La Rete finanziaria di Hamas, chi finanzia il terrorismo?

L'esperto: "Estremamente difficile, se non impossibile, offrire una stima precisa del supporto finanziario offerto dall'Iran"

La Rete finanziaria di Hamas, chi finanzia il terrorismo?
Ap
Gaza, Hamas attacca Israele con 5000 razzi 8/10/23

Non ci sono solo Iran e Qatar , è una rete articolata e complessa. Ne parliamo con il politologo Andrea Molle. Andrea Molle è Professore Associato di Scienza Politica e Direttore del Master in Studi Internazionali, Chapman University. Ricercatore senior per START InSight (Lugano).

Sappiamo che il clamoroso attacco deĺ gruppo terrorista di Hamas a Israele, senza l'organizzazione (le armi) e i finanziamenti dell'Iran  non avrebbe avuto la forza dirompente che ha avuto. Le  chiedo: quanto riceve dall'Iran Hamas?

Assolutamente vero. Senza l’intervento dell’Iran e di altri attori statali, Hamas non sarebbe stato in grado di pianificare e attuare un’operazione militare di tale portata che sia per dispiegamento che per brutalità farebbe pensare che di Hamas ormai resti solo il nome e che invece abbia prevalso una postura più vicina ai metodi dello Stato Islamico. Relativamente alla dimensione quantitativa del supporto economico è tuttavia estremamente difficile, se non impossibile, offrire una stima precisa. Sappiamo, tuttavia, e per bocca dello stesso ministro delle finanze di Teheran, che l’Iran considera Hamas un asset molto importante sia sotto il profilo strategico che politico nella sua strategia di destabilizzazione perpetua del Medio Oriente. Per dare comunque a chi ci legge un’idea di massima del supporto finanziario, nel 2020, il Dipartimento di Stato americano ha stimato che l’Iran aveva trasferito ad Hamas e alla Jihad islamica palestinese più di 100 milioni di dollari all’anno.

Perché una nazione sciita finanzia un gruppo sunnita?

