La vendita della rete a KKR

Lo Stato vuole riportare a casa la rete Tim

Intervista a Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova

Lo Stato vuole riportare a casa la rete Tim
rainews.it
sede della TIM

Com’è noto, il consiglio di amministrazione del gruppo TIM ha deciso: dopo tre giorni di riunioni, i consiglieri hanno approvato a maggioranza – con 11 a favore e 3 contrari – la vendita della rete, accettando l’offerta del fondo americano KKR: sul piatto 18,8 miliardi subito che possono diventare 22 se ci sarà la fusione di Netco con Open Fiber e se il governo approverà gli incentivi, in particolare quello sugli energivori, che ha in cantiere per le Tlc. Ma, in realtà, il fondo KKR si muove in accordo con il Governo e con il MEF. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova. 

Questa è un’operazione che parte da lontano. Quali sono tuttavia le regioni della cessione della rete TIM al fondo americano KKR? 

Si, è questa un’operazione che parte da lontano. Come giustamente lei ricorda, proprio nel novembre del 2021, quindi due anni fa, KKR aveva presentato un’offerta per l’acquisizione di TIM; quasi un fulmine a ciel sereno, probabilmente stimolata dalle importanti relazioni di Mario Draghi, allora premier, con la finanza americana. Le ragioni di questa operazione, da una parte, vanno cercate nel profondo indebitamento del gruppo che a dicembre 2022 ha toccato i 20 miliardi di euro e che a luglio 2023 ha raggiunto i 21 miliardi, tanto che – durante la presentazione del Piano Industriale del 15 febbraio 2023 – il ceo Pietro Labriola ha affermato che “è necessario ridurre l’indebitamento in maniera sostanziale” e che “occorrono operazioni straordinarie”. Quindi, ciò che succede oggi non è una sorpresa. Ma, in realtà, vi è un aspetto più rilevante. 

A cosa allude? 

KKR si muove in totale sinergia con il MEF. L’operazione è molto costosa e il governo ha cercato un partner finanziario. Questo partner è KKR che parteciperà dell’operazione fino all80% circa del suo valore. Il governo, infatti, vuole riportare a casa la rete, dopo la vendita di Telecom avvenuta nel 1997. Durante la stagione delle privatizzazioni, infatti, lo stato vendette la compagnia nazionale di telecomunicazioni ma insieme all’azienda fu ceduta anche la rete. Al di là dell’errore strategico, questo fattore ha finito anche per alterare la concorrenza: il mercato, infatti, dipendeva dal player più forte che era proprietario della rete. E gli altri player dovevano accordarsi con lui. Non solo fu ceduto un asset strategico ma quella privatizzazione ha avviato un percorso di declino per l’azienda. Peraltro, lo stesso errore è stato fatto con l’infrastruttura ferroviaria: la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato ha comportato, per Trenitalia, l’acquisizione anche della rete ferroviaria, creando anche qui un gap di mercato. Non è un mistero che poi si è tentato di rimediare a questa anomalia ma non ci si è mai riusciti. Forse oggi è la volta buona. 

Perché dice forse? Allude a Vivendi, il socio di maggioranza che non è d’accordo? 

Sì. Vivendi già due anni fa aveva espresso il proprio disappunto circa la manifestazione d’interesse da parte di KKR. I francesi temevano di essere scavalcati. E ora, di fatto, lo sono. Consideriamo che nel 2015, quando Vivendi diventava azionista di maggioranza acquisendo il 23,9%, il titolo era quotato a 1,08€. Oggi vale 0,25€. Questo ci dice di quale performance negativa si è resa protagonista l’azienda. Come dice il ministro Giorgetti, Vivendi – che si lamenta per il mancato passaggio in Assemblea – potrà far valere le sue rimostranze nelle sedi opportune. Ma il percorso è tracciato. 

Il presidente del gruppo, Salvatore Rossi, sottolinea la “grande responsabilità e coraggio” per la decisione del board che “ridà una prospettiva di crescita” all’azienda, mentre il ceo Labriola parla di “decisione storica” che schiude a “un nuovo inizio”. Che giudizio dobbiamo dare, secondo lei, a questa operazione? 

Queste parole di soddisfazione da parte dei vertici dell’azienda mi paiono comprensibili. Peraltro, Salvatore Rossi è una delle menti più raffinate che abbiamo in Italia. Vi sono naturalmente degli aspetti critici in questa operazione ma non credo che i vertici dell’azienda abbiano agito a cuor leggero. Del resto, come dicevamo in apertura, è un’operazione che parte da lontano. Teniamo anche presente che stiamo parlando di una delle infrastrutture su cui poggiano gli investimenti del PNRR e che la rivalutazione di questo asset è necessaria. 

Lo stesso presidente Rossi, interpellato a riguardo, in modo piuttosto netto ha affermato che “non vi saranno licenziamenti”. È una frase di rito o il presidente dice la verità? 

È presto per dire cosa sarà la nuova TIM. Certo è che questa è un’operazione di rilancio più che di ristrutturazione. Quindi, potremmo scoprire che il presidente ha risposto in modo onesto alla sollecitazione. 

Vi sono aspetti anche di carattere geopolitico in questa operazione? 

Dobbiamo pensare che Draghi interrompe una fase anomala delle relazioni internazionali del nostro Paese, culminata in particolare con il governo Conte I, il quale guardava molto a Est. Non è un caso che, proprio con quel governo, vi sia stato il memorandum of understanding con la Cina sulla Via della Seta, cosa che nemmeno a Trump – nonostante il suo isolazionismo – era piaciuta. Ma è stata proprio la politica isolazionista del tycoon che ci ha fatto soffrire, esponendo il nostro Paese alla infiltrazione massiccia di russi e cinesi. Ora, gli USA di Biden stanno riscoprendo l’importanza di essere presenti in un Paese con il quale da sempre hanno relazioni importanti, anche commerciali, e che è così importante anche dal punto di vista degli equilibri internazionali e della difesa, considerando la nostra vicinanza all’Africa, regione in grande difficoltà. Credo, pertanto, che questa operazione vada letta anche in questo senso, come un consolidamento di questo nuovo rapporto tra Italia e USA. Il governo Meloni del resto è chiaramente atlantista, in continuità con il governo Draghi che lo ha preceduto. 

Cosa possiamo dire di questo partner un po’ ingombrante come KKR? 

KKR ha in gestione circa 500 miliardi (più di un quarto del nostro Pil) e opera in 17 Paesi. Al 31 dicembre 2022 erano 127 le aziende in portafoglio nei suoi fondi di private equity, che generavano in totale circa 288 miliardi di dollari di ricavi annuali. Per esempio, il colosso giapponese Calsonic Kansei, che ha acquisito la nostra Magneti Marelli, è azienda nel portafoglio di KKR. Auguriamoci, appunto, che il nostro Paese sappia interfacciarsi in modo responsabile con questo partner ingombrante perché vi sono aspetti che non sono da sottovalutare: il tema delle reti e delle telecomunicazioni inevitabilmente richiama quello dei dati e della cybersecurity. A ogni modo, KKR è già presente nel pacchetto azionario di Fiber cop proprio insieme a TIM e a Fastweb. Evidentemente, è stata sperimentata una collaborazione proficua. Vedremo come evolveranno le nostre telecomunicazioni e se non vi saranno complicazioni giudiziali con Vivendi. Non c’è dubbio, tuttavia, che questa sia un’occasione importante.