Il nuovo governo

Le molte domande sull'agenda internazionale di Giorgia Meloni

Riguardano la sintonia con la destra statunitense, i rapporti con la Cina, gli equilibri con Francia e Germania, le politiche sul clima

Le molte domande sull'agenda internazionale di Giorgia Meloni
Ufficio stampa Palazzo Chigi via Ansa
Giorgia Meloni nel videomessaggio al Niaf

La platea della National Italian American Foundation (Niaf), fondazione non-profit che rappresenta oltre 20 milioni di italo-americani residenti negli Stati Uniti, nella serata di gala a Washington per il proprio 47° anniversario, ha tributato ieri un lungo applauso a Giorgia Meloni, quando l'ambasciatrice italiana  Mariangela Zappia ha ricordato che il nostro paese ha un nuovo governo guidato da lei, prima donna premier nella storia italiana. L'ambasciatrice ha quindi ricordato i primi scambi tra Meloni e Joe Biden e il loro impegno a lavorare su obiettivi e valori comuni, prima di lanciare il video messaggio in inglese alla Niaf della stessa Meloni.

La presidente del Consiglio ha sottolineato il contributo della comunità italoamericana a “sviluppo, prosperità e forza” degli Usa e ribadito l'intento di “promuovere legami più stretti negli anni a venire”. Zappia ha  affermato lo stesso proposito, esortando a “fare di più e rafforzare la nostra partnership, concentrandosi su settori che stanno plasmando il futuro dell'economia globale: la digitalizzazione, la transizione energetica, la tecnologia finanziaria, le infrastrutture sostenibili, il trasporti, lo spazio, la salute, la difesa e il cyberspazio”.

I gala del Niaf sono anche l'occasione per distribuire premi a figure italo-americane di rilievo. Tra i premiati di quest'anno c'è stato Mike Pompeo, segretario di Stato durante l'amministrazione Trump, che ha speso parole di elogio per Meloni: “Penso che farà un lavoro fantastico, sarà un inverno duro per tutta l'Europa ma confido che guiderà il popolo italiano rispettando gli impegni della sua campagna e prendendosi cura delle famiglie comuni, lei è molto speciale”.  Non sembrano parole di circostanza, e del resto Meloni ha familiarità da tempo con l'ala più radicale del partito Repubblicano: nel 2018 invitò alla sua Atreju l'allora ideologo di Trump Steve Bannon, oggi caduto in disgrazia, ed ebbe con lui anche incontri privati a Venezia, come rivelò ai tempi il Guardian

Questo patrimonio di relazioni potrebbe presto rivelarsi prezioso, se come sembra dai sondaggi il Grand old party otterrà il controllo della Camera alle elezioni di metà mandato previste a novembre. Bisognerà tenere d'occhio il peso relativo che l'area trumpiana avrà nel nuovo congresso, perché tra i repubblicani ci sono divergenze sostanziali, in particolare rispetto all'Ucraina. L'attuale capo della minoranza parlamentare, Kevin McCarthy, nei giorni scorsi si è detto favorevole a un ridimensionamento del sostegno a Kiev: del resto, il motto America first, “prima l'America”, è stato un cardine del mandato presidenziale di The Donald.

Oggi Meloni è salda sulla linea della condanna dell'aggressione russa e sulla solidarietà al governo ucraino. La prima prova dei fatti sarà però a breve, quando il ministro della Difesa Guido Crosetto (Fdi), quello degli Esteri Antonio Tajani (Fi) e quello dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Lega) dovranno tutti e tre firmare il decreto per autorizzare il sesto invio di armi. Nonostante le divergenze sul tema che attraversano i tre partiti di maggioranza, è probabile che questo passaggio filerà liscio, per non creare tensioni già nelle prime settimane di attività dell'esecutivo. Ma nel 2023, quando a Washington gli equilibri potrebbero essere diversi, scadrà il decreto legge del Governo Draghi che autorizza gli invii degli armi. Serviranno un nuovo decreto e un nuovo voto parlamentare: passaggi tutt'altro che scontati, e non solo per le parole in libertà di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini su Putin, Zelensky e tavoli negoziali.

"L'Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell'Europa e dell'Alleanza atlantica. Chi non fosse d'accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo", aveva detto Meloni il 19 ottobre, ancora prima di ricevere l'incarico di Mattarella. “Dell'Europa”, non “dell'Unione europea”: se questa sia una sfumatura o l'indizio di qualcosa di più concreto è presto per dirlo. Le prime indicazioni potrebbero arrivare giovedì prossimo, quando la presidente del Consiglio andrà a Bruxelles a incontrare von der Leyen, Metsola e Michel. Anche senza scomodare la posizione di Fratelli d'Italia sulla superiorità del diritto comunitario su quello europeo, che va a toccare uno dei pilastri dell'Unione, i fronti aperti sono più d'uno e sarà cruciale capire come si evolveranno il rapporto con la Francia del liberale Macron e la Germania del socialdemocratico Scholz. La premier ha già incontrato il primo e avuto un colloquio telefonico con il secondo. Inutile leggere le cerimoniose note ufficiali per capire i punti di convergenza o le eventuali divisioni. Meloni in passato ha criticato aspramente sia Parigi sia Berlino, e ancora oggi i dossier aperti non sono da poco, dalla decisione tedesca di fare da sé sul tetto al prezzo del gas all'attuazione del Trattato del Quirinale, alla cui ratifica, in Senato, Fratelli d'Italia ha votato no solo tre mesi fa.

Un altro terreno di verifica della nuova politica internazionale dell'Italia seguirà di soli quattro giorni dopo gli incontri di Bruxelles: il 7 novembre Meloni volerà a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dove si terrà la ventisettesima conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop27). Si inizierà a capire in quell'occasione se ci saranno scarti rispetto alla linea di politica energetica impostata dal Governo Draghi. La sparizione delle parole “Transizione ecologica" dal nome del ministero competente ha già fatto drizzare le orecchie a diverse associazioni ambientaliste. Un'altra settimana, un'altro volo, stavolta la destinazione è Bali, in Indonesia, dove si riunirà un delicatissimo G20, una formula messa a dura prova dall'invasione russa dell'Ucraina. Ci sarà anche la Cina e sui rapporti con Pechino Meloni si è sempre mostrata, di nuovo, in sintonia con la destra americana: ritiene che l'influenza cinese sia una minaccia e ai tempi del primo governo Conte ha giudicato un “grave errore” gli accordi commerciali che quel governo sottoscrisse nell'ambito della Belt & Road Initiative, o “nuova via della seta”. La presidente del Consiglio ha già fatto intendere di non volerli rinnovare, quando scadranno tra due anni.