Perché questo teatro di crisi prescinde fondamentalmente dalla competizione tra sciiti e sunniti. L’Iran sostiene Hamas, ma anche la Jihad islamica palestinese (PIJ), sia per ragioni geopolitiche che per ragioni ideologiche. Dal punto di vista geopolitico, o della strategia regionale iraniana, Teheran aiuta, arma e finanzia Hamas per espandere la propria influenza e destabilizzare i processi di pace nella regione. Dal punto di vista ideologico li accomunano l’odio per Israele e l’antisemitismo. L’Iran vede Israele come un usurpatore delle terre musulmane e l’ebraismo come una minaccia per l’Islam. Israele è anche considerato come un’estensione degli Stati Uniti (il “Grande Satana”). Sebbene, come ricordi tu, le origini di Hamas siano legate al movimento sunnita dei Fratelli Musulmani, Hamas è finanziato, armato e addestrato dall’Iran, che offre ai terroristi supporto logistico e operativo fin dai primi anni ‘90. La convergenza tra Teheran e Hamas inizia dopo la Guerra del Golfo del 1990 e la Conferenza di pace di Madrid, organizzata dagli Stati Uniti per rilanciare il processo di pace israelo-palestinese. Nel 1992, l’Iran promette di donare ad Hamas 30 milioni di dollari all’anno e di fornire al contempo supporto addestrativo. Successivamente a questo impegno, Hamas apre un ufficio a Teheran. Sempre nel 1992, dopo che Israele deporta in Libano centinaia di palestinesi, compresi leader di Hamas, il movimento coopera con da Hezbollah e con il Corpo delle Guardie rivoluzionarie iraniane (IRGC). Tra il 1990 e il 2000, il sostegno finanziario iraniano a Hamas varia dai 20 ai 50 milioni di dollari l’anno, anche se nello stesso periodo la Repubblica Islamica mantiene legami con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat e il partito Al Fatah, entrambi rivali di Hamas. Nelle elezioni legislative palestinesi del 2006, Hamas ottiene una schiacciante maggioranza di 76 seggi su 132, rispetto ai 43 seggi di Al Fatah, ponendosi, per un breve periodo, alla guida dell’Autorità Palestinese sia in Cisgiordania che a Gaza. Nell’anno successivo, tuttavia, il presidente Mahmoud Abbas (legato ad Al Fatah) licenzia il primo ministro Ismail Haniyeh (di Hamas) provocando la reazione del movimento che impone così il suo controllo sulla Striscia di Gaza. Queste azioni portano allo scioglimento del governo di unità nazionale dell’Autorità Palestinese e alla divisione di fatto dei territori palestinesi in due entità: Gaza governata da Hamas e la Cisgiordania governata da Fatah. È proprio durante questa crisi che i legami di Hamas con l’Iran si rafforzano. Nel Dicembre del 2006, Haniyeh incontra l’Ayatollah Khamenei e il presidente Mahmoud Ahmadinejad ricevendo un finanziamento di circa 250 milioni di dollari. Durante gli sconti di Gaza del 2008, l’Iran si impegna ad aumentare gli aiuti sia finanziari che tramite l’invio di armamenti più sofisticati. Nel 2011, lo scoppio della guerra civile siriana provoca invece una spaccatura tra Teheran e Hamas, che si trovano ad appoggiare fazioni opposte, sulla base della competizione religiosa tra sciiti e sunniti. Mentre l’Iran invia uomini e assistenza militare a sostegno del presidente Bashar al Assad, Hamas decide di sostenere l’opposizione a maggioranza sunnita. Per ritorsione, l’Iran taglia i finanziamenti a Hamas, secondo quanto riferito, di circa 23 milioni di dollari al mese. Dopo la rottura con la Siria, diversi membri della leadership di Hamas sono costretti a lasciare la loro base di Damasco. Nel 2015, le tensioni tra Hamas e l’Iran si amplificano a causa del tacito sostegno dell’organizzazione terroristica all’offensiva guidata dall’Arabia Saudita contro gli Houthi nello Yemen, un gruppo militante ribelle sostenuto invece dall’Iran. Ciononostante, nell’agosto del 2017, l’Iran riprende a finanziare Hamas dopo che Saleh al Arouri, il numero due di Hamas, si incontra con alti funzionari iraniani per discutere una comune strategia anti-israeliana. Nella primavera del 2018, funzionari di Hamas affermano che le relazioni tra il movimento e l’Iran sono ritornate al livello precedente la crisi siriana e nell’agosto dello stesso anno, mentre fonti di Tel Aviv riferiscono che l’Iran ha ripreso il trasferimenti di circa 70 milioni di dollari all’anno ad Hamas. Nel luglio del 2019, diversi funzionari di Hamas, tra cui Arouri, si incontrato con il leader supremo Khamenei a Teheran che offre di aumentare i trasferimenti fino a 30 milioni di dollari al mese a fronte di un rinnovato programma di scambio di intelligence e tecnologico. Negli anni che seguono troviamo un’abbondanza di dichiarazioni che mettono in luce il ruolo non solo finanziario, ma anche squisitamente addestrativo e operativo, delle Forze Armate iraniane nella trasformazione di Hamas in un vero e proprio esercito.

Ma non c'è solo l'Iran c'è anche il Qatar. Quanto ricevere dal Qatar?

Innanzitutto si tratta, in parte, di una conseguenza della crisi tra Hamas e Iran del 2012 quando il movimento si è visto costretto a differenziare le sue fonti di finanziamento. Va inoltre ricordato che nel 2013 Hamas perde anche il sostegno dell’Egitto in occasione del rovesciamento militare del primo governo guidato dai Fratelli Musulmani. La perdita della sponda egiziana, sui cui tunnel ad esempio si fondava la strategia di contrabbando di armi e generi di sussistenza, ha avuto un impatto massiccio sulle entrate di Hamas, riducendone il budget fino al 75%. Hamas si è dunque rivolto al Qatar per ottenere finanziamenti e anche come quartier generale alternativo alla perdita di Damasco. La partnership con Doha ha dunque contribuito ad alleviare alcuni dei problemi finanziari del movimento e allo stesso tempo ha permesso di diversificare le proprie alleanze. Va premesso che, ufficialmente, la posizione del Qatar è molto diversa dall’Iran. Essa è ispirata, quantomeno a parole, ad alleviare la sofferenza del popolo palestinese e, anche in virtù della normalizzazione dei rapporti con Israele, Doha si è più volte presentata al mondo come mediatore nel conflitto. Ad esempio in queste ore è il Qatar a facilitare i negoziati sul rilascio degli ostaggi. In pratica però si tratta di una posizione molto ambigua. Non solo il Qatar ospita dal 2012 il leader di Hamas Khaled Meshaal, ma negli ultimi anni ha anche offerto rifugio ad altri diversi importanti membri della sua leadership: da Saleh al-Arouri, il fondatore dell’ala militare di Hamas, a membri delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam, conosciute per la loro capacità di ideare attacchi dall’estero, a Husam Badran, attuale portavoce di Hamas nei media e che ha istigato diversi attentati suicidi durante la Seconda Intifada. Quanto ai fondi, nel 2012 il Qatar si impegnò a devolvere almeno 400 milioni di dollari, oggi diventati quasi 1 miliardo, per aiuti e lavori di ricostruzione nella Striscia di Gaza di cui è diventato il maggior contributore. Guardando lo stato delle infrastrutture nel teatro è palese che questi fondi non sono stati certamente usati per alleviare le sofferenze del popolo palestinese e sono stati piuttosto impiegati per finanziare il terrorismo e anche per  rendere Gaza una fortezza, un incubo per l’urban warfare, sviluppando la rete di tunnel sotterranei che renderà l’attuale intervento israeliano molto difficile e sanguinoso. Va precisato che negli anni 2004, 2010, 2014, 2017 e 2019, il governo del Qatar ha introdotto nuove leggi per combattere il terrorismo e in particolare il suo finanziamento. Tuttavia, fonti del governo americano ammettono di non aver mai visto una reale volontà da parte di Doha di applicarle ad Hamas.

