Aveva 98 anni

Addio a Napolitano, il primo "comunista d'America" asceso (per due volte) al Colle

Nato nel 1925, è stato uno dei massimi dirigenti del PCI e il capo dello Stato più longevo. Presidente della Camera, poi ministro dell'Interno, venne eletto al Quirinale nel 2006; fu rieletto - prima volta nella storia repubblicana - nel 2013

Addio a Napolitano, il primo "comunista d'America" asceso (per due volte) al Colle
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Napolitano. E napoletano, anzi napoletanissimo. Partenopeo fino al midollo, appartenente a quella ricca borghesia illuminata che, agli albori del Fascismo, flirtava con la nobiltà cittadina (la madre apparteneva a una nobile famiglia piemontese) e che vide, tra i suoi massimi esponenti, Raffaele La Capria, Francesco Rosi, Giuseppe Patroni Griffi, tutti suoi compagni di liceo all’Umberto I di Napoli, dov’era nato il 29 giugno 1925.

Giorgio Napolitano, predecessore di Sergio Mattarella e presidente emerito, senatore a vita dal 2015, si è spento ieri a Roma all’età di 98 anni. È stato il presidente della Repubblica più longevo (nel 2021 aveva superato Carlo Azeglio Ciampi, morto a 95 anni nel 2016). Ma, soprattutto, è stato il primo ex comunista ad ascendere al Colle più alto, il Quirinale, nonché primo capo dello Stato italiano ad essere rieletto per un secondo mandato: nel 2013, mentre il Parlamento si arrovellava tra candidature nate morte e i 101 franchi tiratori che impallinarono Romano Prodi, lui accettò pur controvoglia di essere rieletto, salvo precisare che si trattava di un “mandato a tempo” e che i deputati e senatori, con quello spettacolo, avevano dato una pessima immagine di sé e delle istituzioni repubblicane.

E Napolitano, nel discorso di “rielezione”, non mancò con la voce rotta dalla commozione di bacchettare i parlamentari, denunciando il pericoloso “avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell'inconcludenza, nella impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell'elezione del capo dello Stato”. Napolitano, quindi, ritenne “di non poter declinare” l’appello a farsi rieleggere, “per quanto potesse costarmi l'accoglierlo, mosso da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del Paese”.

Il Quirinale, appena avuta la notizia ha pubblicato una nota in cui il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella afferma: “Nella vita di Giorgio Napolitano si specchia larga parte della storia della seconda metà del Novecento, con i suoi drammi, la sua complessità, i suoi traguardi, le sue speranze. La sua morte mi addolora profondamente e, mentre esprimo alla sua memoria i sentimenti più intensi di gratitudine della Repubblica, rivolgo ai familiari il cordoglio dell’intera nazione”

 

I cinque premier nominati

Il mandato a tempo durò infatti solo due anni, prima del compimento del suo 90esimo anno d’età: era già stanco e un settennato impegnativo alle spalle si faceva sentire. Aveva presenziato al giuramento del secondo governo Prodi (2006-2008) e poi al ritorno a Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi (2008-2011) per il suo ultimo, contestatissimo governo, terminato tra grida di giubilo di una piccola folla radunatasi in piazza del Quirinale, proprio dove il Cavaliere si era recato per rimettere il mandato a Napolitano. Era il 16 novembre 2011, un’era politica fa.

Ma l’ex capo dello Stato, nei suoi nove anni al Colle, aveva tenuto a battesimo anche altri esecutivi: quello di Mario Monti, che proprio lui aveva nominato senatore a vita una settimana prima della caduta di Berlusconi, spianandogli la strada verso la guida del governo; quello di Enrico Letta, entrato in carica il 28 aprile 2013 e frutto di un estenuante travaglio lungo due mesi, causato dell’inedito pareggio alle politiche del 25 febbraio precedente. E, infine, quello di Matteo Renzi, il Rottamatore, che sull’onda del successo alle primarie del PD contro Pierluigi Bersani, aveva scalzato il rivale Letta dalla poltrona di premier col celebre “Enrico stai sereno”.

 

Una vita nel PCI

Iscrittosi a Giurisprudenza nel 1942, Giorgio Napolitano non prevedeva di votarsi anima e corpo alla politica, lui che crebbe con l’idea che la politica è un servizio e non una professione: i suoi interessi, infatti, spaziavano dal cinema alla letteratura e negli anni universitari si fece notare come critico cinematografico e teatrale su IX Maggio, rivista degli universitari fascisti, dove però scrivevano anche personalità di orientamenti ideologici diversi.

Dopo la Liberazione, si accostò progressivamente all’area comunista, iscrivendosi al PCI alla fine del ’45. Da allora cominciò per lui una lunga ascesa ai vertici del partito, prima funzionario, poi dirigente. Segretario della sezione di Caserta tra il 1951 e il 1957, fu eletto per la prima volta alla Camera nel 1953. Vi resterà per 43 anni, fino al 1996, tolta una piccola parentesi (1962-1966) per dirigere la sezione napoletana del PCI. Laureatosi in economia politica sul mancato sviluppo del Meridione dopo l’Unità d’Italia, i temi del sottosviluppo e delle politiche economiche saranno sempre al centro della sua azione pubblica. A capo della Commissione meridionale del Comitato centrale del PCI (dal 1956), Napolitano diresse quella del Lavoro di massa dal 1960 al 1962. Alla fine di quello stesso anno, entra nella Direzione nazionale, ricoprendo gli incarichi di coordinatore dell'ufficio di segreteria e dell'ufficio politico (1966-1969) e di responsabile della politica culturale (1969-75).

 

Il “comunista d’America” poi presidente della Camera e ministro dell’Interno

Negli anni Settanta, Giorgio Napolitano – appartenente alla corrente “migliorista” (di destra) del PCI – si fa conoscere all’estero, soprattutto in Europa e America, come rappresentante del più grande partito comunista d’Occidente, tenendo numerosi incontri e conferenze in università statunitensi: è il primo esponente del partito ad ottenere l’autorizzazione a recarsi negli Stati Uniti per partecipare a dibattiti di politica internazionale. Cresce, così, la sua attenzione e specializzazione ai temi del processo di integrazione europea, dell’atlantismo italiano e del riformismo.

Alla caduta del Muro di Berlino, si schiera con la maggioranza del PCI per una trasformazione del partito in senso socialdemocratico, che porterà alla svolta della Bolognina (1991) e alla nascita del PDS (Partito Democratico della Sinistra). Nel 1992 viene eletto presidente della Camera, nel pieno della tempesta di Tangentopoli. Con il primo governo Prodi (1996-1998) entra nel Consiglio dei ministri come titolare del Viminale: con Livia Turco, lavorerà alla legge sull’immigrazione (1998) che porta il suo nome, poi sostituita dalla Bossi-Fini (2002).

Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica (1998), gli sono state conferite sette lauree honoris causa. Tra il 1999 e il 2004 è presidente della Commissione affari costituzionali nel Parlamento europeo, dove era stato eletto la prima volta nel 1989. Nel 2005 la nomina a senatore a vita da parte dell’allora presidente della Repubblica Ciampi, poi diventato suo predecessore. Giorgio Napolitano viene infatti eletto, dal Parlamento in seduta comune, capo dello Stato: è il 10 maggio 2006, con 543 voti su 990. È il primo ex comunista a ricoprire questa carica.