Il "sultano di Ankara"

Erdogan ancora contro Israele: "Lo porteremo per crimini di guerra alla Corte Penale internazionale"

Il presidente turco aggiunge che Netanyahu non è più un interlocutore con cui parlare ma, richiamando l'ambasciatore a Tel Aviv, chiarisce che la Turchia non vuole interrompere le relazioni diplomatiche con Israele. E annuncia la visita di Raisi

Erdogan ancora contro Israele: "Lo porteremo per crimini di guerra alla Corte Penale internazionale"
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Il presidente turco Erdogan durante la cerimonia di apertura della fabbrica Ford Otosan Yenikoy a Kocaeli, in Turchia

“La Turchia farà di tutto per portare le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra da parte di Israele davanti alla Corte penale internazionale”: è l’ultima delle “bordate” che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha lanciato contro il governo israeliano negli ultimi giorni. Dall'aereo presidenziale, che lo riportava in patria dal Kazakistan, il “sultano di Ankara” si conferma come ideale e aspirante “punto di riferimento” della vasta galassia antisionista mediorientale: “Ho detto qualcosa nel mio discorso alla manifestazione per la Palestina. Le nostre autorità competenti, in particolare il Ministero degli Esteri, svolgeranno questo lavoro” ha aggiunto Erdogan, citato da Anadolu. In quell’occasione, tra l’altro, lo si era visto con addosso una sciarpa che riproduceva le bandiere della Turchia e della Palestina.

Il presidente turco alla manifestazione pro Palestina a Istanbul della scorsa settimana @RTErdogan
Il presidente turco alla manifestazione pro Palestina a Istanbul della scorsa settimana

Il richiamo dell’ambasciatore e l’accusa a Netanyahu: “Non è più un interlocutore”

Ma c’è di più: il presidente turco indica ormai Netanyahu come interlocutore inaffidabile, non più riconosciuto: “Non è più qualcuno con cui possiamo parlare. Abbiamo rinunciato a lui”, ha detto senza mezzi termini il capo di Stato turco. Erdogan, riferiscono ancora i media di Ankara, ha tuttavia spiegato che la Turchia non intende interrompere le relazioni diplomatiche con Israele (pur avendo richiamato il suo ambasciatore in Israele): “Interrompere completamente i legami non è possibile, soprattutto nella diplomazia internazionale” ha scandito Erdogan.

Per tutta risposta, su quest’ultima mossa è arrivato un commento da Tel Aviv: la decisione del governo turco di richiamare l'ambasciatore in patria “è un altro passo del presidente turco Erdogan per schierarsi con l'organizzazione terroristica Hamas”, ha detto il Ministero degli Esteri israeliano, ricordando che “i terroristi di Hamas hanno ucciso, massacrato e giustiziato oltre 1400 persone e ne hanno rapite 240”.

Inoltre, il presidente ha chiarito che il capo dell'Agenzia di intelligence turca, Ibrahim Kalin, sta guidando gli sforzi del Paese per cercare di porre fine alla guerra attraverso la mediazione. “Ibrahim Kalin parla con la parte israeliana. Naturalmente, sta negoziando anche con la Palestina e con Hamas” ha precisato Erdogan. Ma, a suo avviso, Netanyahu è il principale responsabile delle violenze e ha “perso il sostegno dei suoi cittadini. Quello che deve fare è un passo indietro e porre fine a questa situazione” ha aggiunto il capo di Stato turco.

Il presidente turco col presidente del Kirghizistan Sadyr Japarov durante il loro incontro in occasione della decima riunione del Consiglio dei capi di Stato dell'Organizzazione degli Stati turchi a Astana, Kazakistan (Ansa)
Il presidente turco col presidente del Kirghizistan Sadyr Japarov durante il loro incontro in occasione della decima riunione del Consiglio dei capi di Stato dell'Organizzazione degli Stati turchi a Astana, Kazakistan

Le osservazioni di Erdogan sono arrivate una settimana dopo che Israele aveva annunciato che stava “rivalutando” i suoi rapporti con Ankara, a causa della retorica sempre più accesa della Turchia sulla guerra contro Hamas, che “il sultano di Ankara” non ritiene essere un’organizzazione terroristica. Israele aveva precedentemente ritirato tutti i diplomatici dalla Turchia e da altri Paesi della regione come misura di sicurezza.

Infine, ultima di una lunga serie di notizie che ieri si sono accavallate e che hanno dato conto del gran da fare di Ankara nel “gioco mediorientale”, il presidente Erdogan ha annunciato ai giornalisti che il suo omologo iraniano Ebrahim Raisi visiterà la Turchia alla fine di novembre, per tenere colloqui su Gaza. Il leader della Repubblica islamica parteciperà inoltre al vertice dell'Organizzazione per la Cooperazione Islamica (Oic) a Riad alla fine di questo mese. Secondo il leader turco, l'Oic spingerà per un cessate il fuoco e ne discuterà i parametri durante il vertice di Riad.

 

Un’antica rivalità: lo scontro a Davos con Peres nel 2009

Non è la prima volta che Erdogan si scaglia contro Israele e, soprattutto, il suo governo e gli uomini che ne incarnano l’autorità e il potere: nel 2009, al Forum di Davos, da premier, ebbe uno scontro verbale rimasto celebre con l’allora presidente israeliano Shimon Peres. In quell’occasione, Erdogan definì Israele un Paese “capace, quando si tratta di uccidere, di farlo molto bene”.

L’allora primo ministro turco era infatti andato su tutte le furie quando il moderatore non gli aveva dato la possibilità di replicare alle parole di Peres, che aveva difeso l'ultima operazione militare a Gaza (niente di nuovo sotto il sole), ricevendo applausi dalla platea. “Peres, lei è più vecchio di me – aveva poi scandito Erdogan –. Lei parla ad alta voce, e il tono alto della voce copre una coscienza sporca. Quando è il momento di uccidere, voi sapete bene come farlo”.

Dopo aver deciso di abbandonare il palco, rosso in volto, giurando che non avrebbe mai più messo piede a Davos, l’allora premier di Ankara aveva poi spiegato in conferenza stampa di essersi inalberato per una scorretta distribuzione dei minuti concessi agli oratori: a Peres erano stati dati 25 minuti, a lui solo 12. Nel suo intervento, l’allora capo dello Stato israeliano aveva approfittato per motivare e giustificare la missione militare nella Striscia, mentre Erdogan aveva parlato delle sofferenze dei palestinesi, relegati a Gaza.

Fu accolto in patria come un eroe, per essersi eretto a leader dei musulmani del Medioriente, nuovo “Saladino” del XXI secolo. Ma alla folla che lo aspettava all'aeroporto aveva spiegato: “Ho fatto quel che dovevo. Io non sono un capo tribù, io rappresento la nazione turca”.