Attraverso quali canali questi finanziatori fanno avere I fondi? Può farci qualche nome?

Purtroppo la dura realtà è che Hamas riceve la maggior parte dei suoi fondi tramite canali umanitari. In parte si tratta di denaro che arriva dai palestinesi espatriati in Europa e Nordamerica e da donatori privati residenti nel Golfo Persico. Sono molti gli enti di beneficenza islamici operanti in Occidente che raccolgono denaro che viene poi indirizzato verso gruppi che, sulla carta, offrono servizi sociali ma che sono controllati da Hamas. Si tratta di uno schema molto sofisticato. In passato il Dipartimento di Stato americano ne ha identificato  e messo fuori legge diversi, ma il problema è che ne spuntano sempre di nuovi. Il secondo canale principale è quello degli aiuti statali, o di organizzazioni internazionali, come l’Unione Europea. Si tratta di fondi molto ingenti che sappiamo essere, almeno in parte, intercettati da Hamas e altre organizzazioni terroristiche. L’Unione Europea ha congelato l’invio di 691 milioni di Euro, subordinando lo sblocco alla cessazione delle ostilità, ma in passato molti di questi fondi sono finiti nelle mani dei terroristi. Casi ben noti alla cronaca sono i 50 milioni di dollari stanziati nel 2018 dal Canada alla ONG World Vision per finanziare progetti umanitari nella striscia di Gaza e trasferiti dal responsabile del programma di aiuti in territorio palestinese, Mohammed Halabi, direttamente nelle casse di Hamas. Un altro caso ben noto al pubblico è quello dell’Islamic Relief Worlwide, considerato da Israele uno dei principali finanziatori privati del terrorismo palestinese. L’Islamic Relief Worldwide è un’organizzazione internazionale con sede nel Regno Unito che ha uffici in tutto il mondo, comprese Gaza e la Cisgiordania. IRW si dichiara ufficialmente come ente di beneficenza internazionale la cui missione è quella di fornire aiuti allo sviluppo. IRW vanta una lunga storia di legami personali e finanziari con vari gruppi estremisti islamici e organizzazioni fiancheggiatrici del terrorismo. Nella lista dei contributori di IRW figurano organizzazioni legate ad Al Qaeda come la “Charitable Society for Social Welfare” o la “Human Concern International” e la “Human Appeal International”, ONG controllata direttamente da Hamas. Oltre a ricevere fondi da organizzazioni legate al terrorismo, alcuni dei suoi amministratori hanno legami personali con altre organizzazioni estremiste. Ad esempio, Essam El-Haddad, ex amministratore sia dell’IRW che dell’Islamic Relief UK, ha lasciato l’IRW nel 2012 per diventare consigliere per la sicurezza nazionale dell’ex presidente egiziano, Mohamed Morsi. Abdul Wahab Noorwali, un altro dirigente dell’IRW, ha ricoperto la carica di vicesegretario generale dell’Assemblea mondiale della gioventù musulmana, un’associazione che il governo degli Stati Uniti ha accusato di legami con Osama Bin Laden e il leader di Hamas, Sheikh Ahmed Yassin. Ahmed Al-Rawi, direttore dell’IRW, ha svolto l’incarico di presidente della “Federazione delle organizzazioni islamiche in Europa” e di presidente della “Associazione musulmana della Gran Bretagna”, entrambi considerati gruppi allineati con i Fratelli Musulmani europei. L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Se questo non fosse abbastanza, IRW gestisce anche fondi provenienti da organizzazioni internazionali e formalmente indirizzati ad alleviare lo stato di indigenza del popolo palestinese. Tenendo conto dei soli contributi versati all’IRW dopo il 2014, anno in cui il Governo Israeliano ne ha chiuso le attività ufficiali nel paese, questa organizzazione ha movimentato per Hamas più di 80 milioni di dollari arrivati tramite il meccanismo di coordinamento umanitario dell’UNOCHA e a cui hanno partecipato tra gli altri l’Unione Europea, il Regno Unito e la Svezia.

