I fatti dell'8 gennaio

Assalto di Brasilia, il Washington Post: "I militari difesero i bolsonaristi dall'arresto"

In un'inchiesta del quotidiano americano, emergerebbero inquietanti conferme della tesi sostenuta fin dall'inizio dal presidente Lula: la connivenza dei vertici militari con i sostenitori dell'ex capo dello Stato. Che intanto resta in Florida

Assalto di Brasilia, il Washington Post: "I militari difesero i bolsonaristi dall'arresto"
(GettyImages)
Brasile, uffici distrutti a causa dei sostenitori radicali dell'ex presidente Jair Bolsonaro a Brasilia

È uno schema inquietante, che confermerebbe la connivenza di militari e polizia, quello emerso dalla denuncia del quotidiano Washington Post sui fatti di Brasilia. A una settimana dalla Capitol Hill brasiliana, l’attacco ai palazzi delle istituzioni della capitale del Paese da parte dei sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro, i tasselli dell’assalto che ha sconvolto la democrazia carioca cominciano a comporsi, delineando sempre di più la lunga ombra nera dello spauracchio agitato fin dal principio dal presidente in carica, Lula: un tentativo di colpo di Stato, orchestrato, difeso e sostenuto.

L'ultima testimonianza arriva dal noto quotidiano statunitense, che in una lunga inchiesta spiega come i devastatori bolsonaristi trovarono una specie di “zona franca” davanti al quartier generale militare, dove si erano accampati per settimane prima dell'8 gennaio e dove si ritirarono dopo essere stati sgomberati dai palazzi invasi e saccheggiati. Il luogo è il prato davanti alla sede nazionale dell'esercito. Qui, secondo la ricostruzione del giornale americano, “quando domenica notte (8 gennaio) alti funzionari dell'amministrazione Lula” si diedero appuntamento con l'obiettivo di arrestare gli insorti, “si trovarono di fronte a carri armati e a personale schierato” in difesa dei manifestanti.

Stando a due testimoni, citati in forma anonima, l'alto comandante dell'esercito brasiliano, il generale Júlio César de Arruda, si rivolse al ministro della Giustizia Flávio Dino, affermando: “Qui non arresterete nessuno”, dando così il tempo di fuggire a centinaia di sovranisti. Se i fatti fossero confermati dalle inchieste giudiziarie che stanno prendendo le mosse in Brasile, questi particolari dimostrerebbero che i sostenitori di Bolsonaro hanno potuto godere fin dall’inizio di una “zona cuscinetto” in cui restare impuniti e non rispondere dei propri tentativi di sovvertire il normale avvicendamento del potere, con il passaggio dal presidente uscente al legittimo vincitore del ballottaggio del 30 ottobre scorso. Si tratta di vari elementi che andrebbero a costituire la “prova di una presunta collusione tra funzionari dell'esercito e della polizia e le migliaia di rivoltosi che hanno invaso le istituzioni nel cuore della giovane democrazia brasiliana”, scrive il Washington Post.

Il lungo articolo si basa su interviste con più di venti alti funzionari dell'amministrazione Lula e della magistratura, organizzatori della protesta, partecipanti, estrattori di dati e altri. Il quotidiano evidenzia anche “un cambiamento nel piano di sicurezza prima che i devastatori si riunissero fuori dagli edifici federali”, oltre “all'inazione e la fraternizzazione della polizia, e la presenza di un alto ufficiale” che risultava in vacanza. La ricostruzione coincide anche con la deposizione spontanea del governatore di Brasilia indagato e sospeso, Ibaneis Rocha, secondo cui fu il comando militare a rinviare lo sgombero del campeggio bolsonarista, fissato in un primo momento per il 29 dicembre.

E mentre si indaga anche sul ruolo dell'ex presidente del sindacato della Polizia federale, Fernando Honorato, all'interno del Tribunale supremo federale durante l'invasione, l'ex responsabile della sicurezza a Brasilia, Anderson Torres, destituito domenica durante l'attacco, e indagato per connivenza, resta in custodia cautelare presso il Quarto battaglione Guarà a Brasilia, dove è stato condotto dopo il suo arresto al rientro dalle vacanze in Florida. Torres è rientrato in Brasile senza il telefono cellulare, probabilmente per evitare che potesse finire in mano degli inquirenti.

Risulta che anche l'ex presidente Bolsonaro, già prima di essere incluso nella lista degli indagati come mandante delle devastazioni, abbia cambiato numero di portatile, per timore di essere intercettato. L'ex capo di Stato sembra anche aver ridotto il numero di chiamate e messaggi scambiati attraverso le app, delegando consiglieri e figli a parlare di questioni politiche delicate a suo nome, per evitare di esporsi.

Nelle ultime ore, il guardasigilli Flavio Dino ha fatto sapere che nel corso degli arresti sono stati sequestrati oltre mille cellulari, che saranno esaminati nel tentativo di identificare chi ha finanziato ed organizzato l'invasione nella capitale, una settimana fa. Intanto, nonostante le pressioni affinché Bolsonaro torni in Sudamerica, una data del suo rientro dagli Stati Uniti ancora non c'è. I timori che anche lui possa essere arrestato al rientro in patria sono concreti ma al momento non si fondano su basi certe e confermate. Il ministro Dino, che al momento non vede elementi per indagare l'ex presidente sulla bozza di decreto trovata a casa di Torres, volta a ribaltare con un colpo di mano il risultato elettorale, allo stato esclude una richiesta di estradizione dagli Usa.

Bolsonaro resta perciò nell'abitazione messa a disposizione dall'ex lottatore di arti marziali e suo simpatizzante José Aldo, a Kissimmee, a circa 35 km da Orlando, vicino ai parchi Disney, in compagnia della moglie Michelle, e dalla figlia minore Laura. L'alloggio, sotto vigilanza dei servizi segreti americani fin dall'arrivo della famiglia (il 30 dicembre), è diventato meta di pellegrinaggio di numerosi supporter. Dai social network rimbalzano immagini folkloristiche di sostenitori riuniti per pregare per l'ex presidente, che all'inizio della settimana era stato brevemente ricoverato per un'occlusione intestinale, mentre venerdì l'ex capo di Stato ha soddisfatto le richieste di autografi, firmando bandiere, calendari, magliette, e persino scarpe da ginnastica.