Uno dei "fronti caldi" del conflitto mediorientale

La morte di Arouri e il rischio-escalation tra Libano e Israele, lunga storia di attriti e invasioni

Fin dal primo conflitto col Paese dei Cedri, l'esercito e l'aviazione israeliana hanno condotto operazioni - a volte su vasta scala, a volte mirate all'eliminazione di un target preciso, come ieri - all'interno del debole vicino mediorientale

La morte di Arouri e il rischio-escalation tra Libano e Israele, lunga storia di attriti e invasioni
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Libanesi nella periferia meridionale di Beirut, il primo giorno del cessate il fuoco tra Israele e Libano: 14 agosto 2006

Con l’esecuzione di Saleh el-Arouri - numero due dell'ufficio politico di Hamas, ucciso ieri da un drone israeliano alla periferia sud di Beirut, in Libano (in una classica missione-target, cui Israele non è nuovo) - si rinnova la discussione a livello politico-diplomatico sullo “stato delle cose” in uno dei confini più caldi del pianeta, non solo mediorientali. Un punto di frizione, un cuscinetto che fatica sempre di più a tenere e che, è il timore che ora serpeggia nelle cancellerie di tutto il mondo, potrebbe portare a una fatale escalation del conflitto in corso nella Striscia di Gaza. Con un pericoloso estendersi, in particolare, di uno dei “sette fronti” nei quali l’esercito israeliano è impegnato ormai da anni, e in misura palese dal 7 ottobre scorso; in quella che è stata una guerra perlopiù silente per decenni e che ora è invece esplosa in un conflitto armato aperto.

Fin dalla Guerra del 1982-1985 che vide contrapporsi Israele e Libano, infatti, i rapporti tra i due vicini sono sempre stati condizionati da un’inimicizia di fondo, inevitabilmente compresa nella più vasta contrapposizione tra arabi e israeliani, nell’ambito della Guerra civile che insanguinò il Paese dei Cedri per quindici anni (1975-1990). Già nel 1978, in realtà, Israele aveva condotto una breve operazione nel sud del Libano, rispondendo ad alcuni attacchi dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) nel nord del Paese. E, fin da allora, il tentativo che aveva mosso gli eserciti, e i governi, era stato quello di creare una fantomatica “zona cuscinetto”, poi entrata nella realtà dei fatti con l’Operazione Unifil, inaugurata proprio nel 1978 e tuttora attiva, con il determinante contributo del contingente italiano.

Edifici in rovina durante l'assedio di Beirut nel luglio 1982 gettyimages
Edifici in rovina durante l'assedio di Beirut nel luglio 1982

Ai tempi del primo conflitto tra Israele e Libano (quando Hamas ancora non c’era ma Hezbollah sì), il ruolo svolto dall’OLP, da Fatah (e, per estensione, da Amal e dalla Siria) costituì il collettore delle ampie istanze antisioniste allora in fermento e che, per molti rivoli, fin da Settembre Nero, portarono avanti la lotta armata terroristica contro Gerusalemme, oggi incarnata in pieno da Hamas e, solo a livello di minacce, da Teheran.

Nel 2000, con il Libano tornato in una condizione di relativa tranquillità, che cominciava a vedere i frutti degli Accordi di pace di Ta'if (22 ottobre 1989), con cui si era posto fine alla cruenta Guerra civile, e con un ruolo di Hezbollah sempre più crescente, il ritiro delle truppe israeliane dal sud del Paese dei Cedri portò credito nelle casse del “Partito di Dio”, dandogli quell’autorevolezza e quell’influenza di cui gode ancora oggi. Negli anni, il lancio di razzi e i tentativi di incursione militare da parte di Hezbollah nel nord di Israele non sono mai mancati, lasciando a “bassa temperatura” quello scontro al confine mai del tutto sopito.

Il luogo in cui è caduto un razzo Katyusha lanciato dal Libano meridionale, il 13 luglio 2006, nella città israeliana di Safed, nel nord gettyimages
Il luogo in cui è caduto un razzo Katyusha lanciato dal Libano meridionale, il 13 luglio 2006, nella città israeliana di Safed, nel nord

I frutti del governo di Rafiq Hariri, il primo ministro libanese ucciso nel 2005 in un attentato ordinato probabilmente da Bashar al-Assad, marcirono con la morte del premier-magnate. Un anno dopo, infatti, scoppiò la Seconda guerra israelo-libanese, tra luglio e agosto, che registrò la morte, da parte del Partito di Dio, di un numero compreso tra 250 e 600 miliziani (oltre a quasi 1200 civili e a più di quattromila feriti) e, da parte israeliana, il decesso di 119 soldati e il ferimento di oltre 600 (oltre a una quarantina di civili uccisi e, anche qui, a più di quattromila feriti). L’aviazione israeliana bombardò l’aeroporto della capitale libanese, accusato di essere il centro di rifornimento di armi di Hezbollah; il partito guidato da Hassan Nasrallah rispose con un esponenziale lancio di razzi verso il nord di Israele, scontrandosi con l’esercito con la Stella di David. Molte città del Paese dei Cedri furono colpite e diverse infrastrutture gravemente danneggiate. Il conflitto cessò ufficialmente in settembre, anche grazie al contributo di una risoluzione dell’Onu e all’effettivo ritiro delle truppe israeliane, che posero fine anche al blocco aeronavale.

E adesso? Ora che Saleh el-Arouri è uscito di scena? In questi frangenti si continua a ripetere che la morte del referente di Hamas in Libano, di fatto suo numero due e uno dei militanti più anziani (ha contribuito a fondare le brigate al-Qassam), anello di congiunzione tra Gaza e la Cisgiordania, tra Haniyeh e Abbas, tra i miliziani della Striscia e Fatah, rischia di compromettere inevitabilmente le sorti del conflitto a Gaza. Israele potrebbe aver perso un utile interlocutore, un prezioso mediatore.