Quaĺi sono altri paesi arabi finanziatori?

Oltre a Iran, Arabia Saudia e Qatar, è noto che l’Egitto, i paesi del Golfo, il Sudan, l’Algeria e la Tunisia hanno da sempre offerto la loro entusiastica assistenza ad Hamas.

 

 

Ci sono finanziatori “occulti”?

È una domanda molto difficile a cui dare una risposta certa, anche per le ovvie implicazioni legali. Come sempre si può parlare di finanziatori diretti, che abbiamo già citato, di finanziatori ignari, come la UE e gli stessi Stati Uniti e di finanziatori occulti. Da diversi anni si parla del ruolo della Cina nel finanziamento al terrorismo palestinese. In un caso risalente al 2012, ad esempio, il Wall Street Journal riferiva che cinque famiglie di otto studenti israeliani morti in una sparatoria avvenuta a Gerusalemme nel marzo 2008 avevano intentato una causa la Bank of China chiedendo 1 miliardo di dollari di danni e risarcimenti. Secondo la tesi legale delle famiglie, la leadership di Hamas avrebbe finanziato l’attentato tramite trasferimenti dell’importo di diversi milioni di dollari di provenienza cinese attraverso le filiali della BOC negli Stati Uniti. In un secondo caso, risalente al 2020, il colosso bancario britannico Standard Chartered è stato accusato dagli Stati Uniti di aver occultato transazioni per un importo totale di circa 250 miliardi di dollari tra non precisati finanziatori e l’Iran avvenute tra il 2014 e il 2016 e dirette verso Hamas. Fondi che ovviamente vengono investiti sia in armamenti che nelle operazioni cinetiche contro Israele.

La Russia partecipa a questi finanziamenti?

Non ho ragioni per ritenerlo. I legami tra la Russia e Hamas sono ovviamente ben documentati, così come lo sono i suoi legami con il principale sostenitore dell’organizzazione terroristica: l’Iran. L’Unione Sovietica assunse sicuramente una posizione filo-palestinese, ma da allora Mosca ha cercato di modificare la sua postura verso un approccio decisamente più imparziale al conflitto motivato anche dalla presenza di moltissimi immigrati russi nello Stato Ebraico. Per alcuni osservatori e commentatori un po’ troppo superficiali del conflitto in corso in Israele, le storiche relazioni con Hamas e l’Iran sono di per sé motivo per incolpare Mosca, accusandola di avere un ruolo diretto nella spirale di violenza. È sicuramente cosa ben nota che lo scorso marzo una delegazione di Hamas sia stata ricevuta a Mosca per colloqui con diversi funzionari russi, ma l’incontro, secondo il Ministero degli Esteri russo, non ha mutato la posizione della Russia a sostegno di una soluzione pacifica al problema palestinese. È anche vero che i legami tra Russia e Iran hanno avvantaggiato Mosca nella guerra in Ucraina, soprattutto grazie al fatto che Teheran ha fornito droni kamikaze e altre attrezzature per aiutare le forze russe nel tentativo di frenare la lenta ma per adesso fortunata controffensiva ucraina. Ma è sicuramente una forzatura dire che la Russia rischi di interrompere completamente le sue relazioni diplomatiche con Israele, i cui legami con Mosca sono tiepidi ma certamente non del tutto ostili. Certo è che ritornare a una situazione di destabilizzazione globale avvantaggia la Russia sotto diversi punti di vista, primo tra i quali il conflitto in Ucraina.