Divario Nord-Sud

Il rapporto Svimez: "Con l'autonomia differenziata c'è il rischio di frammentazione"

Con il federalismo fiscale inattuato, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna tratterrebbero 30% del gettito IRPEF. Gli shock globali hanno fatto emergere i limiti di risposte frammentate a livello territoriale. Il rapporto è stato presentato oggi a Roma

Il rapporto Svimez: "Con l'autonomia differenziata c'è il rischio di frammentazione"
Svimez
Rapporto Svimez 2023

L'autonomia differenziata a federalismo fiscale inattuato è anacronistica se si considerano gli shock che hanno colpito l'economia e la società italiana negli ultimi tre anni. Shock globali che hanno fatto emergere i limiti di risposte frammentate a livello territoriale. È quanto segnala il Rapporto SVIMEZ 2023 diffuso oggi e discusso al Tempo di Adriano a Roma. L'autonomia differenziata espone l'intero Paese ai rischi di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche chiamate a definire una strategia nazionale per la crescita, l'inclusione sociale e il rafforzamento del sistema delle imprese, spiega il rapporto. 

A questo quadro di frammentazione si aggiungono i rischi di un congelamento dei divari territoriali di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali redistributive tra individui e di riequilibrio territoriale. SVIMEZ stima che le funzioni delegate assorbirebbero larga parte dell'IRPEF regionale: il 90% circa nel caso del Veneto, quote tra il 70 e l'80% per Lombardia ed Emilia-Romagna. Rilevanti sarebbero gli effetti in termini di contrazione del bilancio nazionale, con la conseguente riduzione degli spazi di azione della finanza pubblica centrale. Il gettito IRPEF trattenuto dalle tre regioni risulterebbe pari a circa il 30% del gettito nazionale.

Il Rapporto Svimez, pubblicazione annuale giunta alla sua 50esima edizione, raccoglie i principali indicatori e gli andamenti dell’economia meridionale in numerosi settori chiave: industria, edilizia, terziario, credito, finanza pubblica, infrastrutture e trasporti, politiche del lavoro, di coesione, industriali, demografia, mercato del lavoro e popolazione.

Il Sud si spopola, dal 2002 -1,1 milioni di residenti

Il rapporto Svimez registra lo "spopolamento del Sud", da cui si continua a emigrare. Dal 2002al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di808 mila under 35, di cui 263 mila laureati. Nel 2021, il saldo netto complessivo è di circa 38 mila ragazzi. Di cui 20mila laureati. Tra spopolamento e gelo demografico, al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale.

L'inflazione ha avuto un impatto doppio sulle famiglia al Sud

L'accelerazione dell'inflazione del 2022 ha eroso soprattutto il potere d'acquisto delle fasce più deboli della  popolazione. Sono state colpite con maggiore intensità le famiglie a  basso reddito, prevalentemente concentrate nelle regioni del  Mezzogiorno. Nel 2022 l'inflazione ha eroso 2,9 punti del reddito  disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato  relativo al Centro-Nord (-1,2 punti). È quanto emerge dal rapporto  Svimez.

Rispetto alle altre economie europee, in Italia la dinamica inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali italiani,  che tra il II trimestre 2021 e il II trimestre 2023 hanno subìto una  contrazione molto più pronunciata della media UE a 27 (-10,4% contro  -5,9%), e ancora più intensa nel Mezzogiorno (-10,7%) per effetto  della più sostenuta dinamica dei prezzi. Questa dinamica si colloca in una tendenza di medio periodo delle retribuzioni lorde reali per  addetto, anch'essa particolarmente sfavorevole al Mezzogiorno: -12% le retribuzioni reali rispetto al 2008 (-3% nel Centro-Nord).

Al Sud più occupazione ma più precaria, 2,5 milioni in povertà assoluta nel 2022. Crescita 2023 dimezzata, crollano i redditi

Rispetto al pre-pandemia la ripresa  dell'occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni  meridionali: +188 mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel  Centro-Nord (+1,3%). In tema di precarietà del lavoro, nella ripresa  post-Covid dopo il «rimbalzo» occupazionale è tornata a inasprirsi la  precarietà. Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l'occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta  su livelli patologici. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel  Mezzogiorno hanno un'occupazione a termine, contro il 14% nel  Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno  cinque anni (l'8,4% nel Centro-Nord). 

Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei  contratti part time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di  lavoro part time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto del Paese. L'incremento dell'occupazione non è in grado di alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari.  Nonostante la crescita dell'occupazione, nel 2022 la povertà assoluta  è aumentata in tutto il Paese.        

La povertà ha raggiunto livelli inediti. Nel 2022, sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (-170.000 al Centro-Nord). La crescita della  povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal  retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale. Nel  Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di  riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e  il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono  addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie  in condizioni di povertà assoluta.

Il Pil del Mezzogiorno è stimato in aumento dello 0,4% nel 2023, con una crescita dimezzata rispetto al Centro-Nord (0,8%). Il dato nazionale è +0,7%. Si riapre così il divario di crescita tra i territori, dopo un biennio di allineamento,  a causa del diverso andamento dei consumi. La contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali (-2%), del resto,  è doppia rispetto al Centro-Nord. La Svimez prevede che il Pil nel 2024 cresca dello0,7% a livello nazionale ( +0,7 al Centro-Nord e +0,6 a Sud) e nel 2025 dell'1,2% (+1,3 al Centro Nord e +0.9% a Sud). La crescita è vincolata all'attuazione del Pnrr.

La crescita è vincolata al Pnrr nel 2024-2025

Crescita vincolata all’attuazione del Pnrr nel 2024-25. Sulla dinamica territoriale del Pil 2024-2025, viene spiegato, incidono gli effetti espansivi degli interventi finanziati dal Pnrr, per la concentrazione nel biennio del massimo sforzo di realizzazione infrastrutturale. Svimez ha stimato in 2,2 punti percentuali l’impatto cumulato sul Pil nazionale nel biennio nell’ipotesi di completo e tempestivo utilizzo delle risorse disponibili: +2,5 nel Mezzogiorno e +2% nel Centro-Nord. Secondo le stime, il Pnrr eviterà la recessione al Sud in entrambi gli anni di previsione: –0,6% e –0,7% il Pil del Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 'senza Pnrr'. Anche il Centro-Nord beneficia dello stimolo, grazie al quale l’area evita una sostanziale stagnazione nel biennio: –0,2% e crescita piatta nel Centro-Nord Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 nello scenario 'senza Pnrr'.

Fitto: “Per la prima volta una strategia per le aree interne. Ma c'è un convitato di pietra: il patto di stabilità"

"Per la prima volta una strategia perle aree interne con una programmazione dal punto di vista infrastrutturale e dei servizi". Lo afferma il ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il Pnrr, Raffaele Fitto, alla presentazione del rapporto, spiegando che l'obiettivo è "far sì che un giovane rimane nel suo piccolo comune perché ci sono le condizioni per restarci". 

C'è un "convitato di pietra", il fatto che "siamo alla vigilia del ritorno del patto di stabilità. Se noi avessimo avuto scelte e risultati positivi che nella fase precedente avessero colto l'opportunità" di operare senza patto di stabilità sarebbe diverso. Fitto ricorda che il rapporto deficit pil nel 2021 e nel 2022 è stato del 9 e 8% e "un punto vale circa 20 miliardi di euro" e dice che "questi elementi rappresentano un punto di riflessione, insieme ai dati sull'andamento della spesa pubblica"