La riforma

Autonomia differenziata, il Senato approva il Ddl Calderoli. Ora tocca alla Camera

La riforma, a firma Lega, dà alle Regioni nuovi margini di intervento in 23 ambiti, dalla salute all'istruzione, dall'ambiente alle infrastrutture. Si tratta di una legge procedurale per attuare la riforma del Titolo V della Costituzione

L'aula del Senato ha approvato con 110 voti favorevoli, 64 contrari, 3 astenuti, il disegno di legge di iniziativa governativa, firmato dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli (Lega), sull'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. Il disegno di legge, collegato alla manovra, era in prima lettura a palazzo Madama, passerà quindi all'esame della Camera. L’obiettivo del governo è vararlo prima delle elezioni europee del 9 giugno.

Il ddl vuole dare attuazione a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione ai sensi del quale, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata, possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario, che ne facciano richiesta, forme e condizioni particolari di autonomia in 23 materie. Si tratta dunque di una legge puramente procedurale per attuare la riforma del Titolo V della Costituzione messa in campo nel 2001: definisce procedure legislative e amministrative da seguire per giungere ad una intesa tra lo Stato e le Regioni che chiedono l’autonomia differenziata. Si va dalla Salute all'Istruzione, dallo Sport all'Ambiente, passando per Energia, Trasporti, Cultura e Commercio Estero. 

Nei diversi passaggi in Commissione sono stati resi maggiormente espliciti il legame fra il contenuto dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e l’effettività dei diritti su tutto il territorio nazionale. È stata inserita, nel passaggio “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, la parola “equamente” dopo “garantiti”, ed è stato introdotto, ai fini della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, il riferimento all’articolo 119 della Costituzione. 

Le funzioni autonome potranno dunque essere attribuite solo dopo aver determinato i Lep in maniera uniforme in tutto il territorio, dalla Val d'Aosta alla Sicilia. Inoltre, per evitare squilibri economici fra le regioni che aderiscono all'autonomia e quelle che non lo fanno, il disegno di legge pensa a misure perequative. 

I tempi per l'intesa tra Stato e Regione

La procedura per l'intesa fra Stato e regione dovrà durare almeno 5 mesi, inclusi i 60 giorni concessi alle Camere per l'esame delle richieste. Le intese potranno durare fino a 10 anni rinnovate o terminate prima, con un preavviso di almeno 12 mesi. 

Viene previsto che sia la Regione, sentiti gli enti locali e secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria, a deliberare la richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. 

 

Le opposizioni: “Si spacca l'Italia”

Le opposizioni accusano la maggioranza di spaccare l’Italia, di mettere in campo un sistema che riduce la capacità dello Stato centrale di intervenire per equilibrare gli interventi per evitare che le regioni più ricche (al Nord) lo diventino sempre di più a scapito di quelle più povere (al Sud), e si muove nella direzione di un referendum abrogativo.

Oggi, in un'intervista a La Repubblica, l'ex presidente della Consulta Ugo De Siervo parla del provvedimento come di "una riforma parziale e impugnabile davanti alla Corte, in cui a perdere sono solo gli italiani". Per De Siervo, "è una riforma solo parziale, che amplia la possibilità di estendere i poteri di alcune Regioni, ma senza modificare le altre norme costituzionali che già esistono". E fa un esempio 'concreto'. "Se dò più poteri a una Regione in materia di sanità - dice - questa dovrebbe poter adottare una sua legge in quel settore. Ma se la adotta modifica tutta la legislazione nazionale, a meno di frantumare l'intero sistema regionale italiano". E alla domanda se questo violi l'attuale assetto costituzionale unitario, risponde: "Sì, voglio dire proprio questo. Perché da una modifica in apparenza solo amministrativa ne derivano delle conseguenze anche sull'intera legislazione nazionale. Ma questo non è né previsto, né disciplinato dall'articolo 117 della Costituzione, che ovviamente è già in vigore".

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