Il 32enne fu fermato il 7 febbraio 2020

Patrick Zaki: un’odissea durata tre anni, dall’arresto alla grazia

L'accusa era di “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” e si basava su un articolo scritto nel 2019 dal titolo “Il calvario dei cristiani copti in Egitto”

Patrick Zaki: un’odissea durata tre anni, dall’arresto alla grazia
Rainews24
Intervista a Patrick Zaki

Sono passate ventiquattro ore tra la condanna inappellabile a 3 anni alla grazia concessa da Al Sisi. La vita di Patrick Zaki cambiata ancora in poche ore.

Il primo stravolgimento il 7 febbraio 2020 quando fu fermato (con formalizzazione dell'arresto il giorno dopo) all'aeroporto del Cairo mentre rientrava in Egitto per una vacanza. La procura egiziana ha sempre smentito ma pare che le modalità del fermo sarebbero state illegali: gli avvocati di Zaki denunciarono che agenti dell'Agenzia di sicurezza nazionale, la famosa e temuta Nsa, lo tennero bendato e ammanettato per 17 ore durante il suo interrogatorio portato avanti nello scalo aeroportuale. L'attivista inoltre sarebbe stato anche picchiato sulla pancia e sulla schiena e torturato con scosse elettriche. 

L'accusa, che lo ha portato alla condanna a 3 anni, era di “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” e si basava su un articolo che Patrick scrisse nel 2019 dal titolo “Il calvario dei cristiani copti in Egitto” su attentati dell'Isis e casi di presunte discriminazioni di copti, i cristiani d'Egitto, che peraltro guardano ad Al Sisi come ad un baluardo contro il terrorismo islamico e l'ostilità su base religiosa di ampie frange della popolazione egiziana. 

Tra il febbraio 2020 e il settembre 2021 per Zaki ci sono state 18 udienze servite in sostanza a prolungare la custodia cautelare passata quasi tutta nel carcere di Tora al Cairo, dopo meno di un mese trascorso nelle celle di due commissariati e di una prigione di Mansura, la sua città natale. 

Nella primavera 2020 ci furono ben nove slittamenti delle udienze per il rinnovo della custodia cautelare.

Nel carcere di Tora, Patrick ha dormito sempre a terra. La prima visita dei parenti è avvenuta solo dopo cinque mesi e mezzo di reclusione. In quel periodo c’era anche il rischio di una condanna a  25 anni di carcere per una fantomatica serie di dieci post pubblicati su Facebook che istigavano alla sovversione ma che lui ha sempre negato di aver scritto: sarebbero apparsi su un account che porta due dei suoi tre nomi principali, ma non sono stati mai resi noti o consegnati alla difesa. I testi erano stati usati per accusarlo di “diffusione di notizie false”, “incitamento alla protesta” e “istigazione alla violenza e a crimini terroristici”, reati che nell'Egitto possono costare anche il carcere a vita.

Poi a settembre 2021 il cambio di imputazione in “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” che prevedeva una condanna a 5 anni. Ma da quel settembre passano altri due anni perché l’odissea dello studente dell’Alma Mater possa dirsi conclusa.