al parco di una villa privata. Fanno l’errore di scendere. Li uccide con due colpi a testa. Lorena prova a scappare. Lui la rincorre, la atterra, le spara tre volte. Se ne va credendola morta. 

Ma Lorena sopravvive. E accende la prima luce su quella scia di sangue. Si ricorda gli occhi e la voce dell’assassino. Il fisico, i vestiti, la Mercedes nera che guidava. Tutti dettagli buoni per disegnare il primo identikit.

Le indagini

Entrano in scena i carabinieri del nucleo operativo di Genova e il magistrato Enrico Zucca. Raccolgono dettagli sugli altri delitti dispersi lungo i paesi della Liguria e che sembrano scollegati tra loro. Scoprono che a sparare è la stessa pistola, una Smith & Wesson 38 special. Mentre le indagini corrono, Bilancia alza ancora il tiro, compiendo due omicidi clamorosi nella settimana di Pasqua, aprile 1998. Sui treni della Liguria sceglie due donne a caso da uccidere. Nessun movente tranne la crudeltà.  

Il panico dell’opinione pubblica accende i riflettori sulla sequenza di omicidi. Si fa avanti l’uomo che ha venduto l’ultima Mercedes a Bilancia perché ancora gli arrivano le multe del nuovo proprietario. E le multe (41 in tutto) a Cogoleto, Arenzano, Ventimiglia, corrispondono alle date di alcuni dei delitti. L’acquirente si chiama Bilancia. E le sue foto corrispondono all’identikit fornito da Lorena. Anche se non corrisponde la sua vita criminale: “Per noi era solo un ladro e un giocatore, uno di malavita ordinaria”, dirà il magistrato. 

Iniziano i pedinamenti. Da un caffè bevuto al bar e dal mozzicone di una sigaretta, i carabinieri identificano il dna del sospettato e finalmente la caccia si chiude. 

Donato Bilancia viene arrestato alle 11 del mattino del 6 maggio 1998. Lo accusano di 8 omicidi. Non oppone resistenza. Nega per una settimana di seguito. Poi chiama il magistrato, chiede acqua e sigarette. Dice: “Tutto quello che ho fatto, lo so solo io, perché l’ho fatto da solo. E non è un omicidio, non sono otto omicidi, ma sono diciassette. Ora le racconto”.

Il processo

Reo confesso, Bilancia verrà condannato a 13 ergastoli. Investigatori e psichiatri proveranno a forzare il mistero della sua personalità complessa e fortemente disturbata. Non un pazzo. Semmai un vendicatore sempre capace di intendere e volere che si sente contemporaneamente vittima del mondo e insieme carnefice. Glielo consente la sua totale assenza di freni inibitori, di rimorso, di sensi di colpa. Durante gli interrogatori dirà: “Devo ancora fare mente locale su quello che ho fatto”. 

Ci abbiamo provato anche noi, rintracciando i testimoni delle sue tre vite, quella del giocatore d’azzardo, quella dello sterminatore. E infine quella del carcerato, durata 22 anni, dal 1998 al 17 dicembre 2020, portato via dal Covid. Provando a illuminare – attraverso la registrazione originale della sua confessione, la testimonianza degli amici e degli investigatori - il suo mistero di uomo cresciuto anonimo tra la folla che un giorno, a 46 anni, cambia di colpo la propria vita, cancellando quella degli altri. Rendendosi memorabile, almeno nella crudeltà.