Il referendum consultivo di domenica scorsa sull'Esequibo, regione sudamericana ricca di risorse energetiche e minerarie, attualmente amministrata dalla Guyana ma rivendicata dal Venezuela, ha fornito al presidente di Caracas Nicolás Maduro nuovi argomenti per ravvivare pericolose tensioni con Georgetown, capitale della Guyana.
Ieri, infatti, il capo dello Stato erede di Hugo Chavez – al potere dalla morte di quest’ultimo, dieci anni fa – ha ribadito ancora una volta di non voler riconoscere l'azione della Corte internazionale di giustizia dell'Aja, che sta esaminando il contenzioso, e ha preso inoltre iniziative che, semmai si materializzassero, potrebbero portare le due nazioni sull'orlo di un conflitto militare.
Maduro ha inoltre ordinato al Parlamento di approntare una legge che consideri l'Esequibo quale 24esimo Stato della Federazione venezuelana, e ha poi chiesto alla compagnie nazionali Pdvsa e Cvg di creare specifiche divisioni per assegnare licenze esplorative in tema di petrolio, gas e minerali nel territorio conteso. Va detto, tra le righe, che il Venezuela - dall’alto del suo primato come Paese con più riserve petrolifere al mondo - non ha certo bisogno di accaparrarsi nuove fonti energetiche (di cui l’Esequibo è comunque ricco), dal momento che già fatica a estrarre il petrolio presente nel suo sottosuolo. Non si tratta, in altre parole, di una mossa per raggiungere nuovi giacimenti petroliferi in un contesto di “povertà energetica”.
Il leader chavista ha inoltre respinto come “interferenza negli affari interni venezuelani” le dichiarazioni del portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, secondo cui non è un referendum ma il dialogo lo strumento adeguato per risolvere le differenze esistenti.
Tutto questo ha spinto il presidente della Guyana, Irfaan Ali, a dichiarare che il proposito di trasformare l'Esequibo nel 24esimo Stato venezuelano rappresenta una minaccia diretta all’integrità territoriale guyanese. Georgetown ha peraltro reso noto in un comunicato presidenziale che oggi investirà della crisi il Consiglio di Sicurezza dell'Onu e continuerà a coinvolgere nella ricerca di una soluzione la Comunità dei Caraibi (Caricom), l'Osa, il Commonwealth e molti dei partner come Stati Uniti, Brasile, Regno Unito e Francia.