Si sceglie il presidente

Argentina chiamata al voto in mezzo a una crisi economica senza freni

Tra i favoriti Milei, Bullrich e Massa. La retorica del “povero” sembra giungere alla fine di un ciclo politico, ma nei sondaggi fa schizzare in avanti i partiti di destra

Argentina chiamata al voto in mezzo a una crisi economica senza freni
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Elezioni in Argentina

Oggi l’Argentina è chiamata alle urne per scegliere il nuovo presidente. Per gli argentini queste sono le elezioni più incerte nella storia recente del paese, con una economia fragile, spesso vicina al default, che ha trasformato il paese ‘gaucho’ in un campo minato. In una situazione molto complessa, il compito del prossimo inquilino della Casa Rosada sarà quello di disinnescare lo scontento sociale e l’inflazione che vola oltre il 138%.

Tra i favoriti a contendersi la carica dello Stato sono il libertario Javier Milei (La Libertad Avanza), l’attuale ministro dell'Economia, Sergio Massa (Union por la patria (UxP) e la rappresentante del centro destra Patricia Bullrich (Juntos por el Cambiamento (JxC). Il vincitore dovrà ottenere il 45% dei voti o il 40%, con 10 punti di distanza dal secondo per essere eletto nuovo presidente. In caso contrario, i due primi andranno al ballottaggio il 19 novembre.
 
L’ultra liberista Javier Milei, candidato di estrema destra più votato alle ultime primarie del mese di agosto, si colloca in buona posizione per vincere al primo turno o altrimenti andare al ballottaggio. Candidato agli antipodi del pensiero dominante in molti paesi della sinistra del Continente, Milei, anti sistema, ha ottenuto un grande sostegno da parte dei settori più vulnerabili del paese, ma anche dagli elettori di classe media e alta. La sua promessa è di tagliare la spesa pubblica, riformare lo Stato e privatizzare. Ma questa politica radicale non sembra spaventare i cittadini argentini, stanchi oramai di convivere con un’inflazione galoppante che frustra il futuro di tutti. Miliei, che non ha intenzione di negoziare con la Cina, con il presidente del Brasile, Lula da Silva, e con nessun comunista, si professa cattolico anti abortista, ma recentemente ha attaccato ferocemente Papa Francesco per la propensione, secondo il candidato, del pontefice a porsi a favore delle “dittature sanguinarie".
 
La candidata conservatrice Patricia Bullrich, attualmente sostenuta dall’ex presidente argentino Mauricio Macri, si professa atea e negli anni 70 ha militato nel gruppo guerrigliero i Montoneros. La candidata, definita come la meno abile in campo economico, cerca di posizionarsi come la rappresentante di un cambiamento responsabile e prevedibile. Gli elettori più tradizionalisti sono con lei, come gran parte del mondo imprenditoriale argentino. Tra gli elettori però che le hanno espresso la preferenza molti le hanno voltato le spalle soprattutto per avere le caratteristiche dell’attuale governo di Fernández, che ha aggravato la situazione economica.
 
Il terzo candidato, Sergio Massa, peronista, è attuale ministro dell’Economia. Ai tempi del suo mandato da Capo di Gabinetto del Kirchnerismo aveva tramato un piano di “pensionamento anticipato” contro l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Bergoglio, per liberarsi della sua figura fastidiosa. Durante l’ultimo dibattito politico i candidati contrari a Massa lo hanno accusato di aver portato l’inflazione all’attuale 138 %, di aver fatto superare la soglia della povertà al 40% e di aver decretato “piccoli piani monetari” che non fanno altro che aumentare la questione monetaria e il deficit fiscale.

C’è una retorica che ha stancato gli argentini che è quella dell’ideologia del “povero” come archetipo della purezza. Solo i poveri sarebbero, per definizione, solidali e perseveranti nei confronti dei valori morali della comunità. Questa retorica, che accompagna la cultura popolare argentina, ma che sembra giungere alla fine di un ciclo politico, ha creato un rifiuto. L’Argentina è il paese dei grandi sbalzi di temperatura, sia dal punto di vista politico che economico. È un paese di continui cambiamenti in cui vige la logica del pendolo, in cui i governi in carica hanno sempre puntato il dito sull’operato dei predecessori. Anche se di tanto in tanto la ripresa economica si affaccia timidamente, il paese non riesce a decollare, incastrata in un circolo vizioso. Gli argentini passano dall'euforia collettiva alla depressione di massa, dal sentirsi campioni del mondo a considerarsi gli ultimi della terra.
 
La ciclotimia politica argentina in cui le regole vengono cambiate spesso, ha conferito al Paese un’immagine di instabilità di cui molti argentini sono consapevoli e dalla quale non riescono a liberarsi.
 
In ogni caso, vinca chi vinca – affermano gli analisti – urge un accordo nazionale in cui i tre partiti possano portare avanti almeno due o tre politiche fondamentali per il paese. Primo tra tutti l’impegno di fissare un limite al debito statale affinché l'Argentina non sia più il paese dei grandi sbalzi. La popolazione e gli investitori devono tornare ad avere fiducia nelle Istituzioni e in coloro che le rappresentano, altrimenti si correrà il rischio di passare dal populismo statalista del Kirchnerismo al capitalismo sfrenato che lascerà sempre nel dubbio gli attori economici del ritorno al pasato.