Addio a Ettore Mo, tra i più grandi inviati di guerra del giornalismo italiano

Dall'Afghanistan in guerra coi russi, attraversato a piedi coi mujaheddin e la rivoluzione khomeinista in Iran: il mondo fu raccontato attraverso i suoi occhi in prima linea dal fronte

Addio a Ettore Mo, tra i più grandi inviati di guerra del giornalismo italiano
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Ettore Mo

“Non c'è niente di più di una guerra per raccontare il dolore e la crudeltà del genere umano. Nella guerra succede davvero di tutto, tutta la natura umana si rivela. Buona o cattiva che sia”. Ettore Mo


Mentre infuria di nuovo il conflitto, più feroce che mai, tra Israele e Palestina, è venuto a mancare Ettore Mo, giornalista, inviato di guerra, tra le firme più importanti dell’informazione italiana. 
La notizia arriva da Milena Gabanelli con un post su X, da lei definito "un compagno di viaggio, un amico e maestro. Da lui l’insegnamento più grande: imparare a raccontare senza aggettivi. Ci ho provato. Stasera sul tuo lago Maggiore fa un po’ più buio”.
 

Ettore Mo, nato a Borgomanero, in Piemonte, aveva 91 anni: sotto i suoi occhi e attraverso la sua penna, per decenni il racconto delle più grandi crisi mondiali, le guerre, le interviste ai big della storia. 


“Un giornalista deve essere prima di tutto un cronista, assolutamente un cronista”

Costante, per Ettore Mo, il richiamo al dovere del cronista: raccontare, senza inutili fronzoli, rimanendo un passo indietro al fatto, la storia innanzi tutto. Quella che, una volta in pensione, aveva definito “una malattia: se hai avuto la fortuna di essere testimone dei più grandi avvenimenti non riesci più a farne a meno

 

Il Giornalista Ettore Mo, 1973 Contrasto
Il Giornalista Ettore Mo, 1973

I primi passi nel giornalismo sono stati mossi al Corriere della Sera, nei primi anni 60, dopo aver fatto i lavori più disparati “sguattero e cameriere a Parigi e Stoccolma, barista nelle Isole della Manica, bibliotecario ad Amburgo, insegnante di francese (senza titoli, naturalmente) a Madrid, infermiere in un ospedale per incurabili a Londra e infine steward in prima classe su una nave della marina mercantile britannica”.

Per poi arrivare al 1979 quando arrivò in Afghanistan per la prima volta e scoprì la sua vocazione. Per lui – raccontano al Corriere -  il dovere di andare e raccontare superava qualsiasi barriera o pregiudizio.

Lunga la lista dei premi vinti, oltre una trentina: l’ultimo, nel 2008, come cronista dell’anno. Tanti i libri scritti, tra cui ricordiamo Lontani da qui. Storie di ordinario dolore dalla periferia del mondo e Sporche guerre. Dall'Afghanistan ai Balcani le avventure e gli incontri di un grande inviato.

“Per me la guerra dell’Afghanistan cominciò quella mattina di giugno del ’79 nella valle di Kunar quando dall’alto di una montagna vidi una piccola zattera che attraversava il fiume. Galleggiava su vesciche d’animale gonfie d’aria e gli uomini armeggiavano a fatica nella corrente vorticosa”. 

Raccontava così in Kabul Kabul, il libro in cui Ettore Mo aveva riunito, assieme a Valerio Pellizzari, le loro esperienze in terra afghana. 

 

 Ettore Mo Getty
Ettore Mo

Un esempio del suo racconto puro e diretto: “Ma i due ragazzi adagiati sotto il telo bianco non sentivano le voci, né gli scossoni, né il gorgoglio dell’acqua che, filtrando da sotto l’imbarcazione, gli scioglieva il sangue raggrumato nelle ferite”.

Mo girò e descrisse le guerre di tutto il mondo L’Africa, il Medio Oriente, i Balcani, tutta l’Asia e l’America Latina sono stati i suoi terreni di caccia abituali ma, come ricordano al suo Corriere, ancora e sempre Kabul sarebbe rimasto il luogo della sua anima. Fu uno dei pochi reporter occidentali ad incontrare il leader del neonato movimento di Hamas a Gaza quando vennero espulsi in Libano dal governo israeliano tra il 1992 e 1993. Rimase nelle loro tende nella terra di nessuno vicino al confine israeliano per 48 ore, raccontano sempre al quotidiano milanese. 

In una delle ultime interviste rilasciate dall’altro lato della penna, Mo, alla domanda di quale angolo del pianeta ancora lo potesse appassionare, rispondeva : “Il Terzo Mondo, sempre. Io sono del Terzo Mondo".