L'analisi

Dalla Cina ci disorientano con le fake news e avanzano con le auto elettriche

Intervista a Giuseppe Sabella

Dalla Cina ci disorientano con le fake news e avanzano con le auto elettriche
rainews.it
fabbriche di Wolkswagen e Stellantis

Nel secolo scorso, l’industria dell’auto ha acquisito una rilevanza fondamentale per le economie avanzate, tanto da risultare una delle icone della cosiddetta Golden Age. Anche per l’attuale fase di trasformazione che i nostri sistemi stanno vivendo, l’auto è al centro non solo di cambiamenti tecnologici potenti ma anche di grandi attenzioni da parte delle Istituzioni. Lo è in Europa, come negli USA, come in Cina. E lo è, anche, nel nostro Paese. In questi giorni in cui il settore dell’automotive è stato al centro di un dibattito che ha trovato spazio anche sulla stampa internazionale, ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova. 

Bloomberg scrive che Volkswagen, Renault e Stellantis starebbero pensando a un possibile accordo per arrivare a produrre veicoli elettrici più economici e arginare così la minaccia che arriva dalla Cina oltre che da Tesla. Cosa ne pensa? 
Credo che, come al solito, in Europa ci muoviamo lentamente e in ritardo. A ogni modo, anche in questo caso le conclusioni allarmistiche mi paiono esagerate. Resta il fatto che c’è indubbiamente un gap tra l’industria europea e, in particolare, quella cinese. Nel 2019, un report del McKinsey Global Institute diceva che l’85% di investimenti in intelligenza artificiale erano stati realizzati da imprese cinesi e americane. L’auto elettrica è chiaramente un veicolo tecnologicamente e digitalmente avanzatissimo, nel mondo c’è chi ci ha creduto con largo anticipo e si è organizzato in senso produttivo. Penso a Elon Musk o a qualche costruttore cinese come Byd per esempio. Tuttavia, mentre l’industria cinese si è mossa in modo potente attorno all’auto elettrica (il 44% dei veicoli prodotti in Cina sono elettrici), negli USA c’è ancora una produzione prevalente (75%) di veicoli con motore endotermico (o ibrido). In Europa, solo il 16% delle produzioni sono veicoli elettrici. In sintesi, c’è questo dominio dell’industria cinese che ha già una sua rete di vendita importante nella UE e che in Europa conta anche di avviare nuovi centri produttivi. Stando così le cose, mi sembra naturale che Volkswagen, Renault e Stellantis condividano qualche ragionamento per rispondere all’avanzata cinese, probabilmente supportate anche dalle istituzioni. 

A cosa allude? La cosa è sicuramente interessante ma in che senso le istituzioni europee starebbero supportando l'industria dell’auto? 
Tutte le economie avanzate, in questa fase, stanno muovendosi per consolidare il mercato domestico e la domanda interna. Tanto per cambiare, sono gli USA ad aver avviato questo nuovo ciclo con i dazi nel 2017. Anche l’UE, con la Banca Centrale sempre più indebitata a sostegno delle economie nazionali, agisce per sostenere l’economia europea e le produzioni locali. In questo caso, l’import e gli scambi hanno un ruolo diverso rispetto al periodo precedente della grande interdipendenza. In Europa importiamo materie prime, perché ne siamo poveri. E nonostante tra Est e Ovest gli scambi continuino, questa è la stagione del reshoring – ovvero della rilocalizzazione di attività precedentemente delocalizzate – e dell’accorciamento delle supply chain, ovvero delle filiere. Significa che tutte le grandi piattaforme produttive stanno riorganizzandosi per l’autonomia industriale ed energetica: gli USA vogliono tornare a essere la manifattura più importante del mondo, lo stesso scrive l’Europa nella sua programmazione. È questo, in sintesi, un processo che le istituzioni partecipano, e che vede il grande capitale ragionare molto di più sul mercato interno. In questo senso, non mi sembra un caso che i capitali esteri entrati in Cina negli ultimi due anni siano crollati ai livelli più bassi dell’ultimo quarto di secolo. 

La Cina, tuttavia, si presenta come la potenza da battere. Che sfida è quella dell’auto? 
La Cina è chiaramente il Paese che esce vincitore dal ciclo della globalizzazione. Certamente la sfida dell'auto, ma non solo, è una sfida complessa. In questo momento, Byd e Tesla guidano la rivoluzione della mobilità. A ogni modo, credo che il problema dell’industria che ha scritto la storia dell’auto – penso a Ford, GM, Toyota, Volkswagen, Renault, Stellantis - sia quello di riorganizzarsi. Peraltro, credo che l’ing. Toyoda in questa fase dica delle cose sagge, soprattutto circa una certa confusione che c’è in Europa, anche per effetto delle innumerevoli fake news la cui provenienza è chiaramente cinese. Come, del resto, in altri casi era russa. C’è, da anni, una certa propaganda che scredita l’auto elettrica e che in molti Paesi europei, tra cui il nostro, ha parecchio attecchito. Intanto però, soprattutto in ragione di costi più convenienti, le auto elettriche cinesi crescono i loro volumi di vendita. 

