La mobilitazione sindacale dello scorso 19 gennaio non ferma il governo del presidente francese Emmanuel Macron, deciso ad andare fino in fondo con la sua "storica" riforma delle pensioni: alzare fino a 64 anni l'età pensionabile attuale - 62 anni, la più bassa d'Europa. Lavoratori e sindacati contestano il progetto di legge, sostenendo che finirà per penalizzare le categorie più deboli, in particolare quella parte di popolazione più povera, meno qualificata, che ha cominciato a lavorare molto presto e per cui la prospettiva di vita resta bassa.
Per il governo è certamente una sfida complessa: nessun presidente, di destra o sinistra, è riuscito finora a mettere mano al sistema pensionistico francese. Macron ha una maggioranza parlamentare risicata. Ha bisogno dell'appoggio della destra moderata, dei Républicains, a cui ha già concesso di abbassare a 64, e non a 65 come avrebbe voluto, l'età di uscita dal lavoro. I sindacati, che hanno già proclamato un nuovo sciopero generale per il 31 gennaio, vogliono tornare al tavolo della trattativa per riformare il sistema, ma senza innalzamento obbligatorio.
“Sappiamo che c'è disaccordo con i sindacati”, dice il ministro del Lavoro, Olivier Dussopt, ma l'aumento dell'età pensionabile a 64 anni entro il 2030 e l'allungamento della durata dei contributi a 43 anni già dal 2027 "sono fondamentali". Secondo il ministro la riforma "permette di fare risparmiare 18 miliardi di euro al 2030".
Il governo della premier Élisabeth Borne ha dunque portato la riforma oggi in Consiglio dei ministri, in vista dell'avvio del dibattito in Parlamento il 6 febbraio. La strategia è spingere sui tempi e andare al voto al più presto: prima che nella battaglia per le pensioni finisca per convogliarsi tutto il disagio sociale provocato dalla pandemia, dalla guerra e dalla crisi energetica.