Argentina

Milei all'opera: dopo i tagli, le privatizzazioni. Ma la piazza protesta: "La patria non si vende"

Il neopresidente presenta un maxi-decreto ultraliberista che cancella oltre 300 leggi dello Stato e facilita l'acquisto di beni nazionali. Slogan fuori del Parlamento, per un esperto di Diritto costituzionale il provvedimento è illegittimo

Milei all'opera: dopo i tagli, le privatizzazioni. Ma la piazza protesta: "La patria non si vende"
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Dopo i tagli, una “lenzuolata” di privatizzazioni. E poi abrogazioni, semplificazioni, vendite. Il tutto, in un mega-decreto di 86 pagine. Javier Milei, il neopresidente dell’Argentina, l’aveva promesso in campagna elettorale; e, sulla base di quanto assicurato agli elettori, mantiene la parola. Del resto, anche così ha potuto vincere il ballottaggio contro il candidato peronista, Sergio Massa.

Ora, entrato in carica e formato il governo, passa all’azione. E lo fa nel modo più drastico e dirompente, in linea con il suo stile anticonformista e innovatore. D'altra parte, il suo obiettivo è quello di “ricostruire l’economia argentina”, come recita il titolo del documento presentato in pompa magna in diretta televisiva. Attorniato da 12 ministri del suo esecutivo, seduto a un grande tavolo di rappresentanza nella Casa Rosada, Milei legge, spiega, illustra il mega-decreto.

 

Il piano: abrogazioni, privatizzazioni, apertura del mercato in senso ultraliberista

Rimettere in piedi le casse di uno Stato dissestato, con un’inflazione fuori controllo e una moneta quasi “senza valore”, è impresa titanica. Ma lui sembra non esserne intimorito. E allora, all’opera: dopo aver annunciato un mastodontico piano di tagli e risparmi a livello amministrativo, Javier “El loco” presenta un drastico piano di aggiustamento fiscale e macroeconomico. Decine e decine di pagine di deregulation e privatizzazioni. È il suo manifesto ultraliberista, lui che ha fatto di questo credo politico la ragione della sua vita e del suo successo.

Intaccare interessi consolidati, rompere monopoli, scrostare zavorre che impediscono un pieno sviluppo economico e alimentano solo privilegi “di Stato”, causa (a detta del presidente) della crisi endemica in cui l’Argentina si avviluppa da un ventennio. Javier Milei ha spiegato a reti unificate di voler abrogare in blocco oltre 300 leggi che, a giudizio del governo, “ostacolano il funzionamento di una società libera”. Nel testo si afferma inoltre che “lo Stato nazionale promuoverà la vigenza di un sistema economico basato su decisioni libere, adottate in un contesto di libera competenza” e che per raggiungere questo fine “verrà attuata la più ampia deregolamentazione del commercio, dei servizi e dell'industria”.

Verrà cassata, ad esempio, la legge sull'approvvigionamento, che assicura quote di beni al mercato interno a prezzi calmierati. Via anche la legge sugli acquisti nazionali, che impone allo Stato di privilegiare imprese locali per appalti e concessioni (“Vietato vietare l’esportazione in Argentina”, ha semplificato “El loco”). Infine, l'eliminazione delle leggi di promozione industriale e commerciale, che assicurano regimi privilegiati in questi settori agli imprenditori locali.

Un importante capitolo del testo riguarda l'eliminazione della legge che impedisce la privatizzazione delle aziende statali, aprendo le porte alla vendita (tra le altre) della compagnia di bandiera Aerolíneas Argentinas. Milei vuole cancellare anche la “legge sulla terra”, che impedisce l'acquisto di grandi aree da parte di privati e compagnie straniere, aprendo così le porte alla privatizzazione di risorse strategiche, come l'acqua. La deregolamentazione riguarderà anche diversi aspetti dei rapporti di lavoro, con modifiche alle norme sui licenziamenti, sulle indennità e sul praticantato.

Le proteste in piazza a Buenos Aires contro il decreto afp
Le proteste in piazza a Buenos Aires contro il decreto

Proteste in piazza, secondo alcuni costituzionalisti il decreto è illegittimo

Di fronte a cambiamenti così dirompenti, per quanto solo annunciati, già cominciano a farsi sentire le prime voci critiche. Il blocco di potere peronista, che ha garantito per 40 anni lo status quo, ricevendone in cambio appoggio politico e consenso in vaste fasce della popolazione, ora però allo stremo, è in crisi. Rinunciare a diritti e garanzie per milioni di argentini non sarà indolore. Ed ecco che, pochi minuti dopo l'annuncio a reti unificate del presidente, migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Buenos Aires per protestare contro il mega-decreto. “La patria non si vende” è stato uno degli slogan più ascoltati nell'imponente raduno formatosi in piena notte di fronte al palazzo del Parlamento.

Al di là delle valutazioni politiche, a contestare il provvedimento dal punto di vista giuridico ci sono anche alcuni costituzionalisti. “Derogare 300 leggi e modificarne altre 300 per decreto è una violazione della divisione dei poteri, è l'estinzione del Parlamento come cuore della democrazia” ha affermato il professore di Diritto costituzionale dell'Università di Buenos Aires, Andrés Gil Dominguez. Un altro docente di Diritto costituzionale dello stesso ateneo, Daniel Sabsay, ha affermato che nel caso del mega-decreto di Milei “non sussistono le caratteristiche di necessità ed urgenza” che giustificano “l'irruzione del potere esecutivo in campo legislativo”. Sabsay ritiene inoltre che molte delle norme contenute nel decreto prevedono modifiche della legislazione in materia penale, fiscale, elettorale e di regime dei partiti politici, “un punto espressamente proibito dalla Costituzione”. Infine, secondo il professore di Diritto pubblico dell'Università de La Pampa, Gustavo Arballo, presentare “un pacchetto di decreti di derogazione e modificazione di norme esistenti è incompatibile di per sé con la caratteristica di eccezionalità richiesta per questo tipo normativa”.

Pronta la risposta, in pieno “stile Milei”, del neopresidente, secondo cui coloro che si oppongono all'applicazione del suo programma “soffrono della sindrome di Stoccolma: può essere che ci sia gente innamorata di un modello che l'ha impoverita. La Repubblica è in pericolo con il populismo, non con la libertà” ha scandito Javier “El loco”.