Quali possono essere oggettivamente i fattori che rallentano l’affermazione sul mercato dell’auto elettrica? 
Vi sono da una parte le spinte delle lobby del carbone e dell’oil che vogliono rallentare il più possibile questo processo; dall’altra vi è anche una certa diffidenza del consumatore perché vi è ancora una rete infrastrutturale debole per quel che riguarda in particolare I punti di ricarica. Tutto questo però incontra dei problemi molto seri che credo siano all’origine della lentezza europea: per accelerare sullo sviluppo della mobilità elettrica e delle sue infrastrutture, servono ingenti livelli di materie prime di cui non disponiamo e di cui non controlliamo i traffici. Ciò significa che una forte domanda di “Terre Rare” ad esempio – che guarda caso importiamo da Pechino – può far schizzare di molto costi di approvvigionamento e, conseguentemente, l'inflazione. 

In che senso, riferendosi all’ing. Toyoda, lei diceva prima che dice cose sagge? 
Mi riferisco al fatto che lui insiste nel chiedere all’UE in particolare – anche lui in Europa ha qualche interesse – di tener conto anche delle altre tecnologie per la riduzione delle emissioni di co2, tipo l’ibrido e l’idrogeno. E di avere più pazienza per quanto riguarda la carbon neutrality dell’auto. A ogni modo, sono dell’idea che verso la fine dell’anno, quando avremo la nuova Commissione Europea, cominceremo a vedere un’Europa che allenta la stretta su emissioni e Transizione verde. Ma il percorso è irreversibile, indietro non si torna. E, contrariamente a quello che si pensa per la maggiore, il dirigismo europeo non è un'ossessione dell'establishment di Bruxelles, ma è figlio delle spinte della grande industria europea i cui investimenti sul “green” sono ingenti. 

Rispetto all’industria dell’auto del nostro Paese, Stellantis sembra orientata a disinvestire. È così? 
A oggi, ahimè, Stellantis ha poco a che fare con l’Italia se non che vi ha un’organizzazione produttiva. È stato venduto anche il Lingotto, simbolo storico per Torino e per il Paese intero. Dopo la morte di Marchionne, si è molto allentato il legame con l’Italia. Peraltro, FCA aveva pochissimo investito nell’auto elettrica e, di conseguenza, ha dovuto cercare un partner più avanzato tecnologicamente. Si tenga conto anche che John Elkann di italiano ha molto poco e che è più uomo di finanza che di industria. In buona sintesi, al nipote di Gianni Agnelli interessa che l’azienda faccia utili e non che si sviluppi in Italia. A ogni modo, la riorganizzazione dell’industria dell’auto è un fenomeno che è solo all’inizio, Tavares ha parlato di incertezze rispetto a Mirafiori e Pomigliano ma poi ha fatto marcia indietro, anche perché, in realtà, ha fatto delle richieste al governo che per il momento non sono state accolte. 

A cosa allude? 
Tavares vorrebbe assegnare Mirafiori alla produzione della Leapmotor, società cinese specializzata nella produzione di auto elettriche in cui Stellantis ha investito 1,5 miliardi per acquisirne il 20% dando vita a Leapmotor International (Stellantis al 51% e Leapmotor 49%), joint venture con i diritti esclusivi per l’esportazione, la vendita e anche la produzione di veicoli elettrici di prossimità urbana. Tuttavia, a Palazzo Chigi non sono entusiasti di questa prospettiva. Per Giorgia Meloni Leapmotor significherebbe cedere a quel mainstream dell’elettrico che ha sempre contrastato. E se pensiamo che a giugno ci sono le elezioni europee, è facile immaginare che l’operazione non è semplice. Teniamo presente, anche, che da qualche mese a Palazzo Chigi non fanno mistero della loro volontà di portare in Italia un secondo costruttore dell’auto. 

A questo proposito, lei ha recentemente affermato che proprio la Toyota sarebbe il sogno del governo Meloni. Ci può dire meglio? 
In questo momento le economie avanzate stanno ricostruendo i loro circuiti e le loro alleanza. L’Italia, per la sua collocazione internazionale, non può che essere attenta agli obiettivi del grande capitale occidentale. Rispetto a Leapmotor, sarebbe molto diverso portare in Italia un player come Toyota: la grande casa delle Tre ellissi produce auto elettriche - 6 dei 7 nuovi modelli destinati al mercato europeo sono elettrici - ma i suoi vertici insistono sulle tecnologie alternative, come si diceva prima. Ricordiamoci che nel suo recente viaggio in Giappone, la premier ha confermato di avere incontrato i vertici dell'industria automobilistica nipponica e di essere molto interessata a loro possibili investimenti in Italia. E, per Meloni, Toyota in Italia sarebbe un gran